Bari, impianto di compostaggio Grumo, la confisca confermata in appello
Venerdì 19 novembre 2010 è stata confermata in appello la confisca del mega-impianto di compostaggio e di trattamento fanghi, a distanza di un anno dalla sentenza di primo grado. L’Astronave di Grumo doveva operare all'interno di una Zona di Protezione Speciale (ZPS) e di un proposto Sito di Importanza Comunitaria (pSIC)
21 November, 2010
Confermata dunque la sentenza di primo grado del 16 ottobre 2009, data in cui fu disposta “la confisca e l’acquisizione gratuita” dell'impianto al patrimonio del Comune di Grumo Appula, riconoscendone l’abusività, così come prescritto nell’art. 44, comma 2, del DPR n. 380 del 6 giugno 2001. La sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone "la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite. Per effetto della confisca i terreni sono acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio del comune nel cui territorio è avvenuta la lottizzazione. La sentenza definitiva è titolo per la immediata trascrizione nei registri immobiliari".
La sentenza di primo grado riconobbe pure l’avvenuta prescrizione dei reati contestati ai sei imputati: gli amministratori delle società Tersan Puglia e Prometeo 2000 (Silvestro, Leonardo e Claudia Delle Foglie), il progettista e direttore dei lavori (Carmine Carella), due dirigenti pubblici (Giovanni Marano del Servizio rifiuti della Provincia e Luca Limongelli del Settore ecologia della Regione) che avevano dato il via libera all'impianto.
La cosiddetta Astronave situata nel territorio di Grumo Appula, al confine con il territorio di Altamura, in contrada Torre dei Gendarmi, fu autorizzata nel 2000, dalla giunta provinciale di Bari, al trattamento giornaliero di 800 tonnellate di rifiuti (500 di soli fanghi), tra cui rifiuti speciali delle industrie conciarie e tessili, come i fanghi contenenti cromo.
?L'impianto in costruzione fu poi posto sotto sequestro nell’ottobre 2004 su disposizione della Procura di Bari: sequestro confermato dal GIP, dal Tribunale del Riesame di Bari ed infine, nel maggio 2005, anche dalla Corte di Cassazione, che aveva giudicato l’autorizzazione illegittima e l’impianto abusivo.
Il motivo risiedeva nella trasformazione urbanistica. Si parla di una realizzazione di immobili con annesso opificio per la produzione di fertilizzanti biologici e trasformazione di prodotti agricoli in compost, su terreno ricoperto da foreste e boschi, dunque in aperta zona rurale. Per di più il nuovo impianto sarebbe sorto all'interno di una Zona di Protezione Speciale (ZPS), ai sensi della DM 3 aprile 2000 (e pertanto in “area protetta") e di un proposto Sito di Importanza Comunitaria (pSIC), ai sensi della direttiva 92/43/CEE. Dunque si imponeva, per legge e prima della sua approvazione, uno specifico studio di incidenza sull'habitat protetto, tuttavia, per l'accusa, opportunamente aggirato.
Successivamente, nel giugno 2007, dopo circa tre anni di indagini, i Pubblici Ministeri Roberto Rossi, Renato Nitti e Lorenzo Nicastro, attuale assessore all’ecologia della Regione Puglia, hanno chiamato in giudizio i sei imputati citati prima, i quali erano accusati, a vario titolo, di aver realizzato l'impianto su un suolo del tutto inedificabile e, comunque, senza le necessarie autorizzazioni.
Per la sentenza, infine, rimane senza motivo la decisione di costruire un impianto in un luogo lontano dai cicli produttivi, aggirando di fatto il principio di “prossimità” tra luoghi di produzione di smaltimento, sancito dal decreto “Ronchi”.