Milano: per teleriscaldarla servono gli inceneritori?
Uno dei cinque referendum “ambientali” di Milano punta a teleriscaldare mezza città entro il 2015, ma c'è chi teme che questo comporterebbe un maggiore ricorso alla termovalorizzazione dei rifiuti. Alex Sorokin, intervistato da Eco dalle Città, chiarisce che bruciare spazzatura non è l'unico modo per alimentare un impianto di teleriscaldamento
27 May, 2011
Sono necessari gli inceneritori per teleriscaldare una grande città come Milano? Il quesito nasce a margine del dibattito intorno ai referendum ambientali promossi dal comitato “Milano sì muove” e in programma nel capoluogo lombardo il 12 e 13 giugno. Uno dei cinque quesiti referendari, quello sull'efficienza energetica e la riduzione dei gas serra, prevede infatti «la promozione e la diffusione del teleriscaldamento, utilizzando fonti rinnovabili e tecnologie ad alta efficienza, al fine di raggiungere almeno 750.000 abitanti equivalenti entro il 2015». Un obiettivo decisamente ambizioso, che non convince tutti gli schieramenti politici cittadini. Per qualcuno, infatti, il rischio è che la fonte “rinnovabile” usata per teleriscaldare Milano finisca poi con l'essere nient'altro che la spazzatura. Ma questa tecnologia richiede necessariamente il ricorso agli inceneritori? Eco dalle Città ne ha parlato con Alex Sorokin, ingegnere e grande esperto di temi energetici.
Teleriscaldamento uguale incenerimento?
«I rifiuti non sono l'unico combustibile utilizzabile per il teleriscaldamento – chiarisce il tecnico - Per teleriscaldare una città basta avere una grossa fonte di calore e una rete con delle tubature che, passando sotto le strade, distribuiscano il calore nelle case». Per alimentare un impianto di teleriscaldamento, dunque, non è indispensabile un termovalorizzatore, anche se molti inceneritori già attivi in Italia (Brescia, Milano, Acerra, etc) sono utilizzati anche a questo scopo. L'impianto milanese Silla2, ad esempio, attraverso un ciclo di cogenerazione, è in grado di erogare fino a 160 Megawatt termici, che riscaldano già diversi distretti e comuni limitrofi (quartiere Gallaratese, Pero, la Fiera di Milano). In futuro, secondo il progetto della società che lo gestisce, la A2A, il teleriscaldamento dovrebbe raggiungere un'area molto più ampia. Sembra improbabile, comunque, che l'inceneritore milanese basti a soddisfare il requisito referendario. «Escluderei che si riesca a riscaldare mezza città bruciando immondizia, al massimo l'inceneritore potrebbe servire i quartieri vicini – spiega ancora Sorokin – Pur nell'ipotesi assolutamente non auspicabile che si bruci tutta la spazzatura prodotta in una città, infatti, i rifiuti riuscirebbero a soddisfare al massimo il 2-3% del fabbisogno energetico primario cittadino».
I problemi delle biomasse
Se teleriscaldamento sarà, dunque, a Milano la strada da seguire non potrà ragionevolmente essere quella dell'incenerimento dei rifiuti. Più plausibile, per rispettare l'impegno referendario che prevede l'uso di fonti rinnovabili, che si debba ricorrere alle biomasse, anche se la scelta non sarebbe priva di controindicazioni. «Usare biomasse per teleriscaldare Milano sarebbe comunque discutibile sul piano ecologico - sostiene l'ingegnere – perché la quantità di combustibile necessario sarebbe enorme». Talmente grande da implicare l'uso di materia vergine, perché quella di scarto non sarebbe probabilmente sufficiente. «La cosa più sensata, sul piano ambientale, sarebbe in realtà quella di utilizzare una centrale a cogenerazione alimentata a gas metano, che rappresenta in questo momento la scelta più logica in un'ottica di medio e lungo periodo».
Prima di tutto, l'efficienza
Ma il gas metano non è una fonte rinnovabile. Lo è invece, per antonomasia, l'energia solare, che però in questo caso non convince il tecnico italo-russo: «Gli edifici di Milano non sono stati progettati per essere riscaldati utilizzando il sole, quindi sarebbe complicato progettare un sistema di teleriscaldamento di tale portata alimentato ad energia solare – spiega Sorokin – Sarebbe praticamente più semplice demolire tutte le case e ricostruirle con criteri diversi». Molto più sensato, e addirittura necessario, invece, intervenire sull'efficienza energetica degli immobili, prima ancora di avviare il colossale progetto di teleriscaldamento. «Le case di Milano non sono affatto efficienti sul piano energetico, come la maggior parte degli edifici italiani, che hanno un fabbisogno annuo medio di 120 kilowattora per metro quadro (una casa in classe A, invece, richiede meno di 30 kWh/m2 all'anno, ndr)». Solo a quel punto, secondo Sorokin, si potrebbe ragionare su come riscaldare la città inquinando il meno possibile, pensando ad esempio alla microcogenerazione. «Si tratta di una tecnologia che si avvale di sistemi non più grandi delle classiche caldaie condominiali (come il “Totem” di Palazzetti, ndr) – spiega – e che presenta grandi benefici in termini di efficienza. In Germania, ad esempio, la Volkswagen ha lanciato un progetto che prevede l'installazione di centomila mini-centrali domestiche a metano». Rispetto al teleriscaldamento su scala cittadina, la microcogenerazione avrebbe anche il vantaggio di non richiedere grossi interventi dal punto di vista urbanistico. «Oltre a costare molto, – conclude Sorokin - aprire le strade per inserire le tubature crea grossi disagi alla popolazione».