Smog: ma l’Italia pagherà per gli sforamenti?
Ogni anno le città del Nord Italia – ma non solo – doppiano sistematicamente il numero di giorni di sforamento dei limiti di Pm10 previsti dalla normativa europea. Perché le multe non sono mai arrivate? L’abbiamo chiesto al Prof. Rosario Ferrera, docente di diritto ambientale presso l’Università degli Studi di Torino e la LUISS di Roma
18 November, 2011
Di smog in Italia si parla poco: di solito solo quando qualche comune decide il blocco delle auto, e allora per qualche giorno sui giornali leggiamo di centraline e sforamenti. Si fa la conta dei giorni in cui il Pm10 ha superato il limite (50 mgc/m3), e poi, nemmeno sempre, arriva la notizia che sono stati superati i famosi 35 giorni di sforamenti annui, e che per la Commissione Europea siamo fuori legge. Come ogni anno. In città come Torino e Milano, ma non solo, i 35 giorni li superiamo sistematicamente, quando non li doppiamo proprio.
E allora perché non abbiamo mai pagato?
Il problema dell’inquinamento atmosferico è spaventoso: non è certo l’unico, ma è quello più insidioso, perché lo smog, diversamente da una discarica, non si vede. Torino è fra le città più inquinate d’Europa, con 70, 80 sforamenti annui ed anche oltre, e non è certo l’unica città italiana ad essere fuori legge. Per ciò ovviamente l’Italia potrebbe essere intimata in giudizio innanzi alla Commissione Europea. I meccanismi, però, sono quelli classici che regolano i rapporti fra Unione Europea e Stati Membri. Si apre un provvedimento giuridico che inizia con la diffida, che viene inviata al paese inadempiente, con la quale gli si intima di adempiere assegnandogli un termine. Facciamo il caso che il Paese sia recidivo e continui ad essere inadempiente: ci sarà la comminazione di una sanzione da parte dell’Unione Europea, dopo la quale si potrà fare ricorso al tribunale di prima istanzia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Il più delle volte, però, ciò che viene privilegiato è una sorta di procedimento pattizio negoziale tra l’Unione e gli stati inadempienti onde arrivare ad un risultato utile, a prescindere da quello che è l’effetto sanzionatorio.
Ma se ci fosse la certezza che a inadempienza corrisponde sanzionamento, forse il problema dell’inquinamento atmosferico verrebbe affrontato più seriamente, no?
E’ vero, la capacità dissuasiva delle sanzioni non gioca verosimilmente quel ruolo che potrebbe giocare qualora fossero impossibili ad evitarsi. Ma non diamo per scontato questo potere deterrente. Mi spiego: l’unico tipo di sanzionamento che ha indiscutibilmente questo potere è quello di tipo detentivo. Ma certamente l’Unione Europea non comminerà mai una sanzione detentiva per reati ambientali. Per le sanzioni pecuniarie invece, si applica spesso quella che viene definita “monetizzazione del rischio di impresa”: le multe possono rientrare nei costi fissi di produzione, e come tali scaricate sui consumatori.
E cioè qualcuno potrebbe decidere che tutto sommato conviene di più pagare le multe dell’Europa che agire concretamente per abbassare i livelli del Pm10?
In generale non è detto che la sanzione pecuniaria abbia sempre un grosso effetto dissuasivo. Nel rapporto fra UE e stati membri c’è però la questione dell'umiliazione politica, che ha un grosso peso. Ma soprattutto c’è un altro aspetto da considerare, e che conta ancora di più: purtroppo se parliamo di protezione dell’ambiente, in Europa non ci sono primi della classe. Nemmeno i Paesi più sensibili e avanzati dal punto di vista ecologico sono irreprensibili. Le violazioni in campo ambientale sono molto comuni. Il Gran Ducato del Lussemburgo, cuore dell’Europa e sede della Corte di Giustizia, è stato minacciato di apertura di procedura di infrazione per non aver recepito la direttiva dell’85 sulla valutazione d’impatto ambientale, la V.I.A. Il Lussemburgo ebbe cuore di sostenere che il fatto di aver presentato un progetto di legge alla camera fosse sufficiente. O vi sembra normale che l’Olanda si chieda - rinviando alla corte di giustizia – se la direttiva sulla VIA preveda come obbligatoria la valutazione di impatto ambientale per la realizzazione di una diga? L’Olanda! Un paese che è per tre quarti sotto il livello del mare!
Non ci sono innocenti, ma non sono nemmeno tutti uguali. Perché l’Europa è così restia a colpire almeno i recidivi?
Attenzione, le sanzioni possono essere comminate, non lo escludo, ma la politica dell’Europa punta al raggiungimento di valori di qualità. Le direttive scadenzano nel tempo e consentono ai singoli stati proroghe per l’adeguamento, perché questo è il fine delle direttive. La sanzione: cui prodest? Non è così che si risolverà il problema dell’inquinamento, per le ragioni che spiegavo prima. Inoltre sull’ambiente si è molto prudenti perché portare a compimento certe misure comporta la messa in discussione di tutto il modello di sviluppo economico. Faccio un esempio concreto, che riguarda l’inquinamento: Porto Marghera. In nessun Paese al mondo potremmo trovare da un lato della laguna una meraviglia come Venezia e dall’altra un petrolchimico. Negli anni sessanta “non avevamo la cultura”, come disse il Sindaco di Agrigento parlando dello scempio che circonda la Valle dei Templi. Ora, possiamo pensare di riconvertire o chiudere Porto Marghera? Ovviamente no. C’è un conflitto rosso verde fra le ragioni del lavoro e quelle dell’ecologia. Come ne usciamo? Sono necessari passaggi culturali importanti, che prevedano una diversa idea di sviluppo. In Germania ce l’hanno molto chiaro: è il Paese europeo in cui le norme ambientali sono più avanzate, e il grosso delle direttive europee di carattere ambientale arriva di lì, le piogge acide, la benzina senza piombo… Eppure è una mentalità che hanno acquisito dopo enormi devastazioni ambientali, come nel bacino della Rhur. In Germania però questo cambio di mentalità c’è stato, e ti dicono “Ma insomma, non perdiamoci in un bicchier d’acqua. Economia ed ecologia hanno la stessa radice linguistica e devono trovare forme di dialogo competitivo”.
Quanto è probabile allora il sanzionamento dell’Italia per lo smog?
Tutto può capitare ma non mi aspetterei a breve che come settore privilegiato di sanzionamento dell’Unione ci sia l’inquinamento atmosferico. L’Italia rischia sui rifiuti invece, anche perché la nostra mala-gestione ci ha proiettato su ogni schermo delle tv internazionali.
Dal 2005 l’Europa ha imposto nuovi limiti più severi per il Pm10, ma su 27 stati membri dell’Unione 24 non sono riusciti a rientrare nei nuovi standard. Gli unici a farcela sono stati Finlandia, Irlanda e Lussemburgo. Quasi tutti hanno chiesto di poter ritrardare l’adeguamento, ma le deroghe sono state concesse solo in minima parte. Ma a cosa serve fare una seconda direttiva quando ci sono ancora Paesi - come il nostro - che non rispettano la precedente, se tanto nessuno si adegua o paga per il mancato adeguamento?
Cosa possiamo dire, che c’è un’incapacità del diritto di regolare certi eventi? Sì, in parte è vero. Ma al di là dell’adeguamento normativo e dell’evitabilità delle sanzioni, di cui abbiamo già parlato, la debolezza più grave in Italia è la gestione dell’emergenza: a me è capitato di trovarmi a Bochum, in Germania, in un periodo in cui c’era l’allarme di terzo tipo per lo smog, il livello più elevato, nonostante i valori raggiunti fossero paragonabili ai nostri: traffico inesistente, la città era come narcotizzata, un paesaggio lunare. E in due giorni ovviamente la situazione si sistema. Noi non abbiamo questa capacità. Ricorriamo a provvedimenti tampone che spesso sono peggiori del male che vogliono curare. A che serve chiudere i centri storici e poi avere la tangenziale tutta intorno che sembra un anello di gas? O ancora, in un’area metropolitana come quella torinese, a che serve che il Comune di Torino chiuda il traffico e quelli della cintura no?
Come ne usciamo?
Ogni misura puntuale è ovviamente la benvenuta, ma o si avvia un cambiamento del modello di sviluppo o non ne usciamo. I SUV servono a qualcosa in città? Siamo tutti guardiaparchi? Il problema è che oggi con 20.000 euro un SUV te lo porti a casa. Il diritto deve intervenire, per esempio con una Carbon Tax, la tassa sull’inquinamento. La leva fiscale, se applicata correttamente, funziona. In Belgio sono praticamente scomparsi i rasoietti di plastica usa e getta, perché la pressione fiscale era talmente alta da scoraggiarne la produzione. O noi cominciamo a ragionare sulle politiche individuali e collettive o non andiamo da nessuna parte. Anche perché ci dimentichiamo del resto del resto del mondo. 1 milardo di cinesi, 1 miliardo di indiani, in Paesi che guardano all’Occidente come modello di sviluppo. Lei ce l’ha il coraggio di andare dal cinese in bici in campagna e dirgli: “Tu continua a pedalare”? Io no.