Modbury, il paese libero dai sacchetti di plastica
Un piccolo villaggio inglese: da qui è partita la rivolta contro le borse che inquinano. La battaglia contagia il mondo e Londra mette una tassa sulle "plastic bag". In Italia sacchetti di plastica fuorilegge dal 2010; al loro posto shopper biodegradabili - da La Repubblica del 20.10.2007
20 October, 2007
<b>Enrico Franceschini</b>
Modbury (Inghilterra)
Se compri le olive nella salumeria di Adam, una bistecca da Simon il macellaio o un riso fritto da portare via nel ristorantino cinese di Phil, il sacchetto è di cartone riciclato. Se vai a ritirare i vestiti nella lavanderia di Helen, acquisti un poster nella galleria di Sue o una maglietta nel negozio di souvenir di Sarah, il sacchetto è di cotone. Se poi sei particolarmente fortunato, in uno qualsiasi dei 43 esercizi pubblici di Modbury, magari ti consegneranno la merce dentro una borsa con stampato sopra "non sono una borsa di plastica" - materiale da collezionisti, oramai, che può essere rivenduto all´asta su eBay a centinaia di volte il suo valore originale (3,95 sterline, un po´ meno di 6 euro). Perché l´idea di mettere al bando le buste di plastica, ora adottatata da 60 città del Regno Unito, prossimamente messa ai voti dalla municipalità di Londra, diffusasi come il fuoco nella prateria in mezza Europa, traboccata in opposte direzioni fin negli Stati Uniti e in Cina, è nata proprio qui, in questa graziosa cittadina fra le colline del Devon, a pochi chilometri dalla Manica: 1500 abitanti, 760 case, tre chiese, una scuola, un supermercato, mezza dozzina di pub, due ristoranti, un ambulatorio. «Non torneremo più indietro», dice spavalda Rebecca Hoskins, colei da cui è partito tutto. «Abbiamo dimostrato che la gente, se spieghi bene un problema, è disposta ad agire per risolverlo, impegnandosi di persona, anche con iniziative radicali. Di questo passo crediamo che sia davvero possibile sconfiggere la plastica». E forse, chissà, anche l´apatia.
La storia della rivolta di Modbury, in effetti, dimostra due cose: che l´ambientalismo è la passione sopravissuta al collasso di tutte le ideologie e che il vento dell´antipolitica non ha spazzato via tutto. La crisi dei partiti e la sfiducia nei leader non impediscono all´opinione pubblica di gettarsi con entusiasmo in una battaglia politica, se ne vale la pena. La rivoluzione, diciamo una piccola rivoluzione, può scoppiare perfino in un luogo come questo. Modbury, poco più che un villaggio, non è un rifugio di ex-hippye dalla coscienza delicata. Non ha nemmeno tradizioni progressiste: fra i suoi residenti, probabilmente, ci sono oggi più conservatori che laburisti. E´ un posto normale, moderatamente benestante, solitamente tranquillo. L´ultima volta che da queste parti è successo qualcosa, scherzano ma non del tutto i suoi abitanti, fu nel 1643, quando clan rivali di cavalieri medievali duellarono nei vicoli del paese. Poi, un giorno della scorsa primavera, è entrata in azione una duellante di nome Rebecca Hoskins e niente è stato più come prima.
Nata a Modbury 33 anni fa, di professione documentarista, Rebecca era appena tornata da un viaggio nel Pacifico per filmare la vita marina per la Bbc. Era rimasta sconvolta da ciò che aveva visto. «Delfini, foche, albatros, imprigionati in detriti di plastica», racconta. «Il massimo fu una tartaruga che aveva mangiato un sacchetto di plastica, scambiandolo per una medusa, e stava lentamente soffocando. Non sono una che si commuove facilmente. Non avevo mai pianto dietro la macchina da presa. Ma quelle scene mi spezzarono il cuore, non riuscii a trattenere le lacrime. Mi resi conto che il mare era diventato una pattumiera e che la plastica avrebbe impiegato centinaia di anni a dissolversi. E mi faceva ancora più rabbia pensare che quella tragedia non era necessaria. Sarebbe bastato così poco per scongiurarla». Esperta sommozzatrice, tornata a casa Rebecca andò a fare il bagno nelle acque della Manica e scoprì che anche quelle erano invase dalla plastica. Cominciò a parlare al pub di ciò che aveva visto, poi affittò la galleria d´arte locale, invitò tutti gli esercenti del paese e mostrò loro il suo film sul Pacifico. «Alla fine avevano le lacrime agli occhi anche loro. Dissero che non avrebbero più impacchettato la merce in sacchetti di plastica e che dovevamo organizzarci. Il giorno dopo abbiamo cominciato».
Così il 28 aprile Modbury è diventata la prima "plastic-bag free town" d´Europa, la prima città europea "libera dai sacchetti di plastica". I negozianti hanno consegnato a un deposito tutte le sportine che avevano, perché venissero riciclate. Cassonetti denominati "amnistia plastica" sono stati posizionati qui e là per il paese, in modo che anche gli altri abitanti potessero liberarsi delle centinaia di sportine di plastica che tenevano sotto il lavabo della cucina. Sacchetti di carta, cartone, cotone, tessuti vari, sono stati ordinati, confezionati, distribuiti. I residenti si sono adattati con entusiasmo: al punto, confessa Sue Sturton, la gallerista locale, che quando vanno in un´altra città portano sempre con sé una borsina di tessuto per non essere costretti a usarne di plastica. Quanto agli incauti forestieri che entrano a Modbury con una sporta di plastica in mano, vengono fermati dai passanti e ammoniti che qui non sta bene: girare con una borsa di plastica è considerato un «comportamento antisociale». Adam, il proprietario del delicatessen, calcola che soltanto il suo emporio di alimentari distribuiva ai clienti 30 mila sporte di plastica all´anno. Tim, gestore del supermercato, afferma che il suo ne distribuiva 300 mila all´anno. «Siamo felici di avere partecipato a questa campagna», dice. «Speriamo che serva di esempio».
E come se è servito. Poco per volta, la rivolta contro i sacchetti di plastica ha contagiato il resto della Gran Bretagna. Dopo Modbury ha aderito Hebden Bridge, nello West Yorkshire, poi North Berwick, in Scozia. Nel giro di cinque mesi, 70 città del Regno Unito hanno aderito al bando. La settimana scorsa anche i 33 distretti municipali di Londra hanno lanciato una consultazione per imporre nella capitale un bando o una tassa sulle borse di plastica, come è stato fatto in Irlanda, dove la tassa è bastata a farle diminuire del 75 per cento. C´è ancora molto da fare, naturalmente, se si pensa che 13 miliardi di sporte di plastica vengono distribuite annualmente in Gran Bretagna; e che il numero totale delle borse di plastica distribuite nel mondo è stimato in un trillione all´anno, un milione di miliardi. Ma la campagna contro i sacchetti che inquinano l´ambiente è ormai globale: con attivisti che vanno dalla Cina a San Francisco. «E´ molto difficile trovare qualcuno che alzi le spalle e dica me ne frego», commenta Robin McEwen, un membro del parlamento scozzese che si batte per fare approvare il divieto a Edimburgo. «I politici sono stati finora lenti a riconoscere il fenomeno, ma la gente non attende altro che seguire qualcuno che insegni loro come fare».
A insegnarglielo, se non ci pensa il politico locale, provvede Rebecca Hosking, la documentarista di Modbury, colei che ha acceso per prima il fuoco della rivolta. «Ci sono sei semplici passi da compiere», comincia. «Uno: non aspettate che si muova il sindaco o il supermarket, organizzatevi da soli o con gli amici. Due: ottenete la fiducia dei negozianti, spiegate bene loro i termini della questione. Tre: raccogliete pubblico sostegno per premere sulle grandi catene di negozi affinchè aderiscano alla campagna. Quattro: imparate tutto quello che potete sui danni causati dalla plastica all´ambiente. Cinque: fate ricerche su ogni tipo di sportine di materiali alternativi. Sei: stabilite una data per la messa al bando e via». A Maui, nelle Hawaii, dove in primavera Rebecca ha filmato alcune scene di animali marini imbrigliati nella plastica, la data l´hanno appena stabilita: entro tre anni entrerà in vigore un divieto assoluto dell´uso delle sportine di plastica. Ogni giorno, una città o una cittadina da qualche parte nel mondo si accoda alla rivolta. Morale: consumatori di tutto il mondo, unitevi. Potete fare la rivoluzione anche mentre fate allo shopping.
<b>Negli Stati Uniti: da San Francisco a Austin pazzi per l'eco-shopping</b>
<b>Mario Calabresi</b>
New York
Negli Stati Uniti si utilizzano 100 miliardi di buste di plastica ogni anno. E solo una su cento ha diritto ad una seconda vita, le altre 99 finiscono nelle discariche e lì sopavviveranno per mille anni. Il problema, in un Paese in cui i sacchetti sono sempre stati gratis e in cui ogni supermercato mette la doppia busta, è enorme e sempre più città stanno cercando di prendere decisioni radicali.
La prima è stata San Francisco, che alla fine di marzo ha deciso di bandire tutti i sacchetti che non saranno riciclabili, promettendo una guerra senza quartiere ai 180 milioni di buste che infestano la città. Una mossa che non poteva non partire dalla più liberale delle città americane. I supermercati dovranno utilizzare buste di carta riciclata o fatte con l´amido del mais. Su questa strada si sono già incamminate Phoenix, Santa Cruz, Portland, Boston e Philadelphia, che è stata la prima città americana ad avere una legislazione sul riciclaggio, anche se non con grande successo. L´idea del divieto piace a molte altre città, a partire dalle texane Austin, Houston e Laredo, che sicuramente hanno un miglior rapporto con il petrolio ma sentono il peso dello smaltimento dei rifiuti, anche se in decine di comuni sta prendendo piede l´idea di partire con gli incentivi prima del giro di vite.
Ma il tema è talmente di moda che molte aziende hanno deciso di agire senza aspettare le decisioni di sindaci e governatori. L´ambiente è la nuova frontiera e le grandi catene di negozi più sensibili e più attente all´immagine sono corse avanti: Ikea ha cominciato a far pagare ogni busta 5 centesimi, il ricavato andrà ad un´associazione per la difesa delle foreste e, per spiegare la sua nuova politica, ha messo degli attori travestiti da sacchetti alle casse: i pupazzi di plastica chiedono di avere una seconda vita e di non essere buttati via ma riciclati. La grande catena di supermercati biologici Whole Foods invece ha scelto la politica del premio: fa 5 centesimi di sconto per ogni borsa che i clienti si portano da casa. Poi naturalmente c´è l´attivismo di associazioni e università, che si fanno vanto di distribuire e utilizzare le buste di tela, anche se alla mensa della University of Pennsylvania i ragazzi che puntavano a piazzare le borse di stoffa ad un solo dollaro sono un po´ sconsolati: in un mese ne hanno vendute solo 175.
<b>In Italia
Tra due anni nuova legge: solo borse biodegradabili</b>
<b>Antonio Cianciullo</b>
Roma
Meno due. Fra due anni i sacchetti di plastica che hanno invaso i prati, devastato i fiumi, inquinato i mari spariranno. Il primo gennaio 2010 al loro posto arriveranno gli shopper biodegradabili che, anche in mano a una persona con scarsa sensibilità ambientale produrranno danni limitati visto che si disgregano nell´arco di settimane invece che di decenni o secoli.
«E´ un vantaggio ecologico evidente che trascina con sé un vantaggio economico perché siamo produttori della nuova generazione di plastiche», ricorda Ermete Realacci, il presidente della commissione Ambiente della Camera che ha portato in Finanziaria la norma che impone i nuovi standard dei sacchetti. «Con pochi centesimi di differenza a shopper abbiamo avviato un processo positivo e dimostrato che, quando si investe sull´accoppiata innovazione ambiente, i risultati arrivano».
Nel 2007 è partita la prima bioraffineria italiana, uno stabilimento d'avanguardia frutto di un accordo tra la Novamont, un'azienda nata da un centro di ricerca Montedison, e la Coldiretti. L'idea nuova è stata puntare sulla Mater-Bi, un prodotto tecnologicamente innovativo, ma legandolo al territorio. La plastica biodegradabile si produce a Terni da un filiera rigorosamente locale che ha mobilitato gli agricoltori della zona per fornire la materia prima necessaria a sostituire il petrolio.
Mezzo chilo di mais e un chilo di olio di girasole sono sufficienti per creare circa 100 buste di bioplastica. Secondo i calcoli della Coldiretti, per sostituire le 300 mila tonnellate di plastica necessarie a produrre i sacchetti usati in un anno in Italia basterebbe coltivare circa 200 mila ettari, un quinto delle terre agricole non utilizzate. Il tutto con un ovvio vantaggio ambientale visto che 1 chilo di polietilene comporta l´emissione di 2 chili di anidride carbonica, mentre per 1 chilo di bioplastica si rilasciano solo 800 grammi di anidride carbonica.
Nel 2007 la bioraffineria di Terni ha prodotto 20 mila tonnellate di granuli che somigliano a riso, il prossimo anno si arriverà a 60 mila tonnellate. Una quantità da cui si possono ricavare 6 miliardi di shopper, oppure i teli per la pacciamatura su 600 mila ettari di campi (evitando il sudario di plastica nera indelebile), oppure 300 milioni di biopneumatici che riducono le emissioni di anidride carbonica di 10 grammi a chilometro.