A Report luci e (soprattutto) ombre delle rinnovabili. La parola agli addetti ai lavori
La puntata del 28 novembre della trasmissione di Milena Gabanelli getta molte ombre sul sistema dell'energia da fonti rinnovabili nel nostro paese, dal peso economico eccessivo degli incentivi alle lacune del quadro normativo, dal rischio di speculazione sul territorio alle presunte infiltrazioni criminali. Sulle varie questioni abbiamo chiesto il parere di Anev e Ises Italia, tra le principali associazioni dei settori eolico e fotovoltaico
29 November, 2010
Incentivi troppo alti che gravano sulle tasche dei contribuenti, scarsa trasparenza delle bollette energetiche, ritardi nei rimborsi per lo “scambio sul posto” dell'energia fotovoltaica, infiltrazioni della criminalità organizzata nella realizzazione degli impianti. Tante le ombre lanciate dall'ultima puntata di Report sul sistema delle rinnovabili in Italia. Abbiamo chiesto a due tra le principali associazioni del settore delle rinnovabili di commentare l'inchiesta televisiva.
Incentivi al vento
Per quanto riguarda l'entità degli incentivi riconosciuti all'eolico, il segretario generale dell'Anev (Associazione nazionale energia del vento), Simone Togni, non crede affatto che siano troppo alti. «Attualmente produrre energia dal vento costa circa 160 euro per megawattora – spiega – mentre gli incentivi, che negli ultimi 4 anni sono scesi del 40%, ammontano a 140 €/mwh, costi che comunque non ricadono direttamente sulle bollette elettriche. Di conseguenza, investire nell'eolico non è più economicamente sostenibile, come ha dichiarato ufficialmente la stessa Abi, l'associazione bancaria italiana, tanto che gli istituti di credito non finanziano nuovi impianti da oltre sei mesi». Secondo Togni, il crollo del valore di mercato dei Certificati verdi dipende dall'inadempienza dei governi che si sono avvicendati dal 2007, che non hanno provveduto (come invece prescriveva la legge) ad adeguare il valore di riferimento, fermo a 180 euro da 4 anni, in base al quale si calcola il prezzo dei Certificati sul mercato. L'imprenditore precisa inoltre che in Italia la durata degli incentivi è inferiore a quella di altri paesi: «I Certificati verdi nel nostro paese durano 15 anni contro i 20 dei principali paesi d'Europa». Il risultato, in ogni caso, è che molti imprenditori che hanno investito nell'eolico, chiedendo finanziamenti alle banche, ora si trovano in difficoltà: «Tutti gli impianti sono in default, e la situazione rischia di aggravarsi nei prossimi anni». Per questo l'Anev ha recentemente chiesto al ministero dello Sviluppo Economico di adeguare il sistema di incentivi per l'eolico, restituendo ossigeno al comparto. «È chiaro – conclude il segretario generale – che nei prossimi anni gli incentivi potrebbero poi essere rimodulati in funzione della riduzione dei costi di produzione dell’energia (per l'eolico, in particolare, il trend dei costi di produzione prevede un calo annuo dell1%, ndr)».
Quanto ci costa il sole
Diversa la situazione del fotovoltaico, in cui sono le stesse associazioni di settore a riconoscere che gli incentivi concessi dallo stato italiano sono troppo alti. «Noi stessi, insieme al alte sigle del mondo delle rinnovabili – dichiarano da Ises Italia(International solar energy society) abbiamo chiesto al ministero dello Sviluppo Economico di predisporre una strategia pluriennale per la riduzione degli incentivi». Che in effetti sono i più alti d'Europa, anche a causa dell'eccessiva burocratizzazione del sistema e dell'esigenza che l'Italia ha avuto in questi anni di recuperare il gap rispetto agli altri paesi europei. «Se in Germania bastano poche settimane per vedersi autorizzare un impianto fotovoltaico, da noi non sono sufficienti sei mesi e tutta questa burocrazia ha un costo – denuncia ancora l'Ises – In ogni caso il primo Conto energia è stato introdotto da appena cinque anni, per cui il sistema è ancora in rodaggio». Sulla necessità di ridurre progressivamente gli incentivi si trova d'accordo più o meno tutto il mondo delle rinnovabili. A cominciare da Sergio Ferraris, direttore del periodico QualEnergia e grande esperto di questi temi, che molto prima dell'inchiesta di Report aveva auspicato, in un'intervista ad Eco dalle Città, che l'Italia adottasse una road map a lungo termine, come ad esempio ha fatto la Germania in materia di incentivi al biofuel: «In pratica, il governo tedesco ha ridotto le accise sui biocarburanti, in modo che al consumatore finale arrivino più o meno con lo stesso prezzo del diesel tradizionale. Però la road map prevede che queste agevolazioni diminuiscano negli anni, fino ad essere del tutto annullate nel 2020. A quel punto, il prodotto sarà “maturo”, avrà conquistato la sua fetta di mercato e non avrà più bisogno di incentivi».
Quel rimborso che non arriva mai
Ma la questione dell'eccessiva spesa per gli incentivi non è la sola che i giornalisti di Rai 3 hanno sollevato per quanto riguarda il comparto dell'energia solare. Un altro nodo è quello dei ritardi con cui i cittadini si vedono pagato il surplus di energia che i loro pannelli fotovoltaici immettono nella rete energetica nazionale. In pratica, l'elettricità in eccesso (rispetto al fabbisogno dell'utente) prodotta da un impianto solare, dal momento che non può essere immagazzinata, viene immessa nella rete nazionale. Il Conto energia (il meccanismo per incentivare il fotovoltaico) prevede che alla fine dell'anno venga effettuato un conguaglio dell'energia prodotta e di quella consumata, e che il cittadino riceva il rimborso che gli spetta. Il problema è che spesso questi soldi arrivano in ritardo, e non è molto chiara la responsabilità del disservizio. Secondo il Gse (il Gestore dei servizi energetici, l'ente che autorizza gli impianti e la concessione dei rimborsi) i ritardi sono dovuti alla lentezza con cui vengono comunicati i dati di consumo e di produzione, ma l'Enel respinge le accuse, sostenendo che la presenza dei contatori elettronici consente di avere dati in tempo reale. «Quello dei ritardi è un problema reale – commentano ancora dall'Ises – che crediamo dipenda principalmente dal distributore dell'energia (l'Enel, ndr) e che va risolto al più presto».
Lo zampino delle mafie?
Altro punto molto delicato dell'inchiesta di Report è quello delle presunte irregolarità nella concessione delle autorizzazioni per i parchi eolici, soprattutto in riferimento ad impianti realizzati in provincia di Crotone su terre appartenenti a famiglie malavitose, per i quali non sarebbero stati rispettati i vincoli paesaggisitici né la distanza minima che la legge impone tra le pale e le abitazioni. «Intanto, va detto che nessun imprenditore dell'eolico è stato rinviato a giudizio – commenta ancora Togni dell'Anev – e che il fatto stesso che le banche siano sempre coinvolte nel finanziamento dei progetti, visto che le cifre in gioco sono molto alte, dovrebbe essere di per sé una garanzia di trasparenza e di legalità». Anche per quanto riguarda la localizzazione dei parchi eolici, il segretario generale ci tiene a precisare la buona fede degli imprenditori: «La scelta della localizzazione di una turbina viene fatta solo in base alla disponibilità di vento, indipendentemente dalla proprietà del terreno, ed è una scelta molto precisa, nel senso che spostare l'aerogeneratore anche solo di pochi metri incide in maniera decisiva sulla produttività dell'impianto. È per questo, e non per altri motivi, che la maggior parte dei parchi eolici italiani sorge al sud». Una volta individuato il sito giusto, e verificata la compatibilità con le prescrizioni normative (distanza dalle abitazioni, assenza di vincoli, etc), il suolo viene espropriato o più spesso affittato per 20 anni dall'imprenditore. «Evidentemente in questa fase andrebbe escluso in maniera categorica che il proprietario del terreno sia legato alla criminalità organizzata – precisa Togni – I nostri soci lo fanno già, anche grazie al Protocollo di legalità sottoscritto dal Ministro dell'Interno e dal presidente di Confindustria a cui abbiamo aderito lo scorso giugno». Il segretario generale di Anev, in ogni caso, invita a non buttare il bambino con l'acqua sporca: «Se viene rubata un'automobile, piuttosto che sostenere che non si dovrebbero più vendere macchine per evitare i furti, è meglio cercare di arrestare il ladro».
Quei miliardi al vento - da Il Fatto Quotidiano del 28.11.2010
4 commenti
Scrivi un commentoPietro Filippi
01.12.2010 09:12
Da progettista dico che la gente è più spaventata dalla burocrazia che dai costi di installazione. Aggiungo la possibilità di avere un finanziamento ragionevole.
Non è possibile che ci voglia (molto) di più per fare le pratiche che a progettare ed eseguire l'installazione di un impianto...
cosimo
01.12.2010 07:12
per me gli incentivi devono essere ricompresi in una sola fattispecie: quella della produzione. Più produci energia pulita che immetti in rete e più ti pago stop. Cosi si metteranno i pali eolici solo dove c'è vento ed anche la lnea elettrica. Per il Fotovoltaico io obbligherei chi ha tetti industriali/artigianali da circa 300 metri quadri in su a mettere i pannelli fotovoltaici o ad affittare il tetto alle imprese che li vogliono mettere. Se i proprietari non si muovono lo Stato indcherà un contratto tipo ed un prezzo pubblico ed un locatore obbligatorio, questo permetterebbe di utilizzare obbligatoramente PRIMA TUTTI TETTI INDUSTRIALI CHE COPRONO PER MIGLIAIA DI ETTARI L'ITALIA E SOLO DOPO USARE TERRENO AGRICOLO
Salvatore
29.11.2010 16:11
Concordo con quanto scritto da Silvana. Purtroppo, laddove ci sono forti interessi economici, c'è anche il pericolo che le organizzazioni criminali ci "mettano lo zampino". E' in questo che lo Stato dovrebbe intervenire, ma forse conviene a molte persone che la questione delle rinnovabili venga trattata in questo modo
Silvana
29.11.2010 12:11
Tutto vero, tutto giusto. Bisogna migliorare il sistema, perfezionare il quadro normativo, rimodulare gli incentivi ed evitare ai soliti "furbetti" di aggirare vincoli e obblighi. Però non vorrei che passasse, per i lettori e i telespettatori, che le rinnovabili sono "il male". Se non cala la produzione di energia da fonti fossili, la colpa non è mica delle rinnovabili? Se c'è un ritardo nei rimborsi, o manca la dovuta trasparenza in bolletta, la colpa non è mica delle rinnovabili? Se ci sono casi di irregolarità negli iter di autorizzazione, o addirittura infiltrazioni delle mafie, la colpa non è mica delle rinnovabili in quanto tali? Va benissimo denunciare situazioni di illegalità o speculazione, ma bisogna guardarsi bene dal rischio di demonizzare un intero settore, che oltre ad essere fondamentale il chiave sostenibilità, è strategico dal punto di vista economico e occupazionale.