Economia del pedibus: quanto costa, quanto vale, chi lo paga
Lo scuolabus pedonale è ormai una realtà in molte città italiane. C'è chi lo ha trasformato in una opportunità di lavoro per studenti e pensionati, e chi rischia di doverlo cancellare per mancanza di fondi. A finanziarlo sono quasi sempre gli enti locali, ma non mancano le sorprese. Viaggio alla scoperta degli aspetti economici del pedibus
01 September, 2010
Di pochi giorni fa la notizia che il Comune di Udine ha pubblicato un bando per la selezione di 22 accompagnatori per il pedibus, che saranno retribuiti attraverso voucher proporzionali al numero di “corse” effettuate. Situazione opposta a Comiso, in provincia di Ragusa, dove il servizio di accompagnamento pedonale degli alunni rischia di essere soppresso per la cancellazione - causa mancanza di fondi regionali – dei progetti di servizio civile. Ma quali sono i risvolti “economici” dello scuolabus a piedi operativo ormai in molte scuole italiane? Chi ne sostiene i costi, e quali le possibili ricadute occupazionali?
Lavorare con il pedibus. Nella stragrande maggioranza dei casi, gli accompagnatori dello scuolabus pedonale non vengono retribuiti, ma si tratta genitori e nonni che a turno accompagnano i bambini, su base del tutto volontaria. È una regola generale che però ha avuto qualche eccezione significativa. È stato già citato il caso di Udine, ma anche il Comune di Parma, l'anno passato, aveva messo a disposizione dei volontari un rimborso spese. Nel 2007/2008, in provincia di Bolzano, era previsto un compenso orario di circa 8 euro per i nonni che accompagnavano i bambini (il progetto era cofinanziato dalla Regione Friuli). E se il pedibus non offre ancora una vera e propria opportunità di lavoro per gli aspiranti accompagnatori, può invece rappresentare una occasione per le associazioni del territorio. Infatti, anche se nella maggioranza dei casi è il Comune stesso, insieme alle scuole e ai genitori, a mettere in piedi il progetto, a volte il servizio di pedibus viene “appaltato” ad onlus attive nel sociale o nella protezione ambientale, che curano gli aspetti organizzativi, la formazione degli accompagnatori, la promozione, etc. Fare un elenco completo sarebbe impossibile (spesso si tratta di piccole realtà locali), ma anche le associazioni più grandi, come Wwf e Legambiente (Padova, Fidenza) gestiscono in alcuni casi il servizio.
Quanto costa. Anche se si fonda sulla disponibilità di accompagnatori volontari, il servizio ha comunque dei costi: corso di formazione per gli “autisti” del pedibus, acquisto dei materiali necessari (come le pettorine catarifrangenti, i berretti per i bambini e i cartelli per le fermate), la pubblicità, l'eventuale sito internet, il reclutamento degli scolari, etc. I costi sono molto variabili, e vanno da poche centinaia di euro per le pettorine e i cappellini (a Caserta, tanto per fare un esempio, nel 2010 il comune ha stanziato 850 euro a un'associazione locale per l'organizzazione del pedibus) a diverse migliaia di euro quando si prevedono anche investimenti pubblicitari, interventi di messa in sicurezza delle strade o la costruzione di piste ciclabili (nel caso in cui sia attivo anche il bicibus). Costi che, di solito, sono sostenuti dalla stessa amministrazione comunale. In alcuni casi, però, il pedibus può contare su finanziamenti provinciali o regionali (è il caso dei progetti di Servizio civile nazionale, che a volte hanno per oggetto proprio la realizzazione di un servizio di scuolabus a piedi, anche se nel data base del Scn al momento non risultano bandi su questo tema). Meno frequenti le sponsorizzazioni da parte di soggetti privati. A Lecco, per esempio, almeno negli anni passati, la fondazione Cariplo sponsorizzava il servizio. La stessa fondazione, insieme a Naturcoop, nel 2008 ha finanziato un progetto sulla mobilità sostenibile nella Valle del Ticino che prevede anche il pedibus. Enia Energia, per citare un altro esempio, ha finanziato il progetto del Comune di Formigine. In rarissimi casi, infine, viene richiesto un contributo ai genitori dei bambini. Succede, ad esempio, a Prato, dove nel 2010 l'adesione al servizio costava 10 euro.
Occhio ai tagli. Nella grande maggioranza dei (pochi) casi, sono dunque gli enti locali ad assicurare la copertura finanziaria del pedibus. È per questo che i tagli della recente Finanziaria potrebbero mettere a rischio la sopravvivenza del servizio, come sembra essere già successo a Comiso, in provincia di Ragusa, dove il pedibus locale potrebbe essere sospeso in seguito alla cancellazione dei progetti di Servizio civile da parte della Regione Sicilia. Oltre allo scuolabus a piedi, rischia la soppressione anche il progetto “Imparare giocando”, contro la dispersione scolastica. In ballo, a parte le intuibili ricadute di carattere educativo e sanitario (la sedentarietà e l'obesità infantili rappresentano ormai un'emergenza in tutto il mondo occidentale), ci sono effetti tangibili sulla qualità dell'aria. Si stima, infatti, che in un intero anno scolastico un pedibus di cento bambini possa far risparmiare fino a 600 litri di benzina.