Cemento o parco, l’incognita del dopo-Expo
Quale sarà il futuro delle aree di Expo 2015 dopo l'evento internazionale? Verrà rispettato il volere dei milanesi espresso nel Referendum del 2011? L'articolo di Ivan Berni, Repubblica 21 settembre 2012
21 September, 2012
Ora che i cantieri sono aperti e i Paesi partecipanti stanno toccando quota cento, è lecito fugare almeno il dubbio che l’Expo si farà. Dopo tanto penare e tentennare la macchina è finalmente in moto e l’obiettivo, lavorando senza sosta, appare raggiungibile. Tuttavia ancora non si è ben capito che forma, e che contenuto riconoscibile, avrà il “grande evento”. Non si è ancora capito quanto dell’iniziale tematizzazione “Nutrire il pianeta, energia per la vita” verrà tradotto e declinato nella struttura della manifestazione e nella sua “inspiration”.
Archiviato con malagrazia il progetto dell’orto planetario, non è apparso all’orizzonte un altro concetto “forte”. E il rischio di assistere a una gigantesca riedizione della Campionaria che fu rimane concreto. Tuttavia, se è ancora nebbioso il tema, è addirittura più indecifrabile il futuro dell’area dove si svolgerà Expo 2015.
Una decina di giorni fa l’assemblea dei soci di Arexpo – Comune e Regione i principali – ha definito il calendario degli impegni. Fra i quali brilla la definizione della “funzione pubblica” che dovrà presiedere alla destinazione dei terreni, da decidere entro la prossima primavera.
Questa definizione sarà il preliminare all’approvazione del relativo masterplan che andrà adottato dagli enti pubblici entro un percorso a tappe forzate su cui pesa un vincolo: la necessità di vendere quelle aree a non meno di 300 milioni di euro, perché i conti tornino. Questo significa che quelle aree dovranno essere appetibili, molto appetibili per i privati ai quali lo società Arexpo cercherà di venderle. E siccome gli operatori immobiliari non sono filantropi, è ovvio che l’appetibilità dipenderà dalle cubature edificabili, dalle destinazioni urbanistiche, dalla compatibilità della “funzione pubblica” prevista per quelle aree con le nuove edificazioni.
Insomma, il prezzo si farà sulla quantità di cemento realizzabile. Ora è appena il caso di ricordare che meno di un anno e mezzo fa, i cittadini milanesi votarono a grande maggioranza – 95,5% – un referendum di indirizzo che vincolava il futuro delle aree Expo a “parco agroalimentare”. Su questo punto, a poche settimane dalla sua elezione, Giuliano Pisapia prese solenne impegno al rispetto della volontà dei milanesi. Ora che i conti sono stati fatti, e che per il 2016 si prospetta una vendita per 300 milioni, quell’impegno può essere riconfermato? C’è da augurarselo, anche se tenere insieme capra e cavoli, ovvero grande parco e grandi cubature, non appare per nulla semplice.
La promessa, però, c’è stata e sarebbe bene che il Comune, e anche la Regione, su questo punto fossero chiari fino alla brutalità. Se il parco è diventato una pia illusione meglio dirlo subito, prendendosi la responsabilità della chiarezza di fronte ai cittadini. Se invece si pensa di tener fede alla promessa si dica come e con quali strumenti. Lo si dica indicando il parco come la funzione pubblica da realizzare a Rho-Pero e spiegando come si intende far fronte alla necessità di reperire, per Arexpo, 300 milioni.
L’importante è che in modo trasparente, e in tempi rapidi, si sappia quale sarà l’eredità di Expo per Milano.
di Ivan Berni, Repubblica 21 settembre 2012