Prima traccia per un piano di riduzione dei rifiuti a Milano
Documento presentato da Eco dalle Città - grazie al patrocinio Cariplo - il 19 novembre nell'ambito della Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti a Milano presso l'Urban Center. On line il testo del documento, il video dell'incontro e in allegato la presentazione della presidente Amsa, Sonia Cantoni, intervenuta all'incontro
19 November, 2011
PRIMA TRACCIA PER UN PIANO DI RIDUZIONE DEI RIFIUTI A MILANO
Contesto europeo (fonte LINEE GUIDA SULLA PREVENZIONE DEI RIFIUTI URBANI Federambiente)
La direttiva quadro sui rifiuti, la 2008/98/Ce, ribadisce che l’obiettivo principale di qualsiasi politica in materia di rifiuti dovrebbe essere quello di “ridurre al minimo le conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti sulla salute umana e sull’ambiente” e che le politiche in materia di rifiuti dovrebbero altresì “puntare a ridurre l’uso di risorse e promuovere l’applicazione pratica della gerarchia dei rifiuti.”
La direttiva introduce l’obbligo, per gli Stati membri, di elaborare programmi di prevenzione dei rifiuti incentrati sui principali impatti ambientali e basati sulla considerazione dell’intero ciclo di vita dei prodotti e dei materiali.
E’ stabilito, all’articolo 29, che entro il 12 dicembre 2013 gli Stati membri adottino programmi di prevenzione dei rifiuti fissando specifici obiettivi. Lo scopo di tali obiettivi e misure è di dissociare la crescita economica dagli impatti ambientali connessi alla produzione dei rifiuti.
Gerarchia dei rifiuti
La gerarchia dei rifiuti viene rivista e ampliata:
a) prevenzione;
b) preparazione per il riutilizzo;
c) riciclaggio;
d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e
e) smaltimento.
Definizioni (dalla Direttiva)
“prevenzione”: misure, prese prima che una sostanza, un materiale o un prodotto sia diventato un
rifiuto, che riducano:
- la quantità dei rifiuti, anche attraverso il riutilizzo dei prodotti o l’estensione del loro ciclo di vita;
- gli impatti negativi dei rifiuti prodotti sull’ambiente e la salute umana; oppure
- il contenuto di sostanze pericolose in materiali e prodotti
“preparazione per il riutilizzo” le operazioni di controllo, pulizia e riparazione attraverso cui prodotti o componenti di prodotti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento;
“riutilizzo”: qualsiasi operazione attraverso la quale prodotti o componenti che non sono rifiuti sono reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti;
“riciclaggio” qualsiasi operazione di recupero attraverso cui i materiali di rifiuto sono ritrattati per ottenere prodotti, materiali o sostanze da utilizzare per la loro funzione originaria o per altri fini. Include il ritrattamento di materiale organico ma non il recupero di energia né il ritrattamento per ottenere materiali da utilizzare quali combustibili o in operazioni di riempimento;
“recupero” qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all’interno dell’impianto o nell’economia in generale.
“smaltimento” qualsiasi operazione diversa dal recupero anche quando l’operazione ha come conseguenza secondaria il recupero di sostanze o di energia.
I confini tra una categoria e l’altra in certi casi sono labili, ma la sostanza è che l’operazione più vantaggiosa in termini economici ed ecologici è quella di evitare che un oggetto,o un materiale, entri nel ciclo dei rifiuti, anche in quello più virtuoso. Preliminarmente occorre ottenere, come dicono gli addetti ai lavori, il “disaccoppiamento”, la dissociazione, tra crescita economica e produzione dei rifiuti. Come sono riuscite in parte a fare Germania e Gran Bretagna. In Italia la tendenza al continuo aumento nella produzione dei rifiuti si è fermata in particolare tra il 2007 e il 2009.
SPONTANEAMENTE CALANO I RIFIUTI?
I dati di Milano ci dicono che la riduzione dei rifiuti è possibile ma che - se non la si persegue - non è affatto certa. La produzione dei rifiuti è sostanzialmente invariata tra 2009 e 2010. Nel 2009, il totale dei rifiuti raccolti è stato di 711.292 tonnellate, nel 2010 le tonnellate sono state 711.183. Un netto calo si era invece avuto un anno prima: nel 2008 le tonnellate raccolte erano state 747.793. E’ probabile che questo anno di crisi 2011 porti con sé un calo dei rifiuti, ma molto contenuto. Alcuni osservatori sostengono che quando la gente spende meno può anche darsi che produca più rifiuti comprando confezioni monouso o comunque prodotti – anche indumenti o apparecchi - più deperibili.
IL RECUPERO DI CIBO INVENDUTO NELLA GRANDE DISTRIBUZIONE
Come illustrato nel “Libro Nero dello spreco di cibo” si stima che in Italia si sprechino 263 mila tonnellate di cibo nella fase di distribuzione. I supermercati ( ma anche negozi e mercati) buttano via cibo che sarebbe ancora perfettamente edibile, ma che giudicano non più vendibile perché prossimo alla scadenza, o sgualcito, o rovinato nell’imballaggio. Le iniziative per recuperare questo cibo, salvarlo dai cassonetti, e distribuirlo a fini sociali alle mense per i bisognosi sono in aumento.
L’iniziativa più consolidata è quella del Banco Alimentare, diffuso in tutta Italia ma nato nel Milanese.
In linea generale sono essi stessi ad andare coi loro mezzi a ritirare cibo e altre merci dai supermercati convenzionati. L’ufficio stampa di Banco Alimentare ci ha detto che nel 2010 hanno coperto in questo modo 12 Punti Vendita a Milano per un recupero complessivo . I punti vendita coinvolti sono essenzialmente Simply Sma e Esselunga.
Banco Alimentare da qusti punti ha ritirato direttamente 36 tonnellate nel 2010.
Un altro tipo di iniziativa e di modalità è quella di Coop. Il progetto si chiama Buon Fine e sul modello Last Minute Market prevede che siano le associazioni stesse (come Caritas e altre) ad andare a ritirare il cibo, generalmente tre volte la settimana. Si sta estendendo nei supermercati e nell’IperCoop e nel 2010 in questo modo sono state recuperate 92 tonnellate di prodotti freschi. Anche il Pane Quotidiano lavora sul recupero di cibo invenduto e donato, ma non ha una statistica.
RECUPERO DI CIBO DA MENSE SCOLASTICHE ED AZIENDALI
E’ difficile evitare che nelle mense aziendali e scolastiche vi sia un eccesso di cibo preparato, che quindi poi viene buttato. L’alternativa rischia di essere quella di prepararne troppo poco.
La nuova presidente di Milano Ristorazione, Gabriella Iacono, ci ha detto che nel loro caso c’è anche un conflitto tra ciò che ai bambini piace di più e la impostazione dietetica sana della nuova educazione alimentare. Per cui rifiutano le insalate e molti altri piatti.. Ci sono in ogni caso margini di recupero nell’organizzazione delle cucine per ridurre avanzi di cibo.
Ci sono state e ci sono esperienze di recupero di pasti caldi non consumati e di loro trasferimento a mense popolari ma sono impegnative perché comportano operazioni di raffreddamento e riscaldamento. Banco Alimentare riesce a recuperare dalle mense aziendali più attrezzate il cibo avanzato cotto e a distribuirlo a mense caritatevoli. Dichiara di aver recuperato in questo modo 172 mila porzioni nel 2010. Per quanto riguarda le mense scolastiche invece Banco Alimentare interviene in 97 mense su 480. Recupera frutta e pane. Nel 2010 51 tonnellate di pane e 88 di frutta. Nel campo del cibo c’è anche l’ ASSOCIAZIONE LAICA PANE QUOTIDIANO che raccoglie generi donati da varie aziende e ha distribuito nel 2010 660 mila sacchetti, non solo di cibo.
CIBO AVANZATO DAI RISTORANTI (Doggy bag)
Hanno preso il via proprio a Milano due esperienze parallele di riduzione dei rifiuti e degli sprechi di cibo nei ristoranti. Una tradizione più statunitense, nata dall’idea di portare a casa “per il cane” il cibo ordinato e non finito nei ristoranti. In Italia , come in tanti paesi di tradizione ben diversa, era ben vista la sovrabbondanza e il lasciare cibo nel piatto, e non c’è abitudine a chiedere di portare via gli avanzi.
Mentre Comieco si impegnava a progettare la “Doggy Bag” per i visitatori dell’Expo una ventina di ristoranti di prima categoria del centro di Milano (vedi elenco) si fornivano del kit “doggy-bag.it”, fatto in plastica resistente e riutilizzabile, progettato da una società che da alcuni mesi cerca di sensibilizzare sul tema dello spreco alimentare mediante la distribuzione del primo servizio di recupero e riutilizzo dell'avanzo alimentare e del vino. (Maggiori informazioni su www.doggy-bag.it. Non è ancora molto richiesto: al Grand Hotel et de Milan 150 kit in 2 mesi e mezzo.
C’è anche un’altra esperienza di “doggy bag” milanese: Il buono che avanza, la prima rete di ristoranti ad “avanzi zero”. Un progetto contro lo spreco di Cena dell'Amicizia Onlus. I ristoranti che aderiscono al progetto (più di 40 solo nella Provincia di Milano) propongono ai propri clienti di portar via, in una doggy bag, il cibo e il vino che sono avanzati e li informano sul valore sociale di questa scelta. L’Associazione fornisce su richiesta ai ristoranti i materiali di comunicazione e il “sacchetto” in cui portare via la classica schiscetta. Chi non riesce a finire il proprio cibo e il proprio vino e vuole portarlo a casa, sarà dunque certo che la sua richiesta non sarà considerata solo legittima ma addirittura gradita. Non sprecare il cibo è un atto di civiltà e di rispetto verso chi non ne ha.
STOVIGLIE MONOUSO: TORNARE AL LAVABILE RIUTILIZZABILE
Molti ignorano che piatti bicchieri e posate di plastica non sono accolti nella raccolta differenziata e non sono materiale utile al successivo riciclo della plastica.
Inoltre, anche quando, come prossimamente accadrà, Conai deciderà di accogliere piatti e bicchieri nella raccolta della plastica (questo NON accadrà per le posate) bisogna sapere che si tratta dei materiali plastici meno adatti ad esser riciclati e che di fatto probabilmente saranno mandati all’incenerimento.
La nuova frontiera è quella di tornare alle stoviglie riutilizzabili, in particolare nei servizi . Nel decreto detto degli acquisti verdi, Gazzetta Ufficiale 21 settembre 2011, è detto che
“ La dita aggiudicataria dovrà utilizzare – nella fase di somministrazione e consumo dei pasti – posate,stoviglie e bicchieri riutilizzabili”
Un piano per superare l’invasivo consumo di stoviglie mono-uso non è plausibile se il Comune di Milano non comincia a eliminare questo spreco dalle mense che dal Comune dipendono. Milano Ristorazione consuma per 80 mila pasti al giorno almeno 160 mila piatti di plastica e 80 mila bicchieri. Fino al 2006 le stoviglie venivano lavate, poi per risparmiare si fece marcia indietro e oggi non è semplice recuperare tutte le lavastoviglie e tornare al riutilizzabile. E’ rimasto solo l’uso di posate d’acciaio. Milano Ristorazione teme l’aggravio dei costi mentre i genitori premono anche contro l’uso delle Gastronorm, vasche di plastica per contenere le vivande da scaldare, e chiedono in alternativa vasche riutilizzabili in INOX.
In altre città italiane la tendenza è al ritorno alla stoviglia lavabile nelle mense scolastiche. Vanno in questo senso le decisioni di Firenze, gli annunci di Torino ( che ha già stoviglie lavabili nelle materne) e il regolamento dal 2007 delle mense di Roma. A Napoli è realtà la sorprendente decisione di far portare ai bambini da casa bicchiere posate e tovagliolo di stoffa. Si mangia in vaschette di alluminio che sempre mono-uso sono ma più riciclabili della plastica.
COMPOSTAGGIO DOMESTICO, o CONDOMINIALE, COMUNQUE AUTOGESTITO
Il compostaggio domestico è la procedura utilizzata per gestire in proprio la frazione organica dei rifiuti solidi urbani. Questa pratica può trovare applicazione anche in città e nella propria abitazione pur non avendo a disposizione un orto o un giardino ma utilizzando ad esempio una compostiera (contenitore aerato appositamente studiato per fare il compostaggio) collocabile su un terrazzo o un balcone.
Il compostaggio può trovare applicazione anche in progetti di educativi. Un caso potrebbero essere gli Orti in Condotta, progetto già attivo in alcune scuole di Milano: IC via Clericetti, IC Via Martinengo, IC Via Monte Piana, IC Via Monte Velino, IC Viale Puglie, Scuola Secondaria via Sant’Ambrogio
Non esiste una statistica su quanti milanesi abbiano a disposizione uno spazio dove praticare il compostaggio. Su questo argomento possiamo citare due stime. La prima riferita a Genova è di Federico Valerio, autore del Manuale di Compostaggio domestico di Italia Nostra: a Genova ci sono almeno 82.000 famiglie che praticano giardinaggio (corrispondente al 20% della popolazione ndr). La seconda è tratta dal libro di Roberto Cavallo, “Meno 100 chili”: Il 18% degli italiani vive in case sparse o nuclei abitati che per definizione hanno spazi per praticare il compostaggio domestico. A questa percentuale possiamo aggiungere che dell'82% degli italiani che vivono in centro abitato più di un quarto ha uno spazio verde a propria disposizione e affermare così che circa il 40% degli italiani potrebbe praticare il compostaggio domestico
Esiste la possibilità di praticare il compostaggio sfruttando gli spazi verdi di un condominio o spazi verdi messi a disposizione dal Comune sottoforma di orti urbani. Esiste anche la possibilità di facilitare ed accelerare il processo di compostaggio con l'utilizzo di piccole compostiere elettromeccaniche. Queste macchine possono essere ospitate direttamente negli spazi condominiali, dai garage alle cantine. In Italia queste macchine sono utilizzare dal Comune di Capannori (LU) e Bra (CN) per la propria mensa comunale; dal comune di Acquapendente (VT) e Cuccaro Vetere (SA) per i cittadini.
SACCHETTI E SPORTE
Il bando dei sacchetti di plastica non biodegradabili entrato in vigore il 1° gennaio 2011 prende le mosse da una considerazione preoccupante: l’Italia da sola consumava, fino ad un anno fa, il 25% dell’intera produzione di sacchetti europea , circa 850.000 tonnellate di sacchetti all’anno. Al di là del caos generato dall’incertezza normativa – siamo tuttora in attesa di un disegno di legge e dei decreti attuativi del Ministero – scopo del bando non avrebbe dovuto essere la sostituzione di un usa e getta con un altro, seppur compostabile, ma la riduzione di questa abnorme produzione di rifiuti quotidiana. Riduzione che passa per un’unica via: la sporta riutilizzabile. Di stoffa, di tela, di plastica, non è il materiale che conta, ma la sua durata nel tempo. Le modalità con cui il bando è entrato in vigore sono facilmente attaccabili da ogni punto di vista, ma il dato interessante è che davanti alla confusione sui requisiti per la biodegradabilità, la maggior parte degli italiani ha scelto la sporta.
Un sondaggio di Ecoseven realizzato a giugno 2011, dimostra infatti che la borsa riutilizzabile si è imposta – ma forse dovremmo dire che è tornata – come prima scelta per il 59% degli intervistati, su un campione di 500 intervistati di varia estrazione provenienti da tutta Italia. Qualche mese prima, un altro sondaggio commissionato da Unionplast all’Istituto di ricerche Eurisko - millenovanta intervistati, dai 25 anni in su, scelti in modo da rappresentare, proporzionalmente, 43.000.000 di italiani - rivelava che il 64% dei consumatori si dichiarava intenzionato a fare un uso sempre più frequente della borsa in tessuto. Promessa mantenuta: complice forse l’alto costo del sacchetto compostabile proposto dai supermercati, la sporta a pochi mesi dall’entrata in vigore del bando aveva già fatto registrare il 73% di incremento nell’uso.
Concentrandoci invece solo su Milano, un sondaggio della Camera di Commercio realizzato circa sei mesi dopo il bando ha confermato la tendenza. La domanda “Per la spesa/ gli acquisti che cosa utilizza?” prevedeva una risposta multipla (era quindi possibile indicare più alternative): al primo posto si posizionano le borse di stoffa, scelte da 317 consumatori su 600, seguono i bio-sacchetti (244 consumatori su 600) e poi di nuovo borse riutilizzabili fornite dai supermercati (235 su 600). Al quarto posto le borse fatte in casa (155 su 600) e al quinto i vecchi sacchetti (143 su 600). Nel complesso si registra dunque fra i milanesi una netta prevalenza delle soluzioni durevoli e riutilizzabili.
La frontiera ancora da “conquistare” per la sporta è però il classico mercato rionale, dove l’uso del vecchio sacchettino di plastica tradizionale – oltretutto leggerissimo e di piccole diemnsioni – è ancora frequente.
PANNOLINI E ASSORBENTI
I pannolini usa e getta non sono affatto economici. Un bambino consuma mediamente cinque pannolini al giorno, e li usa in media fino ai 2 anni e mezzo di età, se non oltre. Ogni pannolino ha un costo medio di circa 20 centesimi e la cifra annuale che si arriva a spendere varia, a seconda delle stime, tra i 900 e i 1500 euro. Questo per quanto riguarda l’aspetto economico, ma c’è un altro costo notevole da non sottovalutare: quello ambientale. In Italia ogni anno finiscono in discarica 10-15 kg di pannolini per abitante. Rifiuti che oltretutto non possono essere raccolti tramite differenziata e che occupano molto spazio. Per decomporsi un pannolino tradizionale potrebbe impiegare più di 500 anni. Esiste ovviamente un’alternativa: i pannolini lavabili. Un kit base (composto da 20 pannolini e 3 slip contenitivi) ha un costo che varia tra i 120 e i 450 euro. Anche considerando lavaggi frequenti, il confronto costi va ovviamente tutto a vantaggio di quelli riutilizzabili, costi ambientali compresi. In Lombardia è stata avviata con successo una sperimentazione sui pannolini lavabili a Brescia, dove i kit di pannolini sono stati venduti a prezzi agevolati: il progetto pilota ha coinvolto l’11% dei neonati, con un risparmio del 30% per le famiglie.
Non ci sono solo i pannolini da neonanto: fra gli usa e getta per l’igiene corporea anche gli assorbenti femminili raggiungono cifre notevoli . Calcolando in media 38 anni di fertilità media, si ottengono 456 cicli mestruali: ipotizziamo l’uso di 20 assorbenti a ciclo (una stima al ribasso), si arriva a un totale di 9.100 assorbenti per ogni donna. La soluzione può essere rappresentata dalle coppette mestruali (ne esistono ormai di diverse marche), che durano fino a 10 anni con un costo minimo per il portafoglio e quasi inesistente per l’ambiente.
PRODOTTI SFUSI
C’è una domanda importante che dovrebbero porsi le amministrazioni comunali: al di là delle dichiarazioni di intenti, un cittadino che voglia impegnarsi davvero nella riduzione dei rifiuti ha la possibilità di farlo senza diventare matto? In città ci sono negozi che vendono prodotti sfusi? C’è una fontana di acqua pubblica che eroghi acqua liscia o gassata qualora l'acqua che esce dal suo rubinetto non abbia un buon sapore? Se decide di acquistare uno spazzolino con la testina intercambiabile, deve prendere la macchina, guidare per 25 minuti e fare il giro del globo prima di trovarne uno? Vediamo com’è la situazione a Milano.
Prodotti – alimentari e non – alla spina possono essere reperiti in alcuni punti vendita della catena Simply Sma, presso i punti vendita Coop (per ora la vendita è limitata ai prodotti non alimentari), in sei punti vendita di NaturaSì, in una decina di negozi “leggeri” e all’interno dell’Ex Consorzio Agrario di via Ripamonti 37, ogni mercoledì e sabato mattina: le aziende agricole vendono i propri prodotti direattamente dal produttore al consumatore.
Un suggerimento per incentivare l’acquisto di prodotti alla spina ci arriva dalla coordinatrice nazionale della Campagna Porta la Sporta: “I prodotti alla spina faticano a inserirsi nella lista della spesa dei consumatori perché c’è poca scelta. Anche soltanto a livello visivo, l’offerta non colpisce: non andiamo a mangiare in una pizzeria che proponga un unico tipo di pizza, no? E’ un parallelo che rende l'idea. I clienti per adottare un nuovo sistema di acquisto devono pensare di poter sostituire la maggior parte delle opzioni in uso. Quindi poter scegliere fra diversi tipi di prodotti. E invece i (rari) supermercati che offrono detergenti sfusi propongono un assortimento limitato a pochi prodotti. La gente butta un occhio e poi si rivolge agli scaffali, dove trova decine di prodotti diversi”.
RIDUZIONE DELL’USO DEGLI IMBALLAGGI per filiera corta e acquisti condivisi
Si calcola che a Milano i Gruppi di Acquisto Solidale Gas – le cui pratiche riducono notevolmente l’uso di imballaggi – siano circa un centinaio. A questi si aggiungono le famiglie che individualmente acquistano prodotti in cassette dai produttori. Si tratta di realtà da facilitare e promuovere.
VUOTO a RENDERE
Apparentemente sempre di recupero di vetro si tratta. In realtà non rompendo le bottiglie il processo è quello puro e semplice del ri-utilizzo, considerato più virtuoso.
RIDUZIONE DELLA POSTA INDESIDERATA (riduzione sprechi di carta)
La raccolta differenziata della carta non ha eliminato l’esigenza di contrastare gli sprechi. Alla pubblicità in buca, soprattutto quella indesiderata, ci si può opporre. Ponendo una nota che richiama gli articoli 660 e 663 del Codice Penale sulla buca stessa. Alle banche si può dire di non inondarci di lettere di continui estratti conto.
RI-PARAZIONE, RI-USO, GIORNATE DEL RI-USO
Verso le giornate del ri-uso, come fanno a Varese. In una data prestabilita e concordata gli abitanti di una via o di una zona possono lasciare in strada accanto al portone oggetti di cui vogliono disfarsi, e chiunque li può prendere.
Al di là delle occasioni di dono o di scambio senza passaggio di denaro, vanno favorite tutte le possibilità anche commerciali di favorire la ri-parazione e il ri-utilizzo degli oggetti.
L’esperienza della raccolta di abiti usati e dismessi, attraverso i contenitori che poi portano a Caritas, è radicata nella storia di Milano. Ed è un altro aspetto del tema generale “riparazione riuso riutilizzo” e quindi innanzitutto raccolta degli oggetti in via di dismissione.
L’associazione Humana People to People Italia nella città di Milano ha raccolto nel 2010 37.723 chili di abiti utili a risparmiare l’emissione di 135.802 chili di CO2 e l’utilizzo di 226.338.000 litri di acqua.
Nel 2011 (fino a 22-11-11): 44.566 chili di abiti utili a risparmiare l’emissione di 160.437 chili di CO2 e l’utilizzo di 267.396.000 litri di acqua
(Il risparmio è rappresentato dal riutilizzo di abiti usati e quindi dal non utilizzo abiti nuovi, la cui produzione costa 3,6 chili di Co2 e 6.000 litri di acqua per ciascun chilo. I parametri utilizzati provengono da ‘Environmental benefits from recycling clothes’, Technical University of Denmark, Department of Management Engineering, Quantitative Sustainability Assessment, Copenhagen, 2008.)
Che ruolo possono avere gli ecocentri Amsa in una logica di questo tipo?
Più in generale il Comune dovrà incontrarsi con tutti soggetti interessati, commercianti e artigiani, organizzatori dei mercatini e consumatori attivi, per definire insieme regole, iniziative ed occasioni di promozione della nuova vita degli oggetti. Esistono poi le Banche del tempo: ce ne sono una decina solo a Milano e servono a far circolare fra gli associati oggetti, mobilio, biciclette etc, che vengono riparati e riutilizzati, evitando che diventino rifiuti.
ASPETTI ECONOMICI
Gli aspetti economici meritano uno studio a parte ma fondamentalmente una riduzione dei rifiuti del 10% può comportare significativi risparmi in costi di raccolta, di trasporto e di conferimento. Gli spazi che si “liberano” nell’inceneritore possono essere venduti per trattare rifiuti di altri comuni. Per i singoli cittadini e per le imprese, per incentivarli realmente, si pone la questione di passare a una TARIFFA puntuale che calcoli l’effettiva quantità di rifiuti