La guerra del fotovoltaico
Da AGI Energia del 04.04.2012
04 April, 2012
di Maurizio Stefanini
Pechino aveva minacciato rappresaglie, ma da maggio scatteranno comunque i dazi commerciali imposti dal Dipartimento per il Commercio degli Stati Uniti nei confronti delle celle solari cinesi. Sarà una tassa doganale compresa tra il 2,9% e il 4,73% del valore della merce importata, ed avrà la funzione di compensare i finanziamenti pubblici con cui la Repubblica Popolare permette ai produttori locali di esportare celle e pannelli fotovoltaici sotto costo. E se il Wto riterrà la ritorsione Usa ammissibile, allora è altamente probabile che anche l’Unione Europea farà un passo del genere, dal momento che c’è già una richiesta in tal senso da parte dell’Epia, l’Associazione dell’Industria Fotovoltaica Europea.
Né va dimenticato che la società Usa che ha guidato il ricorso ha in effetti la sua sede centrale in Germania. Si delineerebbe dunque una guerra a tutto campo sul fotovoltaico, che andrebbe ad aggiungersi all’altra guerra a tutto campo che si è appena scatenata al Wto, dopo che Stati Uniti, Unione Europea e Giappone assieme hanno accusato la Cina di bloccare l’export di terre rare. Anche su questo gruppo di minerali particolarmente essenziali alle nuove tecnologie Pechino ha infatti offerto prezzi convenienti, fino al punto da far chiudere le miniere del resto del mondo. Ma una volta stabilito il monopolio sul 97% della produzione ha iniziato a contingentare l’export.
Come però si è già ricordato, il ministero del Commercio di Pechino aveva risposto con un comunicato durissimo quando lo scorso ottobre misure anti-dumping erano state chieste al Dipartimento del Commercio di Washington da sette imprese Usa guidate dalla SolarWorld Industries America, che è appunto la filiale di una multinazionale con sede centrale in Germania. “Se il Governo degli Stati Uniti avvia un procedimento legale, introduce dazi e invia un segnale inopportuno di comportamento protezionistico, potrebbe risentirne la ripresa economica mondiale. Il governo cinese auspica che gli Stati Uniti rispettino scrupolosamente la promessa di opporsi a ogni forma di protezionismo commerciale, evitando di adottare misure protezionistiche sui prodotti fotovoltaici cinesi e favorendo al contempo le condizioni per un commercio libero, aperto ed equo nonché adottando gli approcci più razionali nel gestire gli attriti commerciali”.
Il governo di Pechino aveva anche ritorto sugli Usa l’accusa di aver adottato per anni politiche distorsive del mercato a favore della propria industria nazionale, ed aveva risposto che non solo le politiche commerciali cinesi rispettano le regole della World Trade Organization, ma anche che la lotta ai cambiamenti climatici e per la sicurezza energetica sono “nobili sforzi” che gli Stati Uniti dovrebbero sostenere. “Gli Stati Uniti non hanno alcun motivo per criticare gli sforzi di altri Paesi a favore dell’ambiente. Dovrebbero anzi rafforzare la cooperazione con altri paesi nel settore dell'energia solare per rispondere congiuntamente alle sfide climatiche e ambientali”. La nota ricordava anche un rapporto di GTM Research e associazione dell’industria solare americana (Seia) secondo cui nel 2010 gli Usa erano risultati “esportatori netti” di componenti per la produzione di energia dal sole per 1,9 miliardi di dollari. Superando di gran lunga il valore delle importazioni cinesi, e con destinazione soprattutto la stessa Cina, oltre che alla Germania. Ma va ricordato che con l’obiettivo di fornire il 15% del consumo di energia da fonti rinnovabili entro il 2015 la Cina ha messo a disposizione alle sue aziende di energia solare 30 miliardi di prestiti e sussidi che appunto nel 2010 le hanno permesso di superare gli Stati Uniti come leader globale nella capacità eolica installata: da 41,8 GW a 40,2 GW. Quanto al mercato europeo, ha assorbito una capacità produttiva di 14,3 GW, ma malgrado un potenziale produttivo di 7,5 GW proprio per l’invasione del solare cinese a prezzi stracciati le industrie europee sono state in grado di produrre solo 2,6 GW.