HANNO SPENTO L'ITALIA
15 October, 2003
No, questa volta non c'è giustificazione tecnica che tenga. Non c'è alcuna giustificazione al fatto che l'Italia intera sia rimasta senza elettricità nonostante la domanda fosse a livelli bassissimi e nonostante che il Paese disponesse (ahimè solo in teoria) di una capacità produttiva inutilizzata circa 3 volte superiore. Quando il disastro si è avviato, intorno alle ore 3,30-3,40 di domenica 28 settembre (una data che ricorderemo a lungo), si stima che la domanda ammontasse ad appena 21.000 MW: contro una complessiva capacità produttiva delle nostre centrali di 76.950 MW, di cui 48.950 immediatamente disponibili, a cui doveva sommarsi quella estera per altri 6.000 MW. Le domande cruciali cui si dovrebbe dare risposta sono: come è stato possibile che un momentaneo guasto tecnico ad una linea di interconnessione con la Francia abbia mandato in tilt l'intero sistema elettrico nazionale? Come è stato possibile che la maggior parte delle nostre centrali alle ore 3,30-3,40 di ieri fosse tenuta spenta, preferendo ricorrere alle importazioni? Chi si è assunto la responsabilità di mettere a rischio la sicurezza dell'intero Paese sapendo che sulle importazioni non si può far conto con illimitata certezza? Per queste domande il Paese ha diritto a risposte veritiere. Quelle sinora fornite non lo sono affatto. Non si vuol negare che le importazioni di elettricità dalla Francia o dalla Svizzera abbiano subìto momentanee interruzioni. Si nega, invece, con forza il maldestro tentativo di addebitare a questo, e solo a questo, il disastro che l'Italia sta vivendo. La questione è cruciale: perché se da questa nefasta vicenda, come dai segni premonitori che ne avemmo alla fine di giugno, non sapremo trarre i giusti insegnamenti, la situazione elettrica del Paese non potrà che restare critica se non peggiorare. Come appunto è accaduto da giugno ad oggi. Per farmi meglio capire, in una materia che è terribilmente complessa, ricorrerò ad una semplice metafora. Se parto in automobile per un lungo viaggio e deliberatamente non faccio benzina, non posso poi incolpare il serbatoio vuoto (giustificazione tecnica) nel malaugurato, ma del tutto prevedibile, caso in cui rimanga a piedi. Dalle poche informazioni di cui dispongo, e sulla base della semplice logica dei fatti, questo è esattamente quello che è accaduto. Fuor di metafora, nella programmazione che quotidianamente viene fatta - dagli operatori elettrici col coordinamento del Gestore - delle modalità attraverso cui coprire la domanda del giorno dopo (quella, per l'appunto, tra sabato e domenica) si è preferito spegnere gruppi elettrici interni al nostro Paese, perfettamente in esercizio, per attingere massicciamente alle importazioni. Ragioni di convenienza economica hanno, evidentemente, prevalso sulle ragioni di sicurezza del Paese. Questo è il punto, non altri. Quando alle ore 3,25 si sono avute le momentanee interruzioni delle forniture dalla Francia, il Gestore del sistema non è stato in grado di riattivare con immediatezza le centrali elettriche che erano state volutamente spente. Determinandosi, come inevitabile conseguenza, un black-out che dal Nord si è velocemente propagato in modo incontrollabile, del tutto casuale, in tutto il resto del Paese. Un evento mai accaduto nella storia del nostro Paese. Di un'amara verità è opportuno prendere realisticamente atto: che allo stato delle cose, e per una prospettiva temporale di non brevissimo periodo, l'Italia - quinta o sesta potenza industriale del mondo - non è in grado di disporre con certezza della continuità delle forniture elettriche. Questo dovrebbe, invece, costituire l'obiettivo primo e minimo di un sistema elettrico che possa dirsi moderno ed efficiente. Questo è l'obiettivo che allo stato delle cose il nostro sistema elettrico - e chi lo gestisce - non è in grado di garantire. Quali le responsabilità di tutto questo? Non certamente della eccessiva domanda - come impudicamente si cercò di far intendere il 26 giugno, quando si ebbero interruzioni dell'elettricità per alcune ore - o della scarsità di centrali elettriche, che si è visto essere largamente superiori alla domanda. No. La responsabilità prima sta nelle cattive riforme attuate in questi anni. Qui non si vuol mettere in discussione il passaggio dal monopolio alla concorrenza, la liberalizzazione del mercato elettrico, la creazione di un mercato europeo dell'energia. Qui si vuol mettere in discussione il maldestro modo con cui lo si è fatto. In particolare, il venir meno di ogni efficace programmazione, coordinamento, governo del sistema elettrico nella sua unitarietà. Che, in altre parole, significa la imprescindibile necessità di far sì che l'interesse particolare dei singoli operatori - come, ad esempio, disattivare una centrale di notte perché più costosa che importare dalla Francia o altrove - non abbia a confliggere con l'interesse generale del Paese: che è quello di assicurare, sempre e comunque, continuità delle forniture alla generalità dei consumatori, imprese o famiglie che siano. Se non sapremo ricreare questa convergenza tra interessi particolari ed interessi generali; se non sapremo ricostruire un efficace sistema di coordinamento e di governo delle decisioni dei diversi agenti economici che operano nel sistema elettrico; se non sapremo trarre i giusti insegnamenti dalle rovinose vicende che andiamo vivendo, temo che non ne verremo fuori. Un'ultima amara considerazione. Dopo le entusiastiche promesse che erano state fatte ai consumatori italiani sui sicuri e consistenti benefici che la liberalizzazione del mercato elettrico avrebbe loro portato - specie in tema di prezzi - dobbiamo ora prendere atto che non solo i prezzi dell'elettricità sono progressivamente aumentati (di oltre il 30% tra 2000 e 2003), ma che di sicuro non v'è oggi la stessa luce elettrica. Verrebbe da dire: meno ricchi e più al buio! di Alberto Clô