Il gotha del giornalismo ambientale si allea
Da Giornalisti nell'Erba
14 November, 2012
#Wes12 è l’hashtag di un successo. Pochi metri quadri allestiti in legno chiaro, wi-fi a disposizione, la diretta streaming che è rimbalzata in tanti siti e il collegamento skype, ed ecco un nuovo esercito di blogger e giornalisti, comunicatori ed ecologisti di tante età e formazioni, concentrati, la scorsa settimana in occasione di Ecomondo, nella discussione su “Quando l’ambiente fa notizia”. L’Open talk, giusta formula per lo scambio utile d’idee, organizzato da Marco Fratoddi, direttore de La Nuova Ecologia, e Sergio Ferraris, direttore di QualEnergia, ha coinvolto le principali testate d’informazione ambientale (E-gazzette, Eco dalle città, Eco, Eco News Periodico, Ecoradio, Ferpi, Green me, Greenreport, Greenews.info, Greenstyle, Il Cambiamento, La Nuova Ecologia, Lifegate, Qualenergia, Qualenergia.it, Rinnovabili.it, Tecneko, Terra mensile, Vita, Zero Emission, e Giornalisti Nell’Erba, con la presenza del direttore Paola Bolaffio) ed ha invitato alla discussione i colleghi delle testate non specializzate, delle testate convenzionali e quelle innovative. Domande tante, risposte qualcuna. WES12 del 9 novembre è discussione su tre paragrafi del grande capitolo della “strana coppia” Ambiente e Informazione: il rapporto tra media e catastrofi ambientali, quello tra media e social network, e il tema della green economy. Il tentativo è quello di gettare le basi per una sinergia tra informatori ambientali e informatori in genere. "Cerchiamo di tessere un'alleanza tra noi così che le notizie sull'ambiente possano transitare anche sui grandi media", invita Marco Fratoddi.
Si apre con il tema media e catastrofi. "La catastrofe maggiore è quella dell'informazione ambientale. La presenza di tante testate web fa piacere, ma non mi rassicura. Il rischio è l'autoreferenzialità, il rivolgersi ad un pubblico di nicchia. Il vero problema è far arrivare l'informazione ambientale al grande pubblico", dice Massimo Scalia, veterano della comunicazione ambientale. Perché - soprattutto nel nostro paese, ché The Guardian, ad esempio, insegna altro - l’ambiente finisce in prima pagina solo quando c’è una catastrofe? Il racconto della catastrofe è per lo più affidato ancora oggi all'oracolo collettivo, la tv, che suscita sentimenti di pietà e di solidarietà con le vittime, oltre che l'ansia dell'impotenza. Ma non c'è mai approfondimento, mai il racconto delle cause, mai i dati, mai l'informazione utile per superare l'ansia. Una risposta, alla domanda che si fa Andrea Bertaglio del Fatto Quotidiano, arriva da un post su facebook "Noi siamo biologicamente programmati a prestare attenzione al pericolo. Uno dei compiti naturali del nostro cervello di fronte ad un evento che mette paura (come catastrofi, sangue, sirene, assembramenti di gente costernata e sotto shock, lamiere e rottami, ecc.) è quello di attivare le funzioni cognitive corticali che devono fornire ulteriori informazioni, per stabilire se noi stessi siamo in pericolo o no. Il nostro corpo reagisce a una situazione di rischio potenziale ben prima che possiamo provare un emozione consapevole di paura. Rallentiamo automaticamente per osservare un incidente, per vedere meglio, così come siamo programmati a fare. I responsabili televisivi non conoscono in dettaglio la biologia della paura, ma sanno che sangue e morte attirano inesorabilmente l’attenzione, e ce ne forniscono dosi massicce. L’altra grande funzione biologica, il sesso, opera allo stesso modo. Quando incappiamo in stimoli paurosi o sessuali, almeno per qualche secondo siamo in balia assoluta della nostra biologia". (Giovanna Bolaffio, che cita Axia, "Emergenza e psicologia", Il Mulino). Continua Giovanna: “Il punto allora, se si vuole fare non sensazionalismo ma informazione, non è trovare il modo di rendere più attraenti e vendibili le catastrofi (che lo sono già di per sé, grazie a una programmazione biologica che ci spinge per natura a prestarvi attenzione), ma trovare il modo di rendere i dati, cioè l'informazione, interessante e attraente tanto quanto la "sensazione". Flavia Taggiasco, giornalista italo americana commenta: “… chiamasi mercato…”. Manca l’informazione ambientale o mancano i lettori? “Tutti e due”, commenta Claudia Lombardi su facebook.
… Si chiama mercato… E così “si raccontano le catastrofi naturali senza aggiungere la responsabilità. Non si raccontano le catastrofi subdole, provocate dall'interesse finanziario. Non si racconta ad esempio la catastrofe, documentata dal rapporto Eras di valutazione epidemiologica sulla popolazione che vive nei pressi delle 9 discariche e dei 4 inceneritori del Lazio, del quasi 80% di eccessi di ospedalizzazioni per malattie polmonari croniche o infezioni acute dell'apparato respiratorio dei bambini", aggiunge Paola Bolaffio (Giornalisti Nell’Erba). Cos'è? Un dato "noioso"?
Vittorio Pasteris, ex della Stampa, esperto di media, comunicazione, tecnologia, a capo di “Sitimobili”: "Dobbiamo scrivere titoli tipo "Buco nell'ozono, Belen nuda" per richiamare l’attenzione?” Forse. Marco Fratoddi, direttore La Nuova Ecologia: "Alle persone interessa la struttura agonistica che sottostà alla metamorfosi dell'economia che stiamo vivendo. Sul web c'è piu gente che cerca informazione sulla sostenibilità e sulla green economy che sul global warming. E’ un segnale da tener presente". A proposito di Green Economy, “non è che stiamo comunicando un sogno?”, si chiede Sergio Ferraris, co-organizzatore dell’open talk e direttore di QualEnergia. Tanto per dire, “nel rapporto di Ermete Realacci per Symbola sullo status della green economy italiana, quasi tutto è concentrato sulla prima parte, sull'aspetto produzione. Ma si tratta di autentici interventi di sensibilità ambientale o di risparmio da buon padre di famiglia?”
Informazione e disinformazione. Cover up, caltroneria…
Qualche esempio. I satelliti Esa registrano e rendono noto in settembre che si è raggiunto il minimo storico dei ghiacci. La notizia è in prima pagina sull'Herald Tribune, in trafiletti sui nostri giornali. In qualche caso, viene addirittura ribaltata (vedi ad esempio siti come meteolive e meteogiornale). E questa cos’è, cialtroneria, incapacità a tradurre dall’inglese o malafede?
Uno dei problemi dell’informazione ambientale è che richiede rigorosità scientifica. Lo dice il fisico Massimo Scalia, fondatore della “Lega per l’Ambiente”, nonna di Legambiente. Lo ripete Marco Barbarisi di Greenaccord: "E' vero, noi giornalisti dobbiamo studiare per informare".
"La sfida è rendere piu appetibili le tematiche, complesse ma interessanti, riguardanti l'ambiente. il giornalismo scientifico è una palla, a volte...", continua un altro collega. “Ma ci sono tanti modi di raccontare in modo rigoroso eppure avvincente”, aggiunge Paola Bolaffio.
Fabio Sanfilippo di Radio1 Rai: "Vi piangete un po' troppo addosso, mi pare. Non è vero che le grandi testate non si occupano di ambiente. A Radio1, grazie al vostro lavoro, la cronaca passa sempre anche attraverso le informazioni ambientali". Ma aggiunge: “Forse però è anche vero che abbiamo bisogno di qualcuno che ci formi un po' di più, per evitare di dire o scrivere cose imprecise”. Anche Alberto Fiorillo è dell’idea che ormai di ambiente si occupino anche i grandi giornali. Come il quotidiano che ha messo in prima pagina la notizia dello studio sui benefici effetti di una buona camminata. Ma basta questo? “Chi è il panda in questa biodiversità di giornalismo ambientale?”.
L’ambiente, se non finisce in prima pagina, corre comunque sul web, sui social network. “Le imprese sono molto piu preoccupate di ciò che finisce su internet, piuttosto che sui giornali, perché lì resta – spiega una esperta di comunicazione ambientale e addetto stampa - Però il fruitore di internet non ha il piacere dell'approfondimento”. Sarà… Internet, però, dà la possibilità di approfondire e anche di verificare e correggere le informazioni.
“Sono fantastici strumenti innovativi, li uso tutti. Ma bisogna evitare la patologia, la sindrome da click: il nostro obiettivo non è quello di raccattare più like o followers”, dice il giornalista blogger Alberto Fiorillo, portavoce di Legambiente. “Chi fa informazione ambientale non si deve preoccupare dei click. Deve mirare ai fruitori che cercano approfondimento, un’informazione sicuramente piu di nicchia ma che poi avrà il suo seguito fedele. Il nostro obiettivo , ricordiamocelo sempre, è quello di produrre un cambiamento della società, non fare le prime donne contando i click”. E il blogger Davide Mercati: "Non basta l'innovazione del social network, serve uno stile. Se l’ecologia si accompagna ad ironia e rapidità, il blog funziona”. E Marco Gisotti, ex direttore di Modus Vivendi, esperto di green jobs: “Che Newsweek smetta di uscire in cartaceo, è una notizia ed è un segnale, ma non ci dice quale sarà l'evoluzione dell’informazione. Dobbiamo immaginarci per sedi, ragionare di una sorta di carta ontologica, dei diritti dell'informazione scientifico ambientale. L'informazione ambientale si basa su dati oggettivabili, non su fumo e confusione. La comunicazione sta evolvendo e passa anche attraverso nuove forme, divulgazione e trasferimento di conoscenze, anche di persona, con le scuole, i sindacati, le imprese… proviamo a proporre moduli di giornalismo diverso, utilizzando linguaggi diversi. Forse si raggiungono pochi numeri, rispetto al web, ma perché non tentare di interagire anche con linguaggi diversi e su sintassi diverse?”. (Articolo originale)