Il Caso Ilva raccontato dall’assessore all’ambiente di Taranto Vincenzo Baio. Intervista
Vincenzo Baio, assessore all’Ambiente di Taranto, medico presso il quartiere Tamburi descrive a Eco dalle Città la storia della città di Taranto e dell’Ilva, dal boom industriale al sequestro dello stabilimento. La correlazione tra inquinanti (asbesto e benzo(a)pirene) e l’insorgenza della patologie specifiche. Il Giudizio su aia e decreto Ilva
01 December, 2012
Come nasce la vicenda Ilva di Taranto?
Sono medico dal 1977 ho un ambulatorio al quartiere Tamburi, cuore della questione ambientale tarantina. Lì ho abitato, vissuto, dormito, e per scelta ideologica ora continuo a fare il medico proprio ai Tamburi. La storia di questa presenza industriale risale agli anni ’60, quando la città di Taranto fu coinvolta nel boom industriale. L’inquinamento del Mar Piccolo, tuttavia, ha inizio con l’Arsenale Militare Marittimo (a causa dello sversamento di vernici e di tutti gli altri scarichi), che aveva la gestione della aree demaniali, le più belle della città e strategicamente le più importanti: da punta Rondinella (dove adesso c’è la raffineria dell’Eni) fino a capo San Vito. Lì ci sono dei bacini che servivano per l’allocazione delle navi e la manutenzione delle stesse, le quali, naturalmente, scaricavano tutto nel Mar piccolo. Ricordo i cantieri Tosi, che servivano alla riparazione e alla manutenzione delle navi mercantili.
Il Ponte Girevole è uno dei simboli di Taranto. Ha in pratica condizionato i nostri ritmi, la nostra vita, le nostre abitudini. Ricordo che da studenti eravamo costretti a fare i conti con la chiusura Ponte per raggiungere la scuola. Si prendeva l’ultimo pullman utile, in modo che l’apertura Ponte consentisse a noi studenti di entrare il più tardi possibile a scuola. Così come sistematicamente, alle 14.45, c’era l’altra apertura Ponte, che serviva all’uscita e al rientro delle navi militari, e lo stesso accadeva alle 23.30. Da quando la marina ha dismesso le aree del Mar piccolo, ci siamo piano piano abituati alla chiusura del ponte girevole, ma esso rappresenta, oggi, il simbolo della protesta che torna di nuovo alla ribalta quando i manifestanti, di varia estrazione e di varia cultura e spinti da varie problematiche, decidono di occuparne la viabilità.
Quando è avvenuta la privatizzazione dell'Ilva al gruppo Riva, cioè la cessione dell'impianto ex-Italsider di Taranto?
Nel 1995. Lo stabilimento Ilva è stato svenduto dallo Stato (dal Governo Dini) alla famiglia Riva, che ha badato soltanto agli utili e alla produzione. L’unica cosa che posso testimoniare è che l’Ilva ha investito molto nella tutela e salvaguardia del posto di lavoro. Mi spiego meglio: ho lavorato, nei miei primi dieci anni lavorativi, in rianimazione: arrivavano due, tre casi al giorno di incidente avvenuto nell’Iltalsider. Con la privatizzazione si è avuto un abbattimento notevole degli infortuni sul lavoro, di oltre il 65%. Questi sono i dati più recentemente forniti dalla Prefettura, insieme al Comune di Taranto, all'Inail e alla stessa Ilva. Ovviamente ottimo sarebbe raggiungere lo 0%, ma Ilva dovrebbe investire, oggi, su tutta l’attività industriale.
Cosa accadeva ai Tamburi con l’insediamento dei Riva all'Ilva?
Da quando si è insediata l’Ilva ho incominciato a notare il problema di determinate morbilità e di determinate patologie. Parlo da medico: mentre la malattia tumorale è multi fattoriale e multi eziologica, espressione non soltanto dell’inquinamento, che semmai è una concausa (e questo spiega perché in una famiglia un soggetto si ammala di tumore e gli altri no, pur vivendo nella stessa casa, mangiando gli stessi alimenti, respirando la stessa aria), ci sono, invece, altre patologie (tiroidee, dell’apparato respiratorio, le allergie, le dermatiti) che sono spaventosamente aumentate nella zone dei Tamburi rispetto ad altri siti, mostrando dunque una correlazione tra la loro insorgenza e l'inquinamento del territorio.
La valutazione del danno sanitario non dovrà servire proprio a questo, ad analizzare e quantificare questa concausa per abbassarne il livello da “pericolo” a “rischio sanitario controllato"?
In medicina solo in due casi si è dimostrata la correlazione tra l'inquinante e l’insorgenza della patologia specifica. Il primo è quello dell’asbestosi, detta anche intossicazione da amianto, che provoca il cosiddetto mesotelioma pleurico, un tumore specifico. E non è soltanto appannaggio dei lavoratori Ilva. Lo si è riscontrato tra i ferrovieri, tra i marinai e gli addetti che vivono sulle navi, che vengono costruite con molto amianto (tutti i sommergibili militari, ad esempio, sono pieni di amianto). In questo caso c’è chiara correlazione. Inoltre da un anno, o due anni al massimo, si è individuata la correlazione tra il benzo(a)pirene e l’insorgenza delle patologie tumorali polmonari.
In cosa consiste precisamente questa correlazione con il benzo(a)pirene?
Il benzo(a)pirene, che è una sostanza gassosa, ha una caratteristica cinetica per cui si lega alle polveri sottili, e dunque al pulviscolo. Se fossimo in un deserto, invasi da una tempesta di sabbia, non si verificherebbe una malattia tumorale, ma ai Tamburi quando c’è tramontana, o a Statte quando è scirocco, succede che il benzo(a)pirene si lega a queste polveri. Per questo motivo già da tempo si pone attenzione alla copertura dei parchi minerari, i quali contengono sostanze tutto sommato non cancerogene, ma capaci di legarsi con gli idrocarburi policiclici alifatici, il benzo(a)pirene e altre sostanze genotossiche. Sono cloache che vengono fuori dalle emissioni, che scendono ad altezza d’uomo e che vanno a finire nei polmoni provocando o l’insorgenza di tumori o la specificità delle broncopatie croniche e dell’insufficienza respiratoria. Ai Tamburi ci sono persone che vanno a fare la spesa con la bombola d’ossigeno portatile.
Qual è il giudizio del Comune di Taranto sull’autorizzazione Integrata ambientale appena approvata, fermo restando che si tratta solo di una prima parte, ed è in corso d’opera quella relativa alle discariche.
Io credo che più rigorosi di così non si poteva essere. Significherebbe dire all'Ilva “vai via. Chiudi”. Da amministratori bisogna saper coniugare le diverse esigenze e dunque, in questo caso, i diritti dei semplici cittadini con quelli degli operai. Ho sempre sostenuto che i due diritti sanciti dalla Costituzione, cioè il diritto al lavoro e il diritto alla salute, sono delle rette parallele che non devono essere assolutamente intralciarsi, e bisogna ottenere il massimo, nell’uno e nell’altro campo. L’industrializzazione di Taranto non l’abbiamo decisa noi, c’è stata imposta cinquant’anni fa, quando c’era una cultura completamente diversa, di tipo statalista.
Oggi, invece, di fronte ad impianti come la Cementir, l’Eni, l’Ilva, ci saremmo sicuramente schierati contro, facendo le barricate come i No tav.
In questo momento la crisi tarantina si trova in una impasse. Da una lato il Governo, con un decreto che “forza” il sequestro imposto dalla magistratura; dall’altro la regione Puglia, che propone una “prova contraria” da fornire alla magistratura attraverso la valutazione dell’impatto sanitario dell’azienda. Qual è la posizione del Comune di Taranto?
Se il sindaco di Taranto avesse una bacchetta magica e riuscisse a trovare 15.000 posti di lavoro alternativi farebbe le barricate e si schiererebbe per la chiusura definitiva dell’Ilva di Taranto. Adesso siamo in un vicolo cieco. Perché da una parte c’è l’esposto indirizzato alla Procura della Repubblica di Taranto del 24 maggio 2010 depositato dal sindaco di Taranto (Ippazio Stefano) in via Marchi. Si denunciava la correlazione tra la capacità inquinante dell’Ilva e di tutta l’area industriale industriale e l’aumento delle patologie. Il magistrato dopo aver realizzato la perizia chimico/ambientale e quella epidemiologica, ha sentenziato un mandato di cattura ai Riva e il reato di disastro ambientale. Nel frattempo lo studio Sentieri del Ministero in modo inequivocabile ha fotografato lo stato dell’arte della "insalubrità" dei tarantini.
Si, però la soluzione amministrativa a questo punto qual è?
Non è il Comune o il cittadino che dovrà risolvere questa situazione. Dovrà essere lo Stato a tracciare un cerchio. A tracciare un punto di partenza, un primo arco da confrontare con tutto quello che c’è da percorrere. E bisogna considerare l’obbligo di tenere accesi gli impianti al minimo per scongiurare l’ipotesi di un danno di disastro ambientale. Gli altiforni non possono spegnersi in maniera repentina, dalla sera al mattino. Le sostanze refrattarie necessitano di un "delta T", di una diminuzione di temperatura che deve essere molto morbida.
Altrimenti che cosa accadrebbe?
Beh, intanto c’è il collasso dei refrattari e il problema dei gas. Con l'impianto a regime si effettua il recupero di determinati gas a elevate temperature e vengono impiegati per la produzione di energia elettrica. Se noi abbattessimo questa produzione di gas, con lo spegnimento, si creerebbe un black out, l’Ilva non avrebbe più corrente.
Il tornado del 29 novembre 2012 ha provocato molti danni alle strutture dell’Ilva. Secondo lei dovrà riproporre un nuovo piano degli interventi in sede di autorizzazione integrata ambientale?
Riguardo ai danni sono a conoscenza del crollo di un camino in disuso . Ci sono dei capannoni divelti, uffici e spogliatoi rovinati, una gru è caduta. L’Ilva dovrà pagarsi i danni. E l’aia non credo che si possa riaprire alla luce dei danni ricevuti. Le prescrizioni che abbiamo previsto provengono dall’ordinanza del magistrato Todisco.
Lei, oltre ad essere l’assessore all’Ambiente di Taranto è anche un medico, cosa pensa di questa innovazione normativa, ossia della valutazione del danno sanitario che è stata introdotta con legge regionale dalla regione Puglia?
Il rischio sanitario è un adattamento alla grave situazione ambientale in cui viviamo.
Sui tetti della scuola Deledda al rione Tamburi, Arpa Puglia aveva posizionato qualche mese fa dei deposimetri per la diossina che ha rilevato valori al di sopra del consentito. In seguito l’ISS (Istituto Superiore della Sanità) li ha confrontati con le esperienze internazionali portando all'attenzione nuovi fattori: il tempo minimo di stazionamento dei bambini in quella scuola, le dimensioni degli alunni (peso corporeo, altezza, etc.), il rischio sanitario sera diminuito. Ma se da questi dati, fosse venuto fuori un pericolo, delle due l’una: o si spostava l’Ilva o si portava la scolaresca della Deledda altrove.