Smog: biossido d'azoto sfora da anni, perché nessuno ne parla? Intervista a Bruno Villavecchia (Amat)
Biossido d'azoto, ma non solo. Con il Direttore del Settore Ambiente ed Energia di Amat, l’Agenzia del Comune di Milano, parliamo di Black carbon, danno sanitario e trasporto merci su gomma, che in Francia andranno ad arginare con un sistema di tariffazione basato sulle percorrenze e sulle emissioni, e che anche in Italia in termini di inquinamento “fa la parte del leone”, soprattutto a livello urbano
26 October, 2012
Partiamo dal biossido d'azoto: a Londra è il cavallo di battaglia degli attivisti anti smog, che a luglio 2012, prima delle Olimpiadi, denunciavano sforamenti da allarme rosso. Peccato che da noi i valori fossero ancora più alti, senza che a nessuno passasse per la testa di dire che eravamo in emergenza smog. Come si spiega?
E' che da noi il Pm10 tiene banco. I giorni di superamento dei limiti giornalieri e l’andamento delle concentrazioni annuali delle polveri sono parametri più lineari e leggibili rispetto al biossido d’azoto, che rappresenta un parametro più complicato da interpretare. Teniamo presente che il biossido d'azoto è un gas: sulle concentrazioni in atmosfera di questo gas, che si genera dall’ossidazione degli ossidi d’azoto primari emessi in atmosfera, andrebbe stimata la componente che si rigenera spontaneamente, che non dipende direttamente dalle emissioni, quindi è arduo correlare in modo diretto questo inquinante alla fonte. I fattori meteo-climatici risultano ancora più determinanti sul NO2. Il Pm10 è un indicatore facile che si presta di più a una stima diretta delle emissioni alla fonte. Certo: anche per il PM10 ci sono fattori orografici e meteo-climatici che pesano in maniera consistente sul livello delle concentrazioni, ma la correlazione diretta fra le emissioni da traffico e gli sforamenti delle polveri, per esempio, è più evidente. Teniamo conto che il rinnovamento del parco auto non ha lo stesso effetto di ricaduta, (per quanto significativo) sul biossido d’azoto e sulle polveri, perché i meccanismi di abbattimento delle emissioni di particolato introdotti sui diesel più recenti alterano la produzione di questo gas. Veicoli alimentati a gasolio a ridotta produzione di polveri (anche meno di 1 mlg per kilometro percorso) producono più ossidi di azoto di quelli meno evoluti. Osservando le statistiche annuali, si assiste spesso a discrepanze tra l’andamento del NO2 e Pm10. Ecco perché si è più prudenti quando di tratta dell’NO2. Insomma, direi che il biossido d'azoto è solo meno indiziato del Pm10, meno comodo quando dobbiamo valutare l’efficacia (o l’inefficacia) di un dato provvedimento, ma certo non meno preoccupante del particolato.
Quanto è allarmante la situazione delle città italiane?
I valori limite assegnati dall'Europa sono ampiamente superati: il valore limite delle concentrazioni medie annue è di 40 ug/m3. Milano ha chiuso il 2010 con 58 ug e il 2011 con 61 ug. Decisamente non ci siamo. Fra l'altro il problema non riguarda solo i grandi centri urbani: i valori sono omogenei anche fuori città, anzi, ci sono aree di campagna in cui sono proprio l'attività agricola e la zootecnia ad acutizzare il fenomeno. Ricordo quella fotografia scattata dal satellite Envisat nel 2004, in cui si vedeva una gigantesca nube rossa sopra la Pianura Padana: l’Agenzia Spaziale europea aveva utilizzato un filtro di contrasto per gli ossidi d'azoto, e la macchia copriva tutto il nord d’Italia, dalla Liguria al Veneto. Le cause di questo fenomeno sono molteplici: prima di tutto la conformazione di questa nostra macro regione, che favorisce la stagnazione, e poi la variabile d’origine antropica: il traffico, il trasporto delle merci - che avviene prevalentemente su gomma - le attività industriali, agricole e zootecniche, la natura diffusa e pervasiva della struttura urbana, che si è sviluppata senza una programmazione coerente e razionale delle funzioni su una scala adeguata.
Vuol dire che la richiesta fatta dalle regioni del Nord (Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto) affinché la Commissione Europea tenga conto delle particolari condizioni della Pianura Padana prima di sanzionare i continui sforamenti è fondata?
Beh, questi elementi ci sono, ma non ci si può barricare dietro, usandoli come scusa per la totale carenza di interventi, razionali, coerenti e giocati su una scala adeguata. Queste problematiche di tipo esogeno, legate alle variabili geografiche e meteo climatiche, andrebbero invece utilizzate in senso inverso: se abbiamo più problemi di altri siamo chiamati a fare di più per risolverli: stiamo parlando del superamento dei limiti di tolleranza per la salute umana! E poi c'è un'altra questione: dobbiamo smetterla di considerare i nostri livelli d’inquinamento come una conseguenza inevitabile dello sviluppo industriale e del nostro stile di vita. Il Rapporto sulla qualità dell’aria dell'Agenzia Europea per l'Ambiente, ogni anno riporta in copertina un’immagine emblematica, e sapete quale è stata scelta ques’anno? Una lunga colonna di macchine sbuffanti che s’infila dentro il tunnel di un sottopasso ferroviario urbano. E' Viale Brianza, a Milano... E non hanno scelto a caso. Dieci anni fa le mappe dell'EEA con i pallini rossi sulle zone più inquinate riportavano sempre la Pianura Padana e la Ruhr tedesca come le peggiori in fatto di particolato fine. Il Rapporto del 2012 è significativo: i pallini rossi sulla Ruhr sono spariti, mentre su di noi sono ancora abbondanti. Ma non siamo soli. La mappa del PM2,5, un inquinante che non entrava nelle statistiche 10 anni fa, ci mostra in compagnia delle zone più inquinate dell'Europa dell'Est. Il mio timore è che se non cambia la volontà politica, e di conseguenza il modo con cui s’affronta questa emergenza, fra 10 anni i pallini saranno spariti anche dall'Est ma la Pianura Padana manterrà saldamente il suo triste primato tra le aree più critiche del pianeta.
Delle misure anti smog – i blocchi del traffico in testa – si dice spesso che tutto serve, ma niente è risolutivo. Ma allora che cosa si dovrebbe fare?
Più che ricorrere ai blocchi, bisogna passare a una vera regolamentazione. A che serve decretare il fermo dei veicoli inquinanti se, in assenza di controlli, nessuno si attiene alle disposizioni? A mio parere però, bisogna cominciare dal trasporto merci su gomma, prima di tutto. La principale fonte di inquinamento atmosferico sono i trasporti, e pur costituendo una parte ridotta del parco veicolare, il trasporto merci, che funziona prevalentemente su gomma, fa la parte del leone. Ci vogliono azioni politiche mirate, giocate su larga scala, e l’adozione di quelle misure strutturali che lo stesso Ministro dell’Ambiente ha richiamato quest’estate, alla presentazione del Decreto sviluppo. La Francia, a due passi da noi guarda da lontano il calvario dello smog che affligge Nord Italia, eppure loro stanno implementando un sistema di regolamentazione del trasporto delle merci su scala nazionale. Si farà uso della tecnologia Rfid e GPS per il tracciamento dei veicoli sopra le 3,5 ton, e ci sarà un sistema di tariffazione che interesserà tutta la rete stradale francese, in base alle percorrenza e anche alle emissioni. Tutto questo facendo uso di tecnologia italiana... Questa regola varrà anche per il traffico transfrontaliero, quindi anche per i mezzi italiani che fanno consegne in Francia. E che dire della Direttiva europea conosciuta come “Eurovignette”? Viene adottata in mezza Europa, e sancisce il principio del “chi inquina paga” imponendo una tassa ai veicoli inquinanti, che si applica al pedaggio autostradale. E noi, che siamo il malato più grave d'Europa, ci permettiamo di avere ancora circa il 32% dei mezzi pesanti in categoria Euro 0?
I trasportatori potrebbero rispondere che con una crisi economica come questa rinnovare il parco mezzi è impensabile, e intervenire con un piano di tariffazione straordinaria vorrebbe dire affossare definitivamente il settore...
Questo è vero solo in parte. Gli ultimi dati diffusi dai produttori di veicoli commerciali dicono che, in Italia, negli ultimi 8 mesi, il mercato delle vendite è calato del 35,3%, con una punta vicina al 40% nel comparto delle merci leggere. Intervenire con un piano serio di incentivi per il rinnovamento farebbe un gran bene anche al settore dell'automotive in generale, e in particolare nel segmento commerciale, leggero e pesante, che è in piena crisi, molto di più del segmento delle autovetture. Ma non è questo il punto: al di là delle singole categorie, una politica seria di ricambio dei veicoli più inquinanti e delle modalità di trasporto, verso sistemi più integrati, tecnologicamente avanzati, sostenibili e a minor costo (vedi il tema vastissimo delle esternalità) va gestita a livello nazionale, oppure è difficile pensare di raggiungere traguardi importanti. La caratterizzazione ambientale del parco circolante a mio parere è un passo obbligato, ai fini del controllo e della tariffazione, con l’adozione di tecnologie adeguate, a bordo dei veicoli e su strada. Il sistema delle vetrofanie in Piemonte è stato un mezzo fallimento perché non concepito all’interno di un sistema base per il tracciamento; in Lombardia non si è fatto proprio nulla, nonostante la Legge regionale che lo ha prescritto sia del 2006...
A proposito di provvedimenti congiunti e condivisi, un anno fa le quattro regioni del Nord avevano incontrato il Ministro Clini, concordando sulla necessità di presentare un unico piano di misure anti smog valide per tutta l'area. Nello stesso incontro Clini promise anche lo stanziamento di 40 milioni di euro per il potenziamento del trasporto pubblico locale come alternativa all'auto privata. Che ne è stato di tutto ciò?
Non so di preciso a che punto sia quel processo. Doveva essere prima stabilito un pacchetto di misure, attraverso un gruppo di lavoro coordinato dal Ministero, e non sono sicuro del fatto che gli stanziamenti si trovino rubricati nelle finanze di quest’anno, non è chiaro. In 20 anni di attività in questo settore ho, personalmente, rilevato una costante, che riguarda in modo particolare il tema dell’inquinamento atmosferico. L’aria è un elemento per sua natura impalpabile, e le strategie per migliorarne la qualità tendono ad essere altrettanto sfuggenti e impalpabili. Nonostante il “carattere strutturale” delle congiunture stagionali, che ogni inverno ci spingono dentro al tormentone dei giorni di superamento dei valori limite, il nodo di come affrontare questa patologia viene costantemente posticipato e stravolto nell'agenda politica, subendo cambiamenti continui, proprio dove invece ci sarebbe bisogno di una programmazione di medio lungo termine, con strumenti che garantiscano la continuità. Troppe volte sono stati erogati finanziamenti una tantum, utili per finanziare qualche buona pratica ma nulla di risolutivo. Dare la Tachipirina al malato aiuta ad abbassare la febbre, ma non debella la malattia, i cui sintomi continuano a ripresentarsi e ad aggravarsi. Anche il Tavolo delle Regioni del Nord avviato dalla Regione Lombardia nel 2006 fu un'ottima iniziativa, tuttavia i risultati non sono stati all'altezza delle aspettative. Questo nuovo tavolo promosso dal Ministero si spera produca un pacchetto di misure più efficace. Crisi o no, stiamo parlando di salute, bisogna trovare risposte che diano una prospettiva reale di miglioramento delle condizioni vivibilità nelle nostre città, soprattutto quelle più esposte.
Il Caso Ilva e la revisione delle direttive europee sulla qualità dell'aria però sembrano andare in questa direzione: il danno sanitario come principio guida nel contrasto agli inquinanti. Qualcosa sta cambiando davvero o c'è il rischio che – in assenza di morti ufficiali per smog – si trasformi in una scusa per non preoccuparsi più del superamento delle soglie? (NdR: sullo stesso argomento vedi anche la risposta del Commissario all'Ambiente dell'Unione Europea Janez Potocnik).
Sì, qualcosa sta cambiando, e non c'è solo il caso Ilva a confermarlo. Il Ministro Clini ha recentemente parlato della necessità di attuare la direttiva dell’Eurovignette, del ritardo dell’Italia in questo settore, e del principio del “chi inquina paga” come un principio base del nostro sistema. Dal Rapporto dell'Agenzia Europea per l'Ambiente del 2012 emerge la stessa tendenza: l'indicatore sanitario assume più importanza, e credo ne avrà sempre di più: l'esperimento di Milano, con la campagna misurazione del Black carbon si’inserisce nella stessa scia. Mi spiego: il Black carbon è la componente del Pm10 che ha più incidenza sulla salute umana, e i risultati ottenuti in sei mesi di monitoraggio eseguito dopo l'entrata in vigore di Area C parlano chiaro. Il passaggio da una “Pollution charge” ad una “Congestion charge” ha portato ottimi risultati. All'interno di Area C il Black carbon diminuisce del 30-40% rispetto all’area esterna alla Ztl soggetta al provvedimento. Una riduzione del 35% dei volumi di traffico non produce grandi effetti sulle emissioni di PM10, e quindi il livello delle concentrazioni di particolato misurate resta praticamente invariato, ma la percentuale di Black carbon presente nel PM10 si riduce in modo sostanziale. Non a caso molte città europee ragionano già da anni in questi termini: Londra lo misura da almeno sei o sette anni, e si andrà sempre più in questa direzione. Si tratta di nuovi indicatori, di prossimità, che consentono di misurare gli effetti reali che una misura adottata a livello urbano può avere sulla popolazione più esposta. Tornando alla revisione delle direttive, certo, il rischio di un “rilassamento” c'è, perché non si parla ancora di evidenza empirica del rapporto causa-effetto tra smog e patologie cardio respiratorie ascrivibili all’inquinamento atmosferico, ma di correlazioni statistiche tra livello di inquinamento, ricoveri e mortalità. Però è anche vero che vent'anni una cosa analoga si diceva per il fumo del tabacco. Grazie ai passi compiuti dalla scienza, oggi nessuno mette più in dubbio l’effetto della molecola del benzene, delle nitrosammine e altri composti tossici, presenti in quantità nel fumo di sigarette, sulla formazione dei tumori.