\"Italia, la trincea dell´effetto serra\"
Rapporto choc: siamo tra i più a rischio del pianeta. "Ma agire si può" - da La Repubblica del 11.12.2007
11 December, 2007
<b>Antonio Cianciullo</B>
Ma che succederà veramente sul pianeta quando ci saranno due, tre, forse quattro gradi in più? L´ultima volta che è successo non c´erano cronisti a raccontarlo e dunque bisogna procedere per deduzione. Ci hanno provato due gruppi di ricercatori, quello della Purdue University, il laboratorio statunitense specializzato nello studio degli impatti del cambiamento climatico, e il Centro internazionale di fisica teorica Abdus Salam, a Trieste. E il risultato è destinato a pesare sulla trattativa Onu in corso a Bali perché dimostra come il colpo assestato dal surriscaldamento globale non si possa misurare solo con il metro della fisica: non contano solo i record del caldo - che purtroppo continuano a crescere - ma l´organizzazione sociale, la ricchezza accumulata, i trend demografici.
Sommando questi fattori si mette assieme un altro tassello del puzzle climatico. Dopo aver trovato i colpevoli (l´uso dei combustibili fossili e la deforestazione), con la ricerca Indicators of 21st Century Socioclimatic Exposure ("Indicatori del rischio socioclimatico del 21° secolo") s´individuano le vittime e si scopre che l´elenco dei danneggiati è lungo e non scontato. Ci sono, come era ovvio aspettarsi, i paesi più poveri, che non hanno le risorse per riadattare il loro territorio al nuovo clima, e quelli che vivono a fior d´acqua, destinati a venire sommersi dalla risalita del mare. Ma ci sono anche i paesi ricchi, quelli che hanno molto da perdere e che, in mancanza di azioni correttive, molto perderanno. E c´è l´Italia, che si trova esposta in prima fila per vari motivi.
«Integrando le simulazioni climatiche di diversi indicatori socioeconomici, come povertà, popolazione e ricchezza, abbiamo creato un sistema di misura che definisce il rischio socio-climatico paese per paese», spiega Filippo Giorgi, vicedirettore del primo gruppo di lavoro del Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (Ipcc) e coautore dello studio assieme a Noah Diffenbaugh e Leigh Raymond. «Nella prima fascia di rischio troviamo Cina, Stati Uniti orientali, Bangladesh. La Cina perché è esposta per via della popolazione molto numerosa, per quasi metà ancora nella fascia di povertà e per una parte significativa benestante. Il Bangladesh per motivi demografici, di reddito e di collocazione geografica».
L´Italia è particolarmente a rischio perché si trova al confine tra due aree climatiche e sarà sottoposta alla pressione derivante dall´allargamento della fascia tropicale. Inoltre dei 3975 chilometri di coste basse, oltre un terzo è minacciato: il mare può sfondare su un fronte lungo 1384 chilometri e oltre trenta tratti di costa potrebbero cedere alla pressione del mare entro la fine del secolo.
«Nella questione cambiamenti climatici la partita economica è diventata centrale: la compatibilità ambientale comincia a regolare il valore delle merci e a influenzare gli scambi», ricorda Valeria Termini, presidente del Comitato interministeriale per i cambiamenti climatici creato da Prodi nel giugno scorso e responsabile tecnico della delegazione italiana. «Ed è significativo che a Bali, per la prima volta durante le trattative sulla difesa dell´atmosfera, siano presenti i ministri dell´Economia o i loro delegati assieme ai rappresentanti del commercio estero». «La prospettiva del surriscaldamento globale è diventata tanto concreta che l´abbiamo inserita nei parametri per calcolare la vera ricchezza a disposizione degli italiani», aggiunge il sottosegretario all´Economia Paolo Cento. «Se non si previene il disastro climatico questa ricchezza diminuirà: solo il debito ambientale per i ritardi nell´attuazione del protocollo di Kyoto ci costerà attorno ai 10 miliardi di euro».