Servizi pubblici locali: il punto dopo la sentenza della Corte costituzionale
Servizi pubblici: liberalizzazioni bocciate. Accolto il ricorso di sei Regioni. Illegittima la norma del governo Berlusconi. La decisione della Corte cancella così l'architettura legislativa sui servizi pubblici locali e il riferimento ora torna ad essere la normativa europea
23 July, 2012
La Corte costituzionale, con la sentenza 199/2012, ha accolto il ricorso presentato da sei Regioni (Emilia-Romagna, Marche, Umbria, Lazio, Puglia e Sardegna) contro la manovra estiva del 2011 del governo Berlusconi e in particolare l'articolo 4 della legge 138 che ripristinava l'articolo 23 bis del decreto Ronchi, oggetto, quest'ultimo, dei referendum del giugno dello scorso anno. Per i giudici della Corte, l'articolo 4 ha violato l'articolo 75 della Costituzione e a nulla è servito il tentativo dell'allora governo di escludere dal regime dei servizi pubblici locali l'acqua. In altre parole, per la Corte costituzionale, con la manovra del ferragosto dello scorso anno, si è tradito il risultato delle consultazioni del giugno 2011. La sentenza dichiara illegittimo l'articolo 4 e le successive modifiche normative, vale a dire anche l'articolo 53 del decreto "Cresci-Italia" del governo Monti, che fissava dei limiti economici per gli affidamenti in house, preclusi per servizi di valore superiore ai 900 mila euro annui(diventati poi 200 mila con il decreto liberalizzazioni del 2012 dello stesso governo Monti). Con la sentenza si dà anche l'addio all'obbligo per gli enti locali di effettuare analisi di mercato entro il 13 agosto prossimo per giustificare l'attribuzione di diritti di esclusiva. Differenti le reazioni del mondo politico. Il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola, afferma, sull'onda della sentenza della Corte, che occorre anche rivedere il decreto sulla spesa delle società strumentali della pubblica amministrazione. Mentre Piero Fassino, sindaco di Torino, pone l'accento sull'interpertazione della sentenza, vale a dire sulla differenza esistente tra l'insieme dei servizi pubblici locali e il servizio idrico, oggetto specifico – afferma il primo cittadino torinese - dei referendum del 2011, e l'obbligo, venuto meno con la sentenza, di superare la gestione in house, come invece imponeva la legge Ronchi. Radicale la posizione del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, il quale afferma che la sentenza libera gli enti locali da vincoli rigidi nei processi di liberalizzazione e privatizzazione, ma indirettamente non rende illegittima la delibera comunale sulla vendita del 21 per cento di Acea (è attesa per il 24 luglio la sentenza di merito del Consiglio di Stato che, giorni fa, aveva di fatto stoppato la delibera consiliare). Federutility, la federazione delle imprese pubbliche e private di gas, energia e acqua, chiede invece normative serie di settore, per premiare l'efficienza, e uno stop ai tira e molla legislativi. In definitiva, la decisione della Corte cancella l'architettura legislativa sui servizi pubblici locali e il riferimento ora torna ad essere la normativa europea, che permette l'affidamento in house a tre condizioni: la società affidataria deve essere a capitale interamente pubblico e svolgere la quota prevalente della propria attività con l'ente affidante, che a sua volta deve esercitare su questa un controllo analogo a quello assicurato dai propri uffici. Ovviamente, il tutto in attesa della prossima norma.