Messa al bando dei sacchetti di plastica: e noi produttori vinceremo il ricorso al Tar. Intervista ad Enrico Chialchia, direttore di Unionplast
Ricorso dei produttori di sacchetti di plastica contro la delibera del Comune di Torino che mette al bando gli shopper non biodegradabili. Intervista di Eco dalle Città ad Enrico Chialchia, direttore di Unionplast. Secondo Chialca: “il provvedimento adottato dal Comune di Torino è palesemente disallineato rispetto alla direttiva comunitaria 94/62”. Legambiente "sostiene questa coraggiosa scelta dell'Amministrazione Comunale e si oppone al ricorso presentato dai produttori di shopper in plastica"
10 November, 2010
I produttori di sacchetti di plastica hanno presentato ricorso al Tar contro la delibera del Comune di Torino che mette al bando le buste di plastica non biodegradabili. Legambiente Nazionale e Legambiente Piemonte e Valle d'Aosta presentano un intervento ad adiuvandum a favore del Comune di Torino. "Legambiente - si legge in una nota dell'associazione ambientalista - sostiene questa coraggiosa scelta dell'Amministrazione Comunale e si oppone al ricorso presentato dai produttori di shopper in plastica". Eco dalle Città ha intervistato Enrico Chialchia, direttore di Unionplast.
Da chi è promosso il ricorso?
Da Unionplast, la società confindustriale che rappresenta i produttori di sacchetti di plastica non biodegradabili e biodegradabili: si tratta di un unico soggetto che raccoglie sia le aziende che fanno sacchetti biodegradabili, sia quelle che fanno sacchetti non bio.
Quali sono le motivazioni principali che hanno portato a presentare il ricorso?
Sono diverse. Innanzitutto su un profilo normativo il provvedimento adottato dal Comune di Torino è palesemente disallineato rispetto alla direttiva comunitaria 94/62 che disciplina la gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio.
Tutti quanti, sia legislatore nazionale che ancora di più quello locale, dobbiamo attenerci a quelle che sono le indicazioni contenute all'interno della direttiva comunitaria. Siccome il sacchetto è un imballaggio, prima di scrivere “stupidate”, uno dovrebbe guardare alla direttiva comunitaria e capire se in quella direttiva comunitaria è prevista una messa al bando dei sacchetti di plastica oppure no. Siccome molti quotidiani hanno scritto che c'è una direttiva comunitaria che mette al bando i sacchetti di plastica cominciamo a dire che questa cosa non esiste. Non c'è nessuna direttiva comunitaria che preveda il divieto di produzione e commercializzazione di sacchetti non biodegradabili.
Perché c'è questo disallineamento tra l'ordinanza del comune di Torino e la direttiva comunitaria cosiddetta packaging waste? La direttiva prevede una cosa molto semplice all'articolo 9. Un imballaggio può essere messo al bando nella misura in cui non soddisfi nessuno di quattro requisiti, che vengono definiti "requisiti essenziali": se un imballaggio non è riutilizzabile, quindi usato più volte, se un imballaggio non è recuperabile per via energetica, se un imballaggio non è riciclabile, se un imballaggio non è biodegradabile. Quindi se un imballaggio non ha almeno uno di questi quattro requisiti allora è giusto che quell'imballaggio “faccia una brutta fine”.
Prendiamo il sacchetto di plastica e facciamo una comparazione con il sacchetto bio. Il sacchetto di plastica è riutilizzabile più volte. E' recuperabile per via energetica, nel senso che se bruciato nel termovalorizzatore è meglio del petrolio. E' riciclabile, nella misura in cui i sacchetti stessi sono fatti di plastiche riciclate. Il sacchetto di plastica non è biodegradabile, non soddisfa quindi un requisito.
Il sacchetto bio non è riutilizzabile perché è monouso per definizione, nel senso che se trasporta la merce una volta è già un miracolo perché, purtroppo, ha delle prestazioni che non sono adeguate, quindi è scarsamente riutilizzabile. Non è recuperabile per via energetica perché ha una componente organica che rappresenta un problema per il termovalorizzatore. Non è riciclabile. Ha un requisito: la biodegradabilità e la compostabilità. Il sacchetto di plastica è ampiamente rispondente, per tre requisiti su quattro, alla direttiva comunitaria 94/62.
Qualcuno dovrà spiegarci, a partire dall'assessore Tricarico, perché abbiano posto questo divieto in capo ai sacchetti di plastica. Quello che andava fatto era invece una campagna di stimolo a riutilizzare più volte i sacchetti di plastica. Oltretutto la diffusione di sacchetti biodegradabili dal punto di vista culturale è un passo indietro rispetto a quanto fatto finora: sono dei manufatti usa e getta per definizione. Nel 2010 dovremmo in qualche modo abbandonare il più possibile il concetto di usa e getta e dovremmo tutti quanti puntare sul riutilizzo.
C'è inoltre il rischio che il sacchetto biodegradabile comunichi un messaggio pericolosissimo: mi puoi abbandonare dove vuoi nell'ambiente tanto poi io scompaio. Ecco, non è così perché il sacchetto in biopolimeri degrada e biodegrada solo in determinate condizioni nei compostatori, nei centri di compostaggio. Invece il sacchetto bio trasmette un messaggio rassicurante: abbandonami pure sulla spiaggia tanto poi comunque io sparisco. Non è così, quel sacchetto sulla spiaggia rischia di rimanerci degli anni, dei decenni.
Nel caso il governo nazionale adottasse una misura simile a quella del Comune di Torino, cosa farete?
Faremo esattamente quello che abbiamo fatto rispetto all'ordinanza del Comune di Torino, rivolgendoci alla Commissione europea. Sottolineo che la Commissione europea è già intervenuta su un caso identico che ha riguardato il governo francese: in Francia fu redatto un provvedimento a livello nazionale, poi declinato nel concreto con un decreto ministeriale che in forma di bozza fu inviato alla Commissione europea, la quale analizzò il provvedimento francese e nel decreto ministeriale ravvisò una serie di infrazioni. Partì nei confronti del governo francese una lettera di messa in mora che portò il governo a ritirare quel tipo di provvedimento.
Se oggi in Italia si dovesse continuare su questa strada anche a livello nazionale, nel concreto, il governo dovrà emanare un decreto ministeriale. Se dovesse farlo, è chiaro che con tutta probabilità ci ritroveremo a carico del nostro Paese un'ennesima procedura di infrazione da parte della Commissione europea.
Quindi, francamente, essendoci quel precedente, sapendo che il provvedimento è disallineato rispetto alla direttiva comunitaria, sapendo che non ci sono biopolimeri in quantità sufficiente per soddisfare la richiesta di sacchetti, e stabilito che rischiamo di penalizzare il consumatore che si ritroverà obbligato a usare un solo prodotto senza poter scegliere (un prodotto che ha scarse prestazioni e che costa tre volte di più del sacchetto di plastica): tutte queste cose sommate dovrebbero portare ad un buon senso che in qualche modo eviti di procedere su una strada ricca di ostacoli.
La rivolta della plastica - da La Stampa del 05.11.2010
Legambiente si oppone al ricorso dei produttori di sacchetti di plastica - Comunicato stampa Legambiente del 06.11.2010
4 commenti
Scrivi un commentoGiovanni Salcuni
15.11.2010 12:11
Personalmente, parto sempre da un concetto base nell'esprimere la mia opinione, cioè il rispetto del pensiero/opinione altrui, e , almeno come auspicio, mi attendo lo stesso tipo di rispetto da parte di chi ha una opinione diversa.
Tuttavia, se il mio intervento ha suscitato ilarità da parte della Sig.ra Silvia Ricci, bè allora ne sono contento perchè la sua giornata sarà stata rallegrata da ciò.
A parte scherzi, ritengo che oggi , sopratutto su un tema importante come la sostenibilità ambientale legata a quella industriale, ci sia sempre più bisogno di opinioni e fatti provenienti da chi è del settore. Il sottoscritto è responsabile per l'Italia di una delle più importanti aziende europee produttrici di bioplastiche bio-compostabili ed è socio del Consorzio Italiano Compostatori oltre che del Gruppo Unionbioplast c/o Federazione Gomma Plastica, ma non ritengo questo un "dato di demerito". Credo anzi che il contributo informativo proveniente da chi opera nel settore sia proprio ciò di cui ci sia maggiormente bisogno, sopratutto considerando il grado di disinformazione e/o malainformazione alla quale il cittadino, lui sì vera vittima di ciò, assiste impotente. La Sig.ra Silvia Ricci, oltre che cittadino, è una persona operante nel settore ed il suo intervento( condivisibile o meno )come quello di altri operatori di settore, è ciò di cui oggi si ha bisogno. Poi si può essere d'accordo o meno. Personalmente, al di là degli incarichi che ricopro, ho cercato, cerco e continuerò a cercare di dare un contributo informativo che sia il più possibile obbiettivo e neutrale ( almeno secondo me , dato che è impossibile "eliminare del tutto " la propria individualità intellettuale ).
Fatta questa premessa, vorrei sottolineare nuovamente che, al di là di qualunque iniziativa di settore, ciò di cui si deve e si dovrà sempre più tenere presente è: 1) il fine ciclo vita dei prodotti che usiamo 2) la difesa dell'industria manifatturiera Italiana ( ed Europea ). Il tutto nell'ambito di una maggiore attenzione e focalizzazione della sostenibilità ambientale, che però non può essere svincolata da una sostenibilità ( vera ) industriale e comportamentale . Da qui nasce l'esigenza, da un lato , di un sempre più elevato livello di educazione comportamentale del cittadino per quanto riguarda il corretto utilizzo dei prodotti che usa ( con finalità di corretto riciclo insieme allo smaltimento della frazione umida organica ). Dall'altro lato, la valorizzazione insieme all'innovazione della produzione industriale.
Porre l'accento quindi nel rispetto delle regole invece che nella guerra di prodotti credo che sia la cosa più importante.
Demonizzare un prodotto, qualunuqe esso sia, può soltanto produrre danni al settore/ri manifatturiero/i di riferimento. Educare invece e promuovere l'utilizzo di nuovi prodotti innovativi credo che sia la soluzione ( o almeno una delle soluzioni ). Innovazione e sostenibilità ambientale non significa tornare indietro nel tempo, anzi. Personalmente ( e sempre nel rispetto dell'opinione altrui ), se vogliamo analizzare davvero il "vero" impatto ambientale della busta riutilizzabile, allora non si può non considerare ( tra i pro ed i contro )l'impatto ambientale negativo derivante da una busta che viene prevalentemente realizzata in estremo oriente e , quindi, deve affrontare un viaggio lungo per arrivare in europa ( con conseguente emissione di CO2 e consumo di carburante ) oltre al fatto che , proprio per il suo riutilizzo, la si deve lavare ( quindi, consumo di energia - dato che va in lavatrice - oltre che di detersivi ). In aggiunta, c'è poi da riflettere su "come tale busta" sia stata prodotto in estremo oriente, quali prodotti chimici sono stati utilizzati per la sua realizzazione. Non dimentichiamoci che mentre in Europa le industrie ( tutte e di ogni settore ) sono soggette giustamente a vincoli ambientali e produttivi a tutela dell'utilizzatore, non sempre la stessa strada è percorsa al di fuori dell'Europa ( basta pensare a quanti casi di prodotti "non a norma" le cronache ci riportano ogni giorno per merce proveniente da fuori dell'Europa ).
Vanno poi considerate le implicazioni di ordine "pratico" perchè non sempre "ci ricordiamo" di portare la busta da casa. Ad ogni modo, va poi sottolineato che ( ed in questo io sarò sempre un fermo sostenitore dell'industria Italiana/Europea perchè senza di essa il paese/paesi crolla/no ) l'industria della trasformazione delle materie plastiche è una risorsa per ogni paese non un danno, ci sono milioni di occupati, decine di migliaia di aziende che operano in questo settore. Spesso viene utilizzata come immagine demonizzatrice di questo settore quella del "povero delfino" con un sacchetto di plastica addosso. Ma di chi è la colpa? Di chi ha realizzato quell'imballaggio o di chi lo ha "criminalmente" gettato in mare? Se usiamo questo concetto, allora di dovrebbe demonizzare e fare campagna mediatica "contro" anche nei confronti dell'indutria dei motocicli e degli elettrodomestici perchè nel golfo di Napoli sono stati trovati ciclomotori e lavatrici usate e buttate lì.
In definitiva, quindi, è il "comportamento di noi tutti" il primo fattore determinante, la nostra educazione , non il prodotto. Dopodichè plastica, bioplastica, borse in tela o carta, tutti hanno punti a favore e contro e tutti hanno i loro spazi applicativi e di utilizzo. Ciò però che ritengo sia importante è il rispetto delle regole ( anche da parte di chi produce fuori dell'Europa ) insieme ad una migliore educazione compostamentale dell'individuo, della società, in un ottica di sempre maggiore attenzione al riciclo, all'utilizzo delle risorse che abbiamo ( comprendendo anche i rifiuti umidi ) al fine di migliorare la nostra vita, l'ambiente , l'indutria manifatturiera e l'agricoltura ( che, come sappiamo, sono le nostre vere risorse/materie prime dato che "non abbiamo petrolio" ).
Perdonatemi la lunghezza dell'intervento e saluto cordialmente sia chi sarà d'accordo e sia chi non lo condividerà.
Giovanni Salcuni
Direttore Commerciale Italia
BIOSPHERE
www.biosphere.eu
Associazione Comuni Virtuosi
14.11.2010 09:11
E' partita dal marzo del 2009 una campagna denominata "Porta la Sporta" con adesioni da parte del WWF, Italia Nostra e recentemente TCI e Legambiente, di cui Eco dalle città si è più volte occupato, come unico media sulla piazza di Torino insieme a Nuova Società.
Unica nel suo genere e non solamente in Italia la campagna promuove la cultura del riutilizzo,la prevenzione dell'imballaggio inutile a partire dal suo testimonial più diffuso, il sacchetto usa e getta. Analizzando l'abuso che si fa del sacchetto informa l'opinione pubblica sui danni globali che il consumo usa e getta ha causato all'ambiente e la sollecita tramite informazione e mirata e suggerimenti alternativi a modificare da subito comportamenti che compromettono il futuro del pianeta e dei nostri figli. La campagna offre suggerimenti, schemi di azione e materiali a negozi (QUALE ALTRA INIZIATIVA SUPPORTA I SINGOLI NEGOZI NELL'AFFRONTARE IL CAMBIAMENTO E AD EDUCARE IN PROPRI CLIENTI ?), amministrazioni pubbliche, scuole, ecc. GRATUITAMENTE. Presto due importantissime città d'arte italiane aderiranno alla campagna, al contrario dell'amministrazione di Torino che ha rifiutato il supporto da noi offerto ritenendo sufficiente emettere un divieto. Anche le associazioni del commercio locale esortate più volte a fare una semplice comunicazione agli associati non hanno MAI risposto formalmente ritenendo evidentemente inutile la cosa senza dare quindi la possibilità ai propri associati di valutarne una eventuale utilità.
Il ricorso al Tar di Unionplast verso la prima grande città che avrebbe emesso un'ordinanza era prevedibile e il risultato a Torino è sotto gli occhi di tutti. A parte la grande distribuzione basta andare nei mercati per vedere che molto poco è cambiato. Quanto accade all'estero che noi costantemente monitoriamo dimostra che la battaglia al sacchetto è un'impresa ardua e complessa perché va a toccare interessi e lobby dominanti e che per avere qualche chance bisogna combattere tutti insieme: società civile, associazioni ambientaliste e spontanee, istituzioni e aziende dando ognuno il proprio contributo, che va messo in condivisione quando valido e replicabile arricchendolo e possibilmente evitando duplicati inutili anche solamente per non sprecare risorse disperdendo gli sforzi. Lo hanno capito e lo mettono in pratica, ancor prima di tante istituzioni, gruppi leader della grande distribuzione inglese come Tesco che dichiara che la missione del gruppo per arrivare a ridurre le emissioni di gas serra dei propri punti vendita, consiste nel mettere a disposizione dei propri consumatori prodotti e soluzioni che consentano di virare verso un low carbon lifestyle, (stile di vita a basso impatto nella produzione di gas serra) e comunicare e promuovere queste queste opportunità creando consapevolezza nei consumatori e nelle comunità in cui opera collaborando con gli enti che operano per diffondere la cultura della sostenibilità e con tutti gli attori del settore.
Questo è quello che manca nel nostro paese in cui prevale la politica dell'annuncio, un lavoro umile e quotidiano che consista nell'impostare programmi e azioni efficaci e a LUNGO TERMINE con esiti misurabili come richiesto dalle politiche per l'ambiente.
L'Associazione dei Comuni Virtuosi che promuove questa campagna ha comuni con il 90% di raccolta differenziata e questi risultati non sono arrivati né spendendo centinaia di migliaia di euro in campagne di comunicazione o congressi ma lavorando sul campo, QUOTIDIANAMENTE con la partecipazione dei cittadini risolvendo le criticità, accogliendo i suggerimenti e soprattutto facendo capire alle persone che l'ambiente è di tutti, che i soldi buttati a causa di differenziate mal fatte o abbandono dei rifiuti sul territorio va a loro discapito e che la soluzione a tante problematiche ambientali siamo noi. Se noi cambiamo i nostri comportamenti, anche le istituzioni e le aziende se ne accorgeranno e ne terranno conto nelle loro politiche. La questione posta da Giovanni Salcuni, che dimostra di essere più di un semplice cittadino informato ma di avere un qualche rapporto con le aziende del settore, fa semplicemente ridere. Si rifà sicuramente a due studi effettuati da due università americane lo scorso anno che hanno esaminato campioni di borse riutilizzabili trovando tutta una serie di germi e batteri anche pericolosi per la salute pubblica. Le loro conclusioni , udite udite, perché c'era bisogno di esperti per capirlo, sono che gli utenti dovrebbero essere messi al corrente che le borse vanno lavate, che non si possono mettere alimenti freschi a diretto contatto senza protezione, ecc, ecc. Il punto è che si tratta di rispettare semplicemente le norme igieniche di base senza le quali tutto ciò che non è monouso, come i vestiti che indossiamo è potenzialmente veicolo di infezione. A cominciare dagli esiti mortali spesso causati dalla scarsa igiene negli ospedali spesso ad opera di medici e operatori ospedalieri e mancato rispetto delle procedure. Quello che sarebbe interessante scoprire è chi ha finanziato lo studio visto che ci sarebbero ben altre priorità parlando di minacce alla salute pubblica a cominciare dalla sostanze potenzialmente tossiche per la salute umana contenute nei contenitori alimentari, nei prodotti per l'igiene personale e della casa, nei cosmetici, ecc, ecc. che evidentemente non attraggono finanziamenti corporate.
Silvia Ricci
Coordinatrice Nazionale
Campagna Porta la Sporta
Associazione dei Comuni Virtuosi
redazione@portalasporta.it
Giuseppe Miccoli
12.11.2010 16:11
Sono d'accordo con l'impostazione di Giovanni Salcuni. Sicuramente le politiche di comando e controllo o le legislazioni molto stringenti (con divieti assoluti) non hanno quasi mai premiato. Molto meglio sarebbe stata una tassa ambientale sulle buste di plastica non biodegradabili, rendendo più convenienti quelle della plastica biodegradabile, (ponendo la giusta attenzione sulla conformità della Norma EN 13432). In aggiunta, il fondo derivante dalla ecotassa potrebbe servire agli usi più eco sostenibili disparati. Cionostante trovo corretto affermare che l'uso e il riuso di una borsa di tela o di cotone si avvicini più alla sensibilità espressa dalla direttiva europea 98/2008 di un mero sacchetto di plastica. Riguardo alla problematica dei germi, io lavo semplicemnte le mie borse di tela in lavatrice insieme agli altri indumenti.
Giovanni Salcuni
11.11.2010 13:11
Ritengo, nel pieno rispetto delle opinioni altrui, che si continui a commettere degli errori su questo tema. Il concetto di base non deve essere quello di plastica contro bioplastioca e viceversa, perchè se si pone la questione come una mera guerra fra prodotti ( oltretutto, plastica e bioplastica sono comunque entrambe materie plastiche che vengono utilizzate dalle stesse aziende trasformatrici dell'una e dell'altra ), non ci saranno vincitori ma soltanto vittime. Quali? Il settore della trasformazione di questi prodotti. Non ha alcun senso produrre una diatriba se sia migliore la plastica della bioplastica. Esistono pessimi sacchetti di plastica e ottimi sacchetti di plastica ( sotto il profilo prestazionale ) esattamente come esistono pessimi sacchetti di bioplastica e ottimi sacchetti di bioplastica. Dipende esclusivamente da come si realizza il prodotto. Io posso, per esempio, essere sicuro di acquistare un'ottima autovettura di marca tedesca, ma se per caso quella autovettura nsce male, ciò non significa che tutte le autovetture di quella marca siano pessime. Ciò è valido sia per i manufatti in plastica che per quelli in bioplastica. La cosa importante, sulla quale invece si sarebbe dovuto concentrare l'attenzione, è il rispetto delle regole e delle Norme. Sulla bioplastica, è di vitale importanza che i sacchetti, i manufatti, gli imballaggi siano realizzati in piena conformità alla Norma EN 13432, cioè la Norma sulla compostabilità degli imballaggi. In questo, il Comune di Torino ha sicuramente sbagliato perchè se l'intenzione della sua delibera era quella di sostituire " i sacchetti di plastica con quelli di plastica biodegradabile", purtroppo invece si è ottenuto esattamente l'effetto contrario di quello che si voleva ottenere. Anzi peggio, perchè la delivera parla di "sacchetti biodegradabili preferibilmente ( non obbligatoriamente ) conformi alla Norma EN 13432, con il risultato che l'area Torinese è stata invasa letteralmente da sacchetti di plastica additivati con sostanze degradabili ( e non conformi alla Norma EN 13432 ) e con la conseguenza che tali sacchetti non possono essere smaltiti nel ricilo della plastica nè tantomeno nella frazione umido organico della raccolta differenziata. Tali sacchetti possono soltanto andare ad incenerimento a fine ciclo vita. Quindi, ciò che è veramente importante è il fine ciclo vita dei prodotti che produciamo ed utilizziamo. Proprio per questo è cruciale l'approvazione della Direttiva Europea Quadro sui Rifiuti ( 98/2008) la quale ha come scopo l'aumento progressivo e la selezione dei rifitui che vanno a riciclo, nonchè l'aumento della frazione umido organica ( rifiuti biodegradabili ) per la produzione di compost organico. Quindi , il target è quello di ridurre la parte di rifiuti indifferenziati che vanno ad incenerimento, cercando di rendere il riofiuto sempre più una risorsa e sempre meno un problema. In questo ambito, le plastiche sono utili per i loro utilizzi di prodotti che , a fine ciclo vita andranno a riciclo, mentre le bioplastiche sono utili per tutti quei prodotti che a fine ciclo vita vanno nella frazione umido organico della raccolta differenziata per produrre compost organico. Ad ogni modo, va anche ribadito che i sacchetti attualmente realizzati in bioplastica non inducono affatto a smaltire / abbandonare il prodotto nell'ambiente ( su tali sacchetti è SEMPRE scritto che sono riutilizzabili per la raccolta dello scarto umido organico domestico ed è scritto chiaramente di non abbandonarli nell'ambiente ), questo sarebbe un erroe anche se è falso dire che , se lasciati in ambiente ci mettono decenni a biodegradare. Ognuno di noi può fare la prova nel giardino di casa senza però che ciò debba essere la pratica da adottare perchè lo scopo invece è quello non dell'abbandono in ambiente del prodotto ma del suo esatto conferimento nella propria filiera a fine ciclo vita. Questo deve essere valido per ogni materiale. Sarebbe davvero il caso di dare finalmente un freno a diatribe che saranno/sono soltanto di danno al settore. Sarebbe finalmente il caso di fare promozione, educazione, per plastica e bioplastica, al loro corretto utilizzo nel rispetto delle Norme, del corretto riciclo e compostaggio, senza , come sta invece succedendo adesso, demonizzare l'uno o l'altro prodotto. Ricordiamoci che è in gioco l'intero settore della trasformazione delle materie plastiche/bioplastiche. Anche perchè le buste riutilizzabili in rafia o tessuto sono soggette ( proprio per il loro riutilizzo) a formazione di germi, funghi, batteri e, perdonatemi se appaio come difensore del manifatturiero Italiano, sono prevalenbtemente prodotte in Asia.