Per un’ecologia dell’informazione
INTERVISTA A DAVID LEVY, ESPERTO USA DI COMUNICAZIONE DI MASSA
29 June, 2004
di Luca Castelli C’è una nuova forma di inquinamento che si sta diffondendo nei paesi occidentali, lontano da boschi, fiumi o buchi nell’ozono. E’ l’inquinamento dell’informazione, o meglio il sovraccarico, come lo chiamano gli anglosassoni («information overload»). Complici i servizi sempre più pervasivi dei telefonini, la moltiplicazione delle tv satellitari e soprattutto l'espansione di Internet, il bombardamento degli input informativi ha raggiunto livelli mai toccati in passato, coinvolgendo quotidianamente milioni di persone. Secondo uno studio della University of California di Irvine, il lavoratore medio in ufficio passa ogni tre minuti dal foglio elettronico alla navigazione su Internet, al telefono e all’email. E a casa, tra sistemi integrati sempre più sofisticati che permettono di gestire contemporaneamente la tv, il dvd, l’impianto stereo e il computer, la situazione non cambia di molto. All’eccesso di informazione è stata dedicata «Information, Silence and Sanctuary» una serie di conferenze che ha richiamato a Seattle un variopinto gruppo di relatori, tra cui esperti delle comunicazioni di massa, scrittori, cardiologi e maestri zen. Ideatore dell’incontro, David Levy, ex-ricercatore nei laboratori del Palo Alto Research Center e oggi saggista e professore alla University of Washington di Seattle. Professor Levy, quali sono i potenziali effetti negativi sull’uomo del sovraccarico di informazione? Il rischio più grande è il rimbambimento. Stando seduti per ore davanti ai computer perdiamo sia la sensibilità fisica che quella emotiva, perché siamo continuamente costretti a proteggerci dal flusso di informazione e di segnali. Inoltre ne risente la nostra capacità di fruire efficacemente di ciò che riceviamo. La qualità dell’informazione sul Web è variabile: se avessimo più tempo potremmo controllare meglio le fonti e i contenuti, ma visto che siamo costretti a muoverci sempre a velocità frenetica questo diventa impossibile. Ci si può difendere? Durante le conferenze di Seattle abbiamo sperimentato alcune soluzioni ed è stato anche proiettato un documentario girato in una scuola elementare dove ogni mattina i bambini si raccolgono per tre minuti in silenzio. Individualmente, ci sono tantissimi modi di bilanciare le proprie abitudini di vita: l’esercizio fisico, la meditazione, lo yoga, il giardinaggio, qualche passeggiata dopo cena o persino il lavoro a maglia, che in America sta tornando di moda. Collettivamente, dobbiamo invece ripensare all’organizzazione del lavoro e al valore che ad esso attribuiamo. Ormai sembrano contare solo più la produttività e l’efficienza. Un giorno su sette, in coincidenza con il Sabbath ebraico, lei stacca la spina di computer e telefono. E’ sufficiente? No, perché gli altri sei giorni sono quasi sempre attaccato al pc e a Internet. Il mio obiettivo è trasferire alcune delle qualità coltivate durante il Sabbath anche nel resto della settimana. Non teme accuse di «neoluddismo» o di parentele con la «new age»? In effetti il rischio che alcune delle idee espresse alla conferenza di Seattle possano essere percepite come «luddiste» o «new age» è concreto. Ma io non sono luddista, non vado contro le tecnologie e anzi mi riconosco in una formazione da scienziato informatico. In quanto alla new age, mi interessa ancora meno del luddismo. Ritiene verosimile che le due industrie più coinvolte nei flussi d’informazione, quella informatica e quella dei media, si dimostrino sensibili al problema e tirino il freno? E’ uno dei noccioli della questione. Conosco persone che lavorano in quei settori e condividono le mie preoccupazioni. Alcuni mi hanno anche scritto. Ora bisogna vedere se i dubbi individuali riusciranno a tradursi in una effettiva trasformazione dell’industria. E le istituzioni? Come dovrebbero intervenire? Come hanno fatto per l’ambiente. Grazie al movimento ecologista, si è cominciato a parlare di ambiente nelle scuole, si è intensificata la ricerca scientifica, sono state scritte nuove leggi. Lo stesso percorso vale per l’ecologia dell’informazione.