Non è allarmismo ma parola dell'Oms
Eco dalle Città incontra Roberto Bertollini, direttore del dipartimento europeo dell'Oms. Un'intervista di cui non vorremmo avere l'esclusiva..."Si fatica a capire che ci sono 8 mila morti per smog ma non sono identificabili uno a uno". e la risposta a Veronesi
05 July, 2007
<font size="1"><b><i>Intervista di Paolo Hutter e Federico Vozza</i></b></font>
Incontriamo Roberto Bertollini a margine della presentazione della relazione annuale sullo stato dell’ambiente in Piemonte e ne approfittiamo per fargli qualche domanda. Il direttore del Dipartimento europeo sull’ambiente e la salute dell’Oms, che ha competenza su 53 Paesi, ricopre questo ruolo dal 2004, dopo essere stato per quattro anni a capo di tutti i programmi tecnici dell’Oms Europa.
<b>Dottor Bertollini, recentemente, in occasione della giornata mondiale dell’ambiente, l’Oms ha organizzato una conferenza in cui sono state presentate le stime sulla mortalità italiana per Pm10. La notizia è circolata per due giorni quasi come fosse nuova…</b>
Invece è esattamente di un anno fa!
<b>Qualcuno, per esempio il Sindaco di Torino, ha parlato di allarmismo. E’ già successo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità venga accusata di allarmismo su alcune statistiche o ricerche?</b>
Sì, è successo in molte occasioni. Direi che una delle circostanze in cui questo si è verificato con più forza è stato in concomitanza dell’influenza aviaria, quando sottolineammo la necessità di precauzioni. Anche esponenti politici hanno lamentato il fatto che ancora non ci sia stata la pandemia, invece di essere contenti… In realtà alcuni ricercatori attribuiscono proprio all’intensità delle misure di prevenzione la mancata diffusione. Il fatto che ci sia stata una prevenzione molto accurata dell’influenza aviaria negli animali ha fatto sì che la probabilità che questo virus si mescolasse con quello umano sia diminuito. Questo è stato uno dei casi. Per il problema dell’inquinamento più volte sono state espresse perplessità. A mio parere c’è una difficoltà a capire la natura del numero, cioè si tende a pensare che si tratti di 8 mila persone identificabili una per una come persone che muoiono per motivi legati all’inquinamento. Questo ovviamente è impossibile. In realtà è impossibile in particolare in questa casistica perché si tratta di valutazioni statistiche che tengono conto della distribuzione del fattore di rischio e di un’altra serie di fattori confondenti della popolazione, non dell’individuo. Quindi in questo caso è impossibile attribuire direttamente una morte. Con le recenti ondate di caldo si è detto, e ho letto sui giornali, di due anziani “morti a causa del calore”. Esiste un particolare tipo di ictus dovuto al calore che può determinare una morte improvvisa. La diagnosi in questo caso può essere specifica. Ma quando si sono viste le statistiche per esempio del 2003 non si è mica guardato al singolo caso: si è tenuto conto della mortalità complessiva nel periodo dell’ondata di calore. Non sappiamo se il signor François o il signor Michel siano morti solo per il calore, o la loro morte sia imputabile ad altre cause. Sappiamo però che in quel periodo sono morte molte più persone del solito. Questo è un ragionamento difficile da trasmettere.
<b>Insomma, è veramente difficile individuare nel singolo caso, nella singola morte anticipata, gli effetti dell’inquinamento, Questo capita un po’ per tutto o è una caratteristica specifica dell’inquinamento atmosferico?</b>
No, questo capita per tutte quelle patologie che hanno origine multifattoriale, tranne che per quelle problematiche per le quali esiste un fattore di rischio predominante in modo totale, ad esempio il fumo a cui è imputabile il 90/95% dei tumori al polmone. Il mesotelioma della pleura è un tumore che praticamente non esiste in natura. Per cui se si riscontra ci deve essere un’esposizione all’asbesto. In quel caso non c’è dubbio, si può dire che il tumore del signor Rossi è dovuto al 99,99% all’esposizione all’asbesto. Nel caso del particolato o di altre esposizioni entrano in gioco vari fattori che bisogna analizzare. Per esempio, se si prende in considerazione la morte prematura di un fumatore, per di più sottoposto ad alto inquinamento atmosferico, con una malattia cardiovascolare, è difficile stabilire che cosa sia stato più determinante tra la malattia o il fumo. Sono fattori che possiamo analizzare solo in ambito statistico.
<b>Tornando alla premessa, Organizzazione Mondiale della Sanità significa un soggetto la cui autorità è riconosciuta in tutto il mondo? Cioè, è come dire “parlano le Nazioni Unite”?</b>
Beh sì, noi siamo l’Agenzia specializzata delle Nazioni Unite. Lavoriamo sulla base di un mandato politico-istituzionale di supporto alle politiche socio-sanitarie degli Stati membri. Per fare questo dobbiamo fare una serie di cose. Dalle valutazioni per esempio delle conoscenze scientifiche e la loro validità e traduzione in politiche al ruolo di supporto verso i Paesi che mettono in piedi politiche sanitarie a favore della popolazione o di certi problemi particolari; ci occupiamo poi di promuovere accordi internazionali su argomenti rilevanti come ad esempio il tabacco, di fare attività di advocacy, cioè di promozione di problematiche importanti quali quelle delle patologie legate all’ambiente.
<b>Ci sono stati dei casi in cui l’Oms ha fatto una valutazione autocritica per aver in effetti fatto allarmismo su qualcosa?</b>
Che io ricordi no. Però posso sbagliarmi. Beh sì, forse un caso me lo ricordo. La valutazione dei sistemi sanitari che è stata fatta nel 2000. Venne fatta una valutazione dei sistemi sanitari e vennero classificati secondo alcuni criteri relativi alla capacità di raggiungere i cittadini. All’epoca furono messi in discussione alcuni criteri utilizzati per fare questo tipo di analisi. Alcuni Paesi, classificati molto bassi rispetto a quello che si aspettavano, hanno fatto un po’ le pulci al merito e una serie di critiche, a mio modo di vedere in parte giustificate, in parte no.
<b>Per quanto riguarda le vostre valutazioni relative al Pm10, ai valori medi annuali e alle conseguenze sulla salute, i Governi o le Istituzioni locali, vi hanno fatto avere delle obiezioni?</b>
No, non hanno fatto delle obiezioni. Direi di più, il nostro lavoro ispira le linee guida adottate dall’Unione Europea come riferimento per le loro proprie politiche. Il gruppo che ha curato la preparazione delle linee guida è coordinato dal nostro ufficio di Bonn ed ha anche redatto il rapporto Cafè (Clean Air For Europe, un progetto di qualche anno fa) utilizzato giustappunto per rivedere gli standard di qualità dell’aria nei paesi dell’Unione Europea. E i Paesi non hanno mai espresso critiche particolari. Ovviamente quando una città, una regione, o un paese, viene a essere classificato come in difficoltà da questo punto di vista, magari ha delle riserve o comunque non gli fa piacere.
<b>Quindi più da un punto di vista emotivo. Non è che arrivino da voi e vi dicano “no, qui è sbagliato”…</b>
No. Poi, francamente, benché tutto possa essere migliorato, su queste stime mi sento parecchio tranquillo.
<b>C’è stato però un ex-ministro della Sanità, nonché considerato massima autorità italiana nel campo dei tumori, Veronesi, che ha contestato la tesi per cui l’inquinamento possa essere causa di tumore al polmone.</b>
Ritengo che abbia fatto un ragionamento che, dal punto di vista numerico non sia contestabile, nel senso che se andiamo a valutare l’origine dei tumori nel complesso sappiamo che sono attribuibili esclusivamente a fattori ambientali nella proporzione tra l’1 e il 4%, però questo significa per l’Italia 10 mila tumori all’anno. A me non pare un numero trascurabile.
<b>Di “origine ambientale”, quindi stiamo parlando ad esempio sicuramente di non fumatori.</b>
Esatto. Ovviamente se andiamo a parlare del fumo che causa decine di migliaia di morti all’anno, di tumori del polmone, evidentemente il dato non è confrontabile. Il dato assoluto è più importante. Tra l’altro le conoscenze scientifiche evolvono. Quindi, come ho cercato di far vedere anche oggi, ci sono delle interazioni tra fattori ambientali e abitudini di vita, dieta e inquinamento, che hanno delle relazioni la cui natura molto spesso non è così ben compresa a tutt’oggi. Pertanto dobbiamo avere un atteggiamento di prudenza su alcuni aspetti. Io non escludo per esempio che l’epidemia di obesità, dovuta principalmente a motivi legati alla dieta e alla mancanza di attività fisica, non abbia un elemento amplificatore legato all’ambiente. Così come, per esempio, l’esposto ad asbesto ha una probabilità più elevata di avere un tumore del polmone se è anche fumatore, questi fattori spesso si moltiplicano uno con l’altro.
<b>Sulla stima legata al Pm10 ha detto di essere abbastanza sicuro. E l’ozono? In termini di mortalità sembrerebbe valere solo un decimo.</b>
L’ozono è un fattore che è stato studiato da poco tempo. Sì, vale un decimo, anche se gli studi fatti sull’ozono sono ancora pochi e la stima che abbiamo è, a mio modo di vedere, una stima conservativa, cioè che dà un rischio piuttosto basso. Non escludo che in futuro queste stime possano raffinarsi e migliorarsi. C’è da dire che l’ozono è stato molto meno studiato rispetto al particolato perché è un problema quasi solo mediterraneo.
<b>Potrebbe essere stato l’ozono un’importante causa nelle morti dell’estate 2003?</b>
Sì, esiste un’interazione tra inquinamento da ozono e ondata di calore. Se all’ondata di calore si accompagna un alto livello di ozono c’è un effetto moltiplicativo sulla mortalità.
<b>Ha qualcosa da dire sulla differenza spropositata tra quanto la gente ha paura della microcriminalità e quanto molto meno sembra preoccuparsi dei fattori pubblici nel determinare la propria salute? Per fare un paradosso, ci fossero 8 mila morti premature causate dalla microcriminalità, avremmo la gente che reclama lo stato d’assedio. Non crede?</b>
Adesso è difficile fare questo confronto con la microcriminalità. Esistono però tutta una serie di ricerche e studi, storici per certi aspetti, che valutano le variabili relative alla percezione del rischio. Per esempio il rischio viene percepito più fortemente se non è controllato da colui che lo subisce, cioè io percepisco di più anche l’inquinamento piuttosto che il fumo, se sono fumatore. Lo percepisco di più se è una cosa che colpisce i bambini piuttosto che gli adulti, se posso attribuirne la colpa ad una autorità piuttosto che ad un altro individuo. Ci sono tutta una serie di variabili che influenzano la percezione del rischio. Non so adesso se questo ragionamento si possa fare anche per la microcriminalità o per altri fattori. Però penso che su questo incidano altri fattori: la sicurezza, il senso di insicurezza. Sui rischi, ambientali o di altra natura, esiste tutta una letteratura sulla percezione che stabilisce una serie di variabili che la influenzano in maniera molto importante. Probabilmente rileggendo questa letteratura in un’altra ottica riusciremmo anche ad interpretare questo elemento.
<b>Quello che dite sui costi dell’inquinamento è poco ascoltato. Come si dice a Roma, non vi si fila nessuno… Non c’è nessuno che la prenda in considerazione come una possibilità concreta di politica economica.</b>
Questo purtroppo è vero. Devo dire che c’è un problema su questi costi. Hanno dei limiti di incertezza troppo vasti, un range che è di due ordini di grandezza, il che non va bene.
<b>In ogni caso sono miliardi di euro…</b>
Sì, esatto. Però non va bene perché chiaramente quando si dà un numero così variabile di fatto si dà un’informazione che è piuttosto fragile e devo dire che anche i metodi usati dagli economisti suscitano talvolta qualche perplessità. Credo che questa sia un’area dove noi dobbiamo investire di più, fare più ricerca, dare più dati. Mi pare un elemento centrale. Io mi accontenterei che prendessero in considerazione anche solo le stime dei costi per i ricoveri ospedalieri di coloro che riteniamo malati per cause ambientali