Legambiente, allarme smog nei musei italiani
Presentati i risultati dell’operazione Salvailmuseo di Legambiente. Il monitoraggio della qualità dell’aria in 15 musei italiani ha dato risultati preoccupanti: biossido di azoto e anidride solforosa superano i limiti di legge in tutti i campioni analizzati. Con gravi conseguenze per il patrimonio artistico (e per i nostri polmoni?)
23 October, 2007
<b><i>Silvana Santo</b></i>
I musei italiani sono malati di smog. L’infausta diagnosi viene da Salvailmuseo, un monitoraggio dell’inquinamento atmosferico effettuato da Legambiente in 15 musei della Penisola. Le analisi, realizzate nell’ambito di Salvalarte, la storica campagna dell’associazione ambientalista che da dodici anni si dedica alla tutela del patrimonio artistico minore, hanno rilevato alte concentrazioni di ozono (O3), biossido di azoto (NO2) e anidride solforosa (SO2). I danni per il patrimonio artistico? Notevoli. Si va dallo scolorimento delle tele all’annerimento dei marmi, passando per il rigonfiamento del legno e la polverizzazione delle superfici.
La maglia nera del museo più inquinato spetta al Museo della Navigazione fluviale di Battaglia Terme, in provincia di Padova, dove sono state misurate concentrazioni di ozono 20 volte superiori alla legge. Aria “irrespirabile”, almeno per le opere esposte, anche al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dove la concentrazione del biossido di azoto raggiunge i 5 µg/mc, superando di 15 volte i valori soglia imposti dalla normativa nazionale. Non va meglio alla Capitale, dove sono stati monitorati i Musei Capitolini, l’Istituto del Risorgimento Italiano e il Museo delle Arti Orientali.
Ma al di là dei singoli “piazzamenti”, quello che preoccupa è il dato complessivo: in tutti i musei, infatti, appare molto critica la situazione del biossido di azoto e dell’ozono, che sono risultati superiori ai limiti di legge in tutti i casi presi in esame. Il biossido di zolfo, invece, presenta in genere livelli più bassi di concentrazione, ma si tratta di una sostanza prodotta dai combustibili usati per il riscaldamento, che quindi aumenta durante i mesi più freddi.