Uscire dalla crisi mondiale: con la decrescita o con la “crescita sostenibile”?
Krisis, Oltre lo sviluppo Sostenibile: il confronto tra Maurizio Pallante (Movimento Decrescita Felice) e Vittorio Cogliati Dezza (Legambiente) sul tema “Sviluppo Sostenibile vs decrescita, gli attuali modelli di produzione e consumo” al Museo di Scienze Naturali di Torino
15 November, 2010
"Non si possono affrontare le sfide del futuro con gli strumenti del passato".
Manuel José Barroso
"Salvare la civiltà non è uno sport da spettatori".
Lester Brown
E’ stato un dibattito interessante quello che si è svolto durante il convegno Krisis, organizzato da Fnism Torino (Federazione Nazionale Insegnanti), Istituto Scholé Futuro e l’Associazione Ex allievi Liceo Classico V.Alfieri di Torino
Maurizio Pallante, fondatore in Italia del Movimento della Decrescita Felice e Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente, hanno affrontato il complesso tema della crisi mondiale proponendo due punti di vista diversi: da un lato la posizione di Pallante, che sostiene la necessità di ridurre la crescita economica per ritornare ad una società libera dall’imperativo consumistico che non si trovi costantemente in balia dei tracolli economico-finanziari, come oggi; dall’altra parte lo sviluppo sostenibile, che non rovescia il sistema ma cerca di cambiarlo gradualmente dall’interno, non rallentando la crescita ma indirizzandola verso tecnologie e stili di vita più ecocompatibile, come sostenuto da Cogliati Dezza.
“Ogni volta che si costruiscono teorie per salvare il mondo, si costruiscono religioni ha dichiarato il Presidente di Legambiente - Io penso che il nocciolo del problema, il diverso approccio tra sviluppo sostenibile e decrescita felice, sia la differenza tra il pensabile e il possibile. La decrescita si colloca nel pensante: fa bene perché rompe gli steccati ed apre prospettive nuove, ma confrontarsi con il possibile è ben altro.
Di tutt’altro avviso è Pallante, che sostiene invece che uno stile di vita più sobrio, l’autoproduzione, gli scambi mercantili e la riduzione delle merci che non sono dei beni possano realmente cambiare il mondo, perché “la decrescita è un potente strumento per sottoporre a critica e revisione il paradigma culturale della crescita, delineandone uno diverso. Naturalmente non ci si può autoprodurre tutto. Ma non tutto ciò che non si può autoprodurre si può solo comprare”. Pallante immagina la decrescita come un tirassegno, composto di tre cerchi concentrici. Quello più interno rappresenta la rivalutazione dell’autoproduzione dei beni e la fornitura diretta dei servizi alla persona. Nel cerchio successivo gli scambi non mercantili, e cioè quelli che si fondano sul dono e la reciprocità. Nel terzo cerchio ci sono gli scambi mercantili, nei quali va reintrodotta la dimensione sociale, che si concretizza nei gruppi di acquisto solidali. “Noi abbiamo confuso l’idea di ricchezza con quella di denaro. Ma questa era una cosa che avevano già imparato le civiltà primitive: con i soldi non si mangia e non si dorme, si comprano delle cose, delle merci che non è in grado di autoprodurre o di scambiare con dei lavori all’interno dei rapporti comunitari” conclude.
Ma il modello della decrescita così immaginato, non può tradursi in realtà secondo il Presidente Cogliati Dezza, che ribatte: “Noi non possiamo pensare che le teorie vadano bene per qualunque periodo storico: noi dobbiamo capire quale particolare congiuntura stiamo attraversando oggi e reagire di conseguenza. In un mercato di riduzione obbligata dei consumi, che senso ha parlare di decrescita come soluzione? Quando si dice che il reddito medio della popolazione negli anni è cresciuto, si dice una cosa vera, peccato che quello che conta in realtà non sia la media ma la mediana, e cioè la situazione del cittadino medio, che si è sempre più allontanata dal livello raggiunto dai cittadini più ricchi, e questo si è tradotto in precarietà. Ora, non credo che precarietà e felicità siano agli antipodi, perché pregiudica la possibilità di avere un progetto di vita.
Io non amo nessuna delle due definizioni, né decrescita felice né sviluppo sostenibile, che troppo spesso è solo uno slogan, ma dico che noi abbiamo bisogno di più crescita per avere più benessere per tutti, ma di una crescita che deve produrre prodotti radicalmente diversi da quelli che abbiamo oggi, sia per quanto riguarda la riduzione dei rifiuti che le energie alternative. Bisogna andare verso un nuovo modello energetico diffuso sul territorio, contro i monopoli, inaugurando una vera green economy. Con il termine green si intende un’economia che produce merci a bassa emissione di CO2, riducendo i danni ai cambiamenti climatici e costruendo un’economia e un lavoro diversi, in questo senso una prospettiva sì felice”.
Ma decrescita e sviluppo sostenibile non potrebbero andare di pari passo, senza estremismi? Su un punto i due relatori si sono trovati assolutamente d’accordo, e cioè che se la crescita è intesa come mero aumento del PIL, se viene cioè valutata esclusivamente in termini quantitativi e non qualitativi, non si tradurrà mai in benessere. Forse c’è un’altra chiave di lettura: che cosa intendiamo oggi e che cosa immaginiamo per il nostro futuro con la parola crescita?