Il Papa “verde” marcia sull’Onu
Il primo atto: un bosco donato dagli Usa alla Santa Sede piantato in Ungheria - da La Stampa del 14.10.2007
15 October, 2007
<B>Giacomo Galeazzi</B>
Sarà un «blitz» ambientalista l’intervento di Benedetto XVI alle Nazioni Unite. Se all’assemblea generale delle Nazioni Unite Paolo VI tuonò contro la guerra e Giovanni Paolo II difese il diritto delle nazioni alla libertà, a New York Benedetto XVI sancirà ad aprile l’obbligo morale dei governi ad intervenire subito contro i cambiamenti climatici.
E l’allarme ecologista della Chiesa cattolica (condiviso, in una strategia ecumenica, dal monito alla salvaguardia ambientale del patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I) troverà espressione anche nell’enciclica papale in preparazione sulla speranza, la globalizzazione e le sfide sociali del futuro. Al Palazzo di Vetro il Pontefice metterà al centro dell’attenzione la questione dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile, puntando sull’educazione alla responsabilità ecologica. Di fronte alle prove scientifiche del surriscaldamento del pianeta, Benedetto XVI invocherà dagli stati «politiche di protezione dell’ambiente» per scongiurare la distruzione di quel «patrimonio naturale» i cui frutti sono necessari per il benessere dell’umanità.
L’urgenza
«E’ un tema di straordinaria urgenza che giustifica un forte richiamo alla coscienza dei governanti», spiega il cardinale Achille Silvestrini: «Il Nobel ad Al Gore è segno di una maturata sensibilità che trova espressione anche nella sollecitudine del Santo Padre». Il Papa farà appello anche alle opportunità offerte dalla scienza, ossia, precisa l’antropologo e ambientalista Brando Crespi, coordinatore delle strategie di «Pro-Natura International» in 32 paesi e collaboratore di progetti etici vaticani, «alla capacità di valutare e di prevedere, di monitorare le dinamiche del cambiamento ambientale e dello sviluppo sostenibile, di delineare e applicare soluzioni a livello internazionale». Nei cambiamenti climatici, ammonirà il Papa, i Paesi più poveri sono quelli destinati a pagare il prezzo più pesante: «servono scelte coraggiose per evitare degradi irreversibili del pianeta».
Intanto il Vaticano diventa il primo Stato a impatto serra zero. Due aziende, la statunitense Planktos Inc. e l’ungherese Klimafa, hanno donato alla Santa Sede un bosco per bilanciare le emissioni di anidride carbonica prodotte dal più piccolo Stato del mondo (44 ettari con 780 abitanti, di cui solo un terzo residenti). Applicando il meccanismo di compravendita dei crediti ambientali creato dal protocollo di Kyoto, in Ungheria verrà piantata una foresta di 15 ettari in grado di assorbire i gas serra emessi dal Vaticano in un anno. Inoltre, la Santa Sede ha deciso di coprire di pannelli solari la «Nervi», l’aula in cui vengono tenute in Vaticano le udienze del Papa. «I 15 ettari della “Vatican Climate Forest” assorbiranno, in un secolo, 7.500 tonnellate di anidride carbonica», calcola AzzeroCo2, la società di «Legambiente» e «Kyoto Club» per le valutazioni sulla compensazione delle emissioni serra.
Teoria e pratica
Teoria e pratica, quindi, con Benedetto XVI che all’Onu porterà all’attenzione dei governi i segni di uno sviluppo che «non ha saputo tutelare i delicati equilibri della natura», invocando scelte coraggiose e una nuova alleanza tra l’uomo e la terra «prima che sia troppo tardi». E’ prioritario rispettare il creato, «dono di Dio», secondo il Papa che parlerà da portavoce della cristianità perché la linea ambientalista è stata definita «in dialogo con i cristiani delle diverse confessioni». Una preoccupazione per l’ambiente, guidata da principi etici oggettivi: le decisioni prese oggi sull’ambiente devono tenere conto della responsabilità morale verso le future generazioni. E, per il Papa che si porrà così alla testa della lotta mondiale contro i cambiamenti climatici la salvaguardia del creato richiede una mobilitazione globale. Non c’è tempo da perdere: il «disagio ambientale si manifesta in tutta la sua urgenza».
4 ottobre 1965
Paolo VI parlò all’Onu contro la guerra, in «nome dei poveri e dei sofferenti, cadano le armi e si costruisca la pace globale»
5 ottobre 1995
Giovanni Paolo II all’Onu parlò di libertà: «Siamo siamo testimoni di una straordinaria ricerca di libertà... una delle grandi dinamiche della storia dell'uomo». Il Vaticano chiede aiuto ai pubblicitari. Dai cartelloni «cattolically uncorrect» di Oliviero Toscani alle decine di spot giudicati irrispettosi verso la fede, la pubblicità è stata più volte criticata dalle autorità ecclesiastiche. Adesso, mentre il clamore degli scandali nella Chiesa cattolica toglie spazio e attenzione sui mass media ai contenuti del Magistero, la Santa Sede corre ai ripari lanciando l’appello «a quanti lavorano nella pubblicità» perché la aiutino a «diffondere il proprio messaggio».
I dettagli della «brand strategy» vaticana sono stati definiti ad Oslo, in occasione della Giornata della Pubblicità che si è svolta giovedì scorso. L’interlocutore ufficiale dei creativi delle agenzie pubblicitarie è un influente presule di Curia, l’arcivescovo americano John Patrick Foley, 71 anni, (sicuro cardinale nel concistoro di fine novembre), Pro-Gran Maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme ed ex Presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali. Nell’opinione pubblica spesso i casi di abusi e molestie nella Chiesa fanno passare in secondo piano la predicazione. Ora il Vaticano si affida alle competenze tecniche dei pubblicitari per veicolare «il messaggio più importante del mondo, la Buona Novella di Gesù». Una svolta d’immagine basata sulla rivalutazione del linguaggio degli spot, sulla presa d’atto del loro apporto alla causa ecclesiale e sulla «conoscenza diretta del gran bene» che la pubblicità può fare. «Poiché il nostro è il messaggio più importante del mondo, chiediamo a chi lavora nella pubblicità di aiutarci ad essere interessanti nel diffonderlo», annuncia Foley. Rendendosi conto della «dignità e dell’impatto del loro lavoro», i pubblicitari sono chiamati dalla Santa Sede «a fare qualcosa di bello per Dio».
Una pubblicità giusta, spiega lo stretto collaboratore di Benedetto XVI, «fa conoscere i prodotti e i servizi utili, contribuisce a un maggiore impiego, educa il pubblico, contribuisce in molti modi ad elevare lo standard di vita, promuove la comprensione e la tolleranza». Inoltre, precisa l’arcivescovo Foley, la «pubblicità influisce sui valori e la morale della società e non solo sulle abitudini della gente». Per questa ragione, puntualizza il presule di Curia, «la presentazione della Buona Novella di Gesù Cristo può beneficiare della creatività e delle capacità della comunità pubblicitaria. Gesù stesso lo ha fatto bene, con le sue parabole». La stessa Chiesa cattolica, aggiunge l’arcivescovo, «è stata impegnata nella pubblicità fin dai tempi di Gesù: la chiamiamo evangelizzazione, o far conoscere il Vangelo, la Buona Novella di Cristo; crediamo davvero nel nostro messaggio, e offriamo molto più di una garanzia a vita». Il «prodotto», infatti, è quanto di più appetibile possa esserci sul «mercato» anche in una società secolarizzata: «La nostra promessa, la promessa di Dio, è eterna». Via libera, quindi, ad una pubblicità «purificata», però, dagli eccessi di propaganda consumistica attraverso l’indicazione vaticana ai pubblicitari a cercare di veicolare sempre il messaggio che «essere è meglio che avere» e a ricordare «la necessità di rispettare la dignità della persona umana, evitando la mercificazione della donna». E ciò, con alcune correzioni di rotta nella strategia pubblicitaria per «non mortificare i poveri, anche inconsciamente». Le agenzie che vogliono candidarsi ad aiutare la Chiesa a parlare il linguaggio del mondo contemporaneo dovranno, quindi, rispettare un codice etico anche nel resto della loro attività professionale. I pubblicitari, raccomanda l’arcivescovo Foley all’agenzia Zenit, potranno «sottolineare l’efficienza o una migliore cura e pulizia e un buon aspetto, ma non far passare il messaggio che possedere una cosa rende una persona migliore di un’altra».