Grattacieli fuori stagione: la Repubblica contro il Pirellone-bis, la Stampa per la Torre Intesa San Paolo
La Stampa sul grattacielo Intesa-San Paolo: "Il cielo a 166 metri: viaggio nel cantiere della città verticale". La Repubblica sul nuovo Palazzo della Regione: "Ecco il 'Pirellone bis', costa 570 milioni. Formigoni ha un eliporto e la foresteria". Le repliche ai due articoli
08 February, 2012
Il cielo a 166 metri: viaggio nel cantiere della città verticale - da La Stampa dell'08.02.2012
Qui a fine anno sorgerà il megapalazzo, poco più basso
della Mole Antonelliana, che aspira a diventare un nuovo
simbolo urbano. È la sede del gruppo Intesa Sanpaolo
L’ultima scala a pioli è alta quanto basta perché la città che si agita di sotto sembri già piccola: 65 metri di cemento su corso Vittorio Emanuele, il vialone che dal Po porta verso la periferia di Torino. Per arrivare in cima ci vogliono quindici minuti buoni di gradini, ed è una cima per modo di dire, visto che dalla testa delle gru che si muovono ancora più in alto piovono i sorrisi divertiti e quasi irridenti dei manovratori.
Per i torinesi, la grande torre grigia è già «il grattacielo del San Paolo». La chiamano così e la guardano con sospetto, perché la costruzione è tozza, diciamo pure brutta. Sbagliano. In buona fede, ma sbagliano: perché quello che si vede oggi non è «il grattacielo», ma soltanto il suo vano ascensori. È difficile immaginarlo da soli, perché fare i calcoli in altezza è complicato, ma tra quello che c’è e quello che sarà davvero il tetto mancano un centinaio di metri e una trentina di piani.
Il mistero
Il cantiere di un grattacielo del 2012 non è troppo differente da quello che doveva essere la «fabbrica» di una cattedrale medievale. Dentro si lavora, fuori non si sa nulla, o quasi. Di diverso ci sono soltanto i tempi, che corrono veloci: poco più di due anni fa qui c’era solo uno spiazzo sporco. «Siamo arrivati il 7 gennaio del 2009 - racconta Vincenzo Turini, l’ingegnere che fa parte della squadra scelta dal Gruppo Intesa Sanpaolo per controllare i lavori - era mercoledì, e nevicava. Abbiamo cominciato pulendo il terreno, qui prima c’era il cantiere del passante ferroviario, e prima ancora una stazione di pullman e il mattatoio cittadino».
Nell’agosto del 2013 ci sarà una città verticale di 166 metri, uno in meno della Mole Antonelliana. Ma la Mole è un edificio a punta, solo l’Uomo Ragno potrebbe arrivare fino in cima: «Noi invece avremo una terrazza - sorride un ingegnere della Jacobs, l’impresa che conduce i lavori - con una caffetteria e un ristorante. Il nostro sarà il più alto belvedere della città...».
La tecnica
Per un anno e mezzo tecnici e operai hanno lavorato sul progetto di Renzo Piano senza che all’esterno nessuno vedesse nulla. Hanno triturato il suolo con quella che chiamano «idrofresa», un mostro che mangia la terra e la risputa fuori come fango pregiato. Hanno inserito nel terreno armature di metallo alte quaranta metri, scavato in basso per quattro piani, costruito colonne provvisorie («E allora sembrava davvero di stare in una cattedrale sotterranea»), montato gigantesche solette.
Hanno creato sottoterra un enorme cubo di calcestruzzo: «Ci sono volute 87 ore consecutive di gettata - spiega Turini - e 1.280 betoniere, ma ce l’abbiamo fatta. È il secondo monolite del mondo, di più grande ce n’è soltanto uno negli Emirati».
Il gigante ha messo fuori la testa la primavera scorsa, quando sono arrivati quelli che qui chiamano «casseri rampanti» e la torre ha cominciato a crescere, spinta in alto dalle tecniche più avanzate a disposizione dell’edilizia. Poi hanno portato le sei mega-colonne, che ancora a pezzi sui Tir speciali sembravano lunghissime, e adesso piantate nel terreno sono quasi esili, con i loro 44 metri di acciaio riempito di calcestruzzo.
«Non sarà un grattacielo altissimo per gli standard internazionali», dice ancora l’ingegner Turini. A Dubai, in Arabia, in Cina ce ne sono di alti tre volte tanto. «Ma questo è il più sofisticato, pensato e costruito con soluzioni uniche». È il solo grattacielo vuoto sotto, «l’unico che poggia su un tavolino a sei gambe», aggiungono i tecnici della Jacobs.
Quello che chiamano «tavolino» è un’enorme struttura d’acciaio, lunga 27 metri, larga 7 e alta 20. Una gabbia metallica di duemila tonnellate che nei prossimi giorni si arrampicherà lungo le colonne, tirata su a tappe di quaranta centimetri da un sistema di funi e di martinetti. Sotto il tavolino si «appenderà» un auditorium da 360 posti («Con le poltrone pronte a cambiare altezza a seconda del tipo di spettacolo, fino a sparire del tutto trasformando la platea in un salone»).
Sopra si appoggeranno i piani, che i torinesi vedranno salire al ritmo di tre ogni mese («A Dubai vanno su a tre la settimana, ma quello è davvero un altro mondo»), fino all’ultimo, dove gli uffici lasceranno spazio ai tavoli del ristorante.
Il futuro
All’inizio del 2014 qui lavoreranno duemila persone, ma tra poco più di un anno la struttura sarà già finita: i sotterranei con i parcheggi e gli impianti tecnologici, la hall con le scale mobili, il «tavolino» con la sua pila di piani. Ma anche le lamine mobili sui lati Est e Ovest («Si aprono d’estate e si chiudono d’inverno»), le doppie pareti per lasciare entrare l’aria nelle intercapedini dei solai, i pannelli fotovoltaici, il giardino d’inverno sul lato Sud, quelli in alto sui piani della serra.
E poi le vasche per raccogliere l’acqua che farà funzionare i climatizzatori, i serbatoi per trattenere la pioggia, il parco a livello terra, l’asilo per i figli dei dipendenti, la hall aperta, con lo sguardo che potrà attraversare la base del grattacielo.
Tra cinque anni sembrerà tutto normale: le pareti che respirano, l’auditorium appeso nel nulla, i giardini pensili con gli alberi a cento metri da terra, l’ombra del gigante che arriverà chissà dove. Nel parco sotto la torre i padroni dei cani che sporcano litigheranno come sempre con i genitori dei bambini che urlano. Qualcuno criticherà il menù del ristorante sulla terrazza, si apriranno dibattiti sullo chef, perché d’accordo il panorama, ma in un posto del genere «bisogna pure mangiare bene».
Tra vent’anni, poi, altri bambini si sentiranno raccontare che «proprio lì» dove c’è il grattacielo una volta c’era un parcheggio di autobus, e ascolteranno con la stessa aria tra lo stupito e l’annoiato che hanno i nostri figli quando la nonna racconta che «proprio lì» dove ci sono i pullman lei aveva visto i vitelli andare con gli occhi tristi verso il macello. E anche quei bambini, come i nostri figli, si chiederanno come diavolo facevano, i nonni, a vivere in una città tanto antica.
Piano: "Un grattacielo così leggero che non tocca terra"
L'architetto e un progetto «privato, ma di pubblica utilità»
Un grattacielo per amico. Non una sterile corsa verso l'altezza o un'astronave costruita con l'ansia della novità e calata nel paesaggio urbano senza curarsi degli strappi che può causare alla relazione tra uomo e ambiente, ma un luogo architettonico con l'ambizione di esprimere e trasmettere uno «stato d'animo», la forza di un'allegoria.
Renzo Piano guarda alla «sua» creatura destinata a diventare centro direzionale di Intesa Sanpaolo che svetterà a Torino alla fine del 2013. E ha una certezza: non sarà un inutile e trionfalistico simbolo d'arroganza, una sorta di torre di Babele inneggiante al Potere o, magari, anche solo all'ego di un architetto. Sarà un oggetto che la gente adotterà ed amerà.
Un «amico» di 166 metri, architetto? Amore, adozione? Come pensa che la sede d'una banca possa suscitare nelle persone comuni sentimenti del genere?
«Mi rendo conto che i grattacieli godono spesso di cattiva stampa e di pessima fama perché visti come tracotanti simboli del capitalismo. Qui, invece, si tratta d'una realtà diversa: parliamo di un istituto bancario che ha una storia intrecciata da secoli con quella di Torino e, quindi, una "parentela" strettissima con i cittadini. Ma i motivi che, secondo me, determineranno l'affezione non si fermano a questi: hanno a che vedere con l'uso pubblico dell'opera».
Uso pubblico di un edificio privato...
«Certo. L'idea-guida del progetto è realizzare una costruzione che abbia una valenza di pubblica utilità. Per questo un terzo della torre è aperto a tutti: oltre agli uffici ci saranno infatti un auditorium multifunzionale, una scuola di formazione, una sala espositiva, un ristorante, una terrazza panoramica da quale chiudere Torino in un abbraccio che va dalle Alpi, al Po alla collina. Dico "abbraccio" non a caso perché si tratta di un'evidente manifestazione affettiva».
Parlando di architettura come ispiratrice di emozioni lei, spesso, cita anche l'«orgoglio civile» che edifici come questo, dal forte impatto sociale, sono in grado di suscitare.
«A mio avviso le città possono essere fertilizzate da costruzioni che si offrano come strumenti di quella che i latini chiamavano "civitas". Grazie soprattutto agli scambi culturali che avvengono in luoghi d'incontro nei quali si condividono valori e spariscono diversità. Non è casuale che il termine «urbano» significhi, appunto, «relativo alla città», ma indichi anche un modo di comportarsi educato e corretto. Romanticismo? No, una convinzione radicata che, anche recentemente, ho applicato realizzando la torre per il New York Times o la nuova ala dell'Art Institute di Chicago, museo e centro educativo. E, poi, (ride) lo stesso Obama ha parlato, in quel luogo e a questo proposito, di "civic pride"».
Caliamo questi concetti nella realtà di Torino, architetto...
«E' terra del fare per eccellenza: della scienza e della tecnica. Non può che apprezzare un oggetto appartenente a una nuova generazione di edifici che si sforzano di spostare in avanti certe frontiere anche attraverso l'impiego delle più moderne tecnologie. Come quelle per il risparmio energetico: la torre avrà una doppia pelle che "respira" grazie a sofisticate lamelle, solai che, immagazzinando il fresco delle notti estive, lo restituiscono di giorno e fanno posticipare di ore l'utilizzo dei condizionatori».
Una metafora per battezzare la sua creazione?
«Potrei parlare di "edificio che vola" perché i volumi non toccano terra ed è leggero sulle sei colonne che lo reggono. O di "costruzione sensibile agli umori del tempo" perché la sua superficie gioca con la luce, restituisce le nuvole, il mutare dei colori del cielo».
Ma guai a definirlo «specchio»...
«La copertura è in cristallo extra white: né verdastro né troppo riflettente. Ha notato quanto siano scostanti, ermetiche e aggressive le persone che portano sempre occhiali con lenti scure o a specchio? Credo che per le architetture valga lo stesso giudizio».
Non sono mancate le obiezioni al progetto: fuori scala nel contesto urbano, con un'ombra che oscura le case...
«Qualcuno ha anche sostenuto che consuma troppa energia quand'è vero l'esatto contrario. L'abbiamo progettato lì dove prevede il Piano Regolatore. L'ombra? E' un problema che si pone se il grattacielo è edificato nel mezzo di un abitato denso. In questo caso cadrà praticamente solo su costruzioni che ospitano uffici e sono molto più distanziate. Comunque, sono cresciuto nella cultura del dibattito e so accettare anche le critiche più irritanti perché insegnano, comunque, qualcosa. L'importante è pensare con onestà e lealtà».
Lei che è così attento ai simboli, come giudica la nascita di una torre tanto imponente e costosa al tempo della crisi?
«E' un segno di dinamismo, un modo di guardare al domani senza esserne terrorizzati. D'altronde il futuro è l'unico posto dove possiamo andare».
Leggi anche La lettera al Direttore di Guido Montanari
Guido Montanari, docente di storia dell'architettura del Politecnico di Torino replica all'articolo "Il cielo a 166 metri: viaggio nel cantiere della città verticale" pubblicato da La Stampa l'08.02.2012
Ecco il 'Pirellone bis', costa 570 milioni. Formigoni ha un eliporto e la foresteria - da La Repubblica del 07.02.2012
Il governatore ha a disposizione due piani: per arredare l'ufficio e l'appartamento sono stati spesi 127mila euro. Un tavolo da 11mila euro e un sofà da oltre 4mila
La più costosa operazione edilizia per la casta è a Milano: 571,4 milioni di euro per realizzare il grattacielo del Pirellone bis, sede della giunta regionale, e un complesso di edifici - in via Pola, Rosellini e Taramelli - per tutte le società o agenzie di emanazione dell’ente locale. Il Pirellone bis è alto 161 metri. I suoi 39 piani si raggiungono con un ascensore ultratecnologico che viaggia alla velocità di sette metri al secondo. È costato 383 milioni di euro. Una cifra molto diversa da quella stabilita nella gara d’appalto - 234 milioni di euro più 90 per i costi di superficie pagati al Comune - e ancor più distante da quella propagandata (175 milioni di euro) dallo staff del presidente Roberto Formigoni. “È la sindrome del Faraone - accusa Stefano Zamponi, dell’Italia dei valori - tipica degli amministratori che, superato il secondo mandato, vogliono lasciare ai posteri un segno del loro passaggio, pagato con soldi pubblici”. Il governatore ha a disposizione un eliporto per i suoi spostamenti in elicottero. E due piani, collegati tra loro da una scala interna.
GLI ALLESTIMENTI
Allestimenti interni, arredi e forniture sono costati, in tutto, 42,8 milioni di euro. Arredare l’ufficio e la foresteria del presidente ha avuto un costo (parziale) di 127mila euro. Sono serviti ad acquistare pezzi come i tre pouff con struttura portante in acciaio cromato lucido, i due divani con rivestimento sfoderabile in ecopelle (12mila euro), il comodino del letto, con struttura in legno massello di rovere come le nove sedie per la sala da pranzo (seimila euro), le quattro poltrone con fodera in vellutino accoppiato con resinato, il letto matrimoniale con testata in multistrato e rete ortopedica a doghe di faggio curvato a vapore. E poi ancora: le librerie, il tavolo da pranzo, il tavolo “direzionale” del presidente (11.200 euro), l’armadio e ventuno tra poltrone e divani. Per sé e per il suo entourage, Formigoni non si è fatto mancare niente. Neppure le buvette e le cucine, dislocate tra i livelli 12 e 13 — dove si riunisce la giunta — e tra il 34 e il 36. Costo (parziale) della mobilia: 64mila euro. E i tappeti «fabbricati a mano con pelo corto e fitto in lino/lana», 20mila euro.
I MATERIALI
Di ottima qualità i materiali usati per gli arredi speciali. La pedana della sala conferenze, costo 126.388 euro, è rivestita con “pannelli lignei in pavimento vinilico Tatami” ed ha parapetti in acciaio. Abbondante l’impiego di poltrone e divani: alla voce sedute, nel capitolato d’appalto sugli arredi speciali, corrisponde una spesa di un milione e 328mila euro. Sono serviti a comprare, per esempio, 27 divani con “bracciolo a sbalzo” per gli uffici degli assessori e dei sottosegretari (58mila euro): si aggiungono alle 54 poltrone già previste per i maggiorenti della Regione (44mila euro). Altri 270mila euro sono andati alle tende. E 174mila euro per altri “accessori interni”. Dieci milioni di euro, invece, sono andati per l’arredamento dei piani occupati dagli impiegati. Vincitrice dell’appalto è la MioDino di Portogruaro, un marchio tra i più prestigiosi del design veneto. Secondo un’azienda concorrente - che ha presentato (perdendolo) un ricorso al Tar - e alcuni lavoratori rumeni che hanno presentato una denuncia alla procura di Venezia e al tribunale del lavoro, l’appalto è stato vinto giocando al massimo ribasso sul costo della manodopera.
LA SEDE STORICA
Il nuovo Pirellone è l’ultimo di una lunga serie di cantieri aperti dalla Regione. Prima gli uffici del governatore e dei suoi assessori erano ospitati nel grattacielo Pirelli, inaugurato nel 1961 e acquistato nel 1978 dalla Regione al prezzo di 52 miliardi di lire, l'equivalente degli attuali 150 milioni di euro. Un edificio di pregio, progettato da Giò Ponti, ferito dall'attacco “kamikaze” del 2002, quando l'imprenditore italosvizzero Luigi Fasulo si scagliò con il suo aereo contro il grattacielo. Per la ristrutturazione servirono 60 milioni di euro, solo in parte (18 milioni) coperti dall’assicurazione. Ma Formigoni non si accontentò di ripristinare l'esistente: volle rifare alla grande il 31esimo piano del vecchio Pirellone, spendendo 5,2 milioni di euro. Ora in quel palazzo ha sede il consiglio regionale. «I consiglieri e i loro collaboratori hanno a disposizione spazi immensi», fa notare Carlo Monguzzi, ex consigliere dei Verdi oggi nel Pd, che ha calcolato anche che «con l’acquisto del complesso di via Pola-Taramelli-Rosellini la Regione aveva già a disposizione 150mila metri calpestabili che in parte non sapeva come usare. Serviva davvero una nuova sede?».
LA REALIZZAZIONE
A dirigere i lavori per il Pirellone bis è Infrastrutture lombarde, società di capitali totalmente controllata dalla Regione, che ha commissionato l’opera e l’ha appaltata a Consorzio Torre, al cui interno è socio maggioritario Impregilo. Gli impianti elettrici sono stati realizzati dalla Sirti spa, subappaltatrice degli ascensori è la Thyssenkrupp. Nell'aprile del 2010 si è aggiudicata l'appalto per i servizi di manutenzione e riparazione degli impianti degli edifici di proprietà della Regione la Carbotermo, società che, nelle elezioni regionali del 2010, ha finanziato con 35mila euro la campagna elettorale del presidente del consiglio regionale Davide Boni, della Lega. Le operazioni di bonifica del cantiere, invece, furono affidate alla So.Ge.Sa., il cui titolare, venerdì, è stato condannato a un anno di carcere per aver gestito in modo irregolare lo smaltimento 9 milioni e 943mila chili di rifiuti speciali non pericolosi tra il 2006 e il 2007. «Faremo appello, è una sentenza ingiusta», annuncia il difensore, l'avvocato Davide Steccanella. Si chiuse con un’archiviazione, invece, l’inchiesta che ipotizzava tangenti per far lievitare i costi dell’appalto.
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Regione Lombardia replica all'articolo di Repubblica