Smog a Napoli, il Porto ammette le proprie responsabilità e propone interventi ecosostenibili. Ma il boom di PM10 dal 2008 non è addebitare alle attività portuali
Il Porto di Napoli, in un documento ufficiale, ammette le proprie responsabilità sull’inquinamento urbano. L’Autorità Portuale si è impegnata ad attuare interventi strutturali per abbattere le emissioni: introduzione “cold ironing”, razionalizzazione illuminazione, produzione energia da fonti rinnovabili e nuovi collegamenti stradali e ferroviari. Il PM10 raddoppiato, secondo dati Arpac, tra il 2007 al 2008 non è però da addebitare al Porto
09 October, 2010
Il porto di Napoli, in seguito alle dure polemiche che l’avevano investito a causa dei livelli record di emissioni inquinanti dovute alle attività portuali, ha deciso di replicare pubblicamente alle accuse provenienti da istituzioni, società civile, associazioni e Ministero dell’Ambiente, impegnandosi in interventi strutturali: introdurre il sistema elettrificato “cold ironing” per le navi ormeggiate, razionalizzare l’illuminazione, introdurre impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e realizzare nuovi collegamenti stradali e ferroviari.
L’Autorità Portuale, nella persona dell’ammiraglio Luciano D’Assatti, ha annunciato questi provvedimenti pubblicamente durante un convegno, contenuti nel documento “Inquinamento atmosferico proveniente dall’area porto”, testo in cui si analizza il problema elencando i vari sudi effettuati nel corso degli ultimi 20 anni, e nel quale si propongono precisi impegni da attuare anche con la collaborazione degli enti locali.
L’Autorità Portuale quindi ripercorre in breve la storia delle ricerche relative all’inquinamento portuale elencando tre studi: il primo del 1986, “Servizio controllo inquinamento atmosferico”, che individuava nel traffico veicolare (abbinato alla bassa velocità di scorrimento), la principale fonte di inquinamento atmosferico della città; il secondo, del 2006, ad opera dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e dall’Aci, “Emissioni da motori di impiego navale e riflessi sull’inquinamento dei porti e delle coste”, basato non su rilevazioni ambientali bensì sul tipo di navi, sulla navigazione effettuata e sul numero di approdi individuava come significative (il 17%) l’incidenza delle emissioni di polveri e di ossido di azoto provocate dal traffico navale; l’ultimo, l’ormai nota ricerca del 2008 ad opera del Comitato Scientifico Gianbattista Vico – Primate Denaum ed in particolare del professor Francesco Varriale “Attività del Porto di Napoli e inquinamento da PM10”. Nel documento si riepiloga il contenuto dello studio del Comitato Scientifico: la principale fonte di inquinamento in città è il porto con il 45.3% delle emissioni di PM10 ma, secondo lo stesso Comitato, non è ipotizzabile attribuire alle attività portuali l’aumento delle PM10. Quindi si cita una dichiarazione di Legambiente secondo cui il traffico veicolare sarebbe responsabile dell’emissione di circa il 50% del PM10 e degli ossidi di azoto.
Nel documento si ammette quindi che è l’attività portuale la principale fonte di inquinamento urbano , senza però spiegare l’incremento di emissioni di polveri sottili registrato in città tra il 2007 e il 2008.
Si individuano quindi le quattro principali attività causa di inquinamento effettuate nel porto:
1. Ciclo trasporto merci (emissioni navali e da mezzi terrestri gommati);
2. Attività industriali svolte (cantieristica, demolitori navali, petrolifera, movimentazione merci);
3. Traffico veicolare ( imbarco, sbarco e viabilità pubblica adiacente a quella cittadina);
4. Normali attività umane svolte nelle varie strutture (riscaldamento);
Attività che avvengono in ogni porto italiano, ma perché a Napoli hanno il peggiore impatto inquinante sull’atmosfera?
Nel documento si procede quindi ad una distinzione tra il traffico marittimo e il traffico veicolare di terra, operazione necessaria – si legge – per attuare strategie di azione per ridurre le fonti inquinanti, in base alle diverse competenze attribuita all’Autorità Portuale e agli Enti locali. Si sottolinea infatti che il compito di adottare iniziative riguardanti il traffico veicolare portuale in chiave ambientale è di competenza degli enti locali, ma non avrebbe senso introdurre vincoli o divieti alla circolazione limitatamente all’ambito portuale a cui accedono veicoli provenienti da ogni parte d’Italia.
L’Autorità Portuale nel documento elenca quindi i propri impegni, e i possibili interventi strutturali, da attuare di concerto con gli Enti.
Per ridurre le emissioni provenienti dalle navi:
- verifica del rispetto dei divieti e degli obblighi stabiliti dalla legge 205/2007, in particolare riguardo al rispetto dei limiti del tenore di zolfo dei combustibili per navi all’ormeggio;
- introduzione sistema “cold ironing”, ovvero alimentazione ad energia elettrica delle navi ormeggiate, prima in via sperimentale e poi estesa all’intero porto;
- razionalizzazione dell’illuminazione e dei servizi elettrici portuali connessa alla realizzazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Per ridurre emissioni da mezzi terrestri gommati:
- nei prossimi tre anni sarà avviata una fase di progettazione, ricerca di risorse finanziarie e realizzazione di nuovi collegamenti stradali e ferroviari d’intesa con la Regione e con il Comune viste anche le previsioni di traffico portuale che per il 2020 indicano un aumento del traffico merci nel porto di Napoli del 211%.
Per ridurre emissioni da attività industriali:
- approfondimento con Arpac dei vincoli ambientali da rispettare per l’effettuazione delle lavorazioni da parte dei demolitori navali;
- studio degli effetti delle operazioni di verniciatura e sabbiatura ed individuazione delle azioni da svolgere per l’eventuale mitigazione delle attività.
aggiornamento: il professor Francesco Varriale ha risposto ad alcune nostre domande sulla questione inquinamento portuale. Pubblichiamo la sua breve risposta in attesa dei prossimi studi del Comitato Scientifico "Primate Denaum".
"Al momento posso solo ribadirLe che pur essendo l'attività portuale la riconosciuta principale fonte di inquinamento sono sempre persuaso (con fondatezza di causa) che non possa ad essa attribuirsi l'aumento dell'inquinamento registrato a partire dal 2008 (ciò lo accenno anche nel mio studio sul Porto).
Ho ragione di pensare che le città dotate di grandi porti non hanno una situazione molto differente dalla nostra anche perchè il dato del'ISPRA del 63% non mi pare molto affidabile (ho iniziato ad analizzare i rapporti ISPRA)".