Condono sulle Rinnovabili? No, grazie il Passo giusto del Governo
Dal Corriere della Sera del 16.10.2011
18 October, 2011
Stefano Agnoli
Avrà vita breve la proposta di un «condono tombale» sugli abusi commessi per accaparrarsi i lauti incentivi statali per le energie rinnovabili? Non sembra esserci un solo motivo plausibile perché un emendamento del genere - proposto dal ministero per le Politiche agricole di Francesco Saverio Romano e arrivato l' altro ieri al ministero dello Sviluppo economico - debba essere inserito nel «decreto sviluppo» che sta maturando. A partire dalle questioni più tecniche per arrivare a quelle che riguardano l' etica pubblica. Legalizzare un' indefinita quantità di impianti fotovoltaici illegali non serve per raggiungere gli obiettivi sulle fonti rinnovabili che ci ha assegnato l' Europa: nel fotovoltaico sono già stati superati. Il silenzio-assenso previsto dall' emendamento non è applicabile quando in ballo ci sono le questioni ambientali e gli obblighi di «Via», la valutazione di impatto ambientale. Una norma del genere (che per di più avrebbe l' effetto di fare piazza pulita delle altre regole sui controlli) sarebbe palesemente incostituzionale. Ma neppure l' obiettivo di raggranellare preziose risorse per allentare la morsa del debito e dei mercati finanziari sembra convincente. Qui non si tratta di entrate come quelle dell' asta per le frequenze, che andranno in parte al fondo di ammortamento del debito pubblico, scelta già ingiusta. Perdonare abusi edilizi, o amministrativi (come le truffe ai danni dello Stato), e persino di rilevanza penale sembra veramente esagerato. E lo sarebbe anche per un Paese in difficoltà economiche maggiori. Frodi di questo tipo feriscono quei valori di appartenenza e rispetto delle regole che tengono insieme una società civile. Pare che al ministero per lo Sviluppo siano orientati a dare parere negativo all' emendamento. Un segnale che dimostrerebbe la volontà di governare realmente un settore delicato come quello dell' energia. Dissipando, oltretutto, il dubbio che qualcuno stia già pensando a procacciarsi futuri dividendi elettorali.