Letti per voi. Campania, mancata la scelta partecipata
I rifiuti della comunicazione di Pietro Greco ( Unità)
01 July, 2004
I rifiuti della comunicazione di Pietro Greco Il blocco ferroviario realizzato dai cinquecento di Montecorvino Rovella che, per tre giorni e più, sono riusciti a dividere il Sud dal resto dell’Italia era largamente prevedibile e facilmente prevenibile. Se il blocco non è stato né previsto né prevenuto dalle autorità di governo è perché sia il Commissario straordinario che gestisce l’emergenza (?) rifiuti in Campania, Corrado Catenacci, sia - soprattutto - il ministro dell’Ambiente, Altero Matteoli, non hanno capito che «la sicurezza fa chiasso», come ammonisce il titolo di un libro sulla gestione sociale del rischio ambientale che Ugo Leone, ordinario di Politica dell’ambiente presso l’Università Federico II di Napoli, ha da poco dato alle stampe per i tipi dell’editore Guida. E la sicurezza, in quel sistema complesso che è la società della comunicazione, fa chiasso per due motivi. Perché il chiasso (nel senso napoletano dell’ammuina e nel senso televisivo dell’azione clamorosa che attira le telecamere) è l’unica risorsa che ha a disposizione un gruppo di persone quando ritiene, a torto o a ragione, che sta correndo un rischio ambientale elevato e non ha spazi per negoziare una via d’uscita. E perché l’unica via d’uscita sicura nella gestione dei rischi ambientali in una società democratica è il “chiasso partecipato”, nel senso della discussione informata e della compartecipazione alle scelte tra istituzioni e cittadini. Sarebbe bastato, al commissario Catenacci e, soprattutto, al ministro Matteoli frequentare un po’ la lettera scientifica sull’argomento o, anche, ripassare la recente lezione di Scanzano Jonico (la cittadina che ha rifiutato di diventare sede del sito di stoccaggio dei rifiuti radioattivi di tutta l’Italia) per capire che la gestione del rischio in una società complessa è, soprattutto, un problema di comunicazione. Che viene prima e, talvolta, persino prescinde dal merito delle questioni. E prevenire, così, il lungo blocco ferroviario di Montecorvino Rovella. Frequentando l’abbondante letteratura scientifica sull’argomento e ricordando la lezione di Scanzano Jonico, Corrado Catenacci e, soprattutto, Altero Matteoli avrebbero fatto mente locale al fatto che il rischio ambientale più immediato che tutti i cittadini percepiscono, siano essi esperti o non esperti, è quello di origine umana. In primo luogo quello che deriva dallo stoccaggio e dallo smaltimento dei rifiuti. Ogni volta che il “rischio rifiuti” si presenta a una comunità locale, piccola a piacere, sotto forma di sito nucleare o di semplice discarica civile, in Campania (Italia) o sulla Yucca Mountain (Nevada, Usa) gli scenari sono sempre e soltanto due. Se le istituzioni non hanno una strategia di comunicazione, rifiutano l’ipotesi della negoziazione e operano una scelta improvvisa che la comunità locale sente come imposizione, allora è la popolazione esposta al rischio, vero o presunto, che sceglie una sua strategia di comunicazione. Che consiste nel far leva sui riflessi condizionati dei media, soprattutto della televisione, per imporre una controdecisione altrettanto brusca e improvvisa. Per muovere i riflessi condizionati dei grandi media, per smuovere soprattutto le telecamere, la strategia di comunicazione prevede (deve prevedere) azioni clamorose. Come i blocchi stradali di Scanzano o il blocco ferroviario di Montecorvino Rovella. In questi primi sei mesi dell’anno 2004 il “rischio rifiuti” ha prodotto, in Campania, quasi trenta blocchi ferroviari. Uno ogni cinque giorni: un autentico record. Ma non si tratta - o, almeno, non si tratta solo - del tradizionale “ribellismo” delle masse meridionali. Non si tratta di una nuova forma delle antiche jaquerie. Si tratta di una moderna strategia di comunicazione per sedersi al tavolo negoziale. Se la sicurezza non fa chiasso e induce le istituzioni a un gestione democratica del rischio, allora è il chiasso che fa sicurezza. È l’ammuina a uso delle telecamere che rende possibile l’apertura di un tavolo negoziale. Quando, invece, le istituzioni per effettuare una scelta legittima in materia di gestione del rischio ambientale, in particolare del rischio rifiuti, hanno una strategia di comunicazione efficace che coinvolge la comunità locale esposta, allora per quest'ultima la necessità dell’azione clamorosa capace di attirare l'attenzione delle telecamere viene meno e non si verifica alcun blocco stradale o ferroviario. E qual è questa strategia di comunicazione efficace? Beh, è una strategia lunga e paziente - che in zone come la Campania, venate di ribellismo e spesso influenzate dagli interessi della criminalità organizzata, impone una pazienza e una saggezza ancora maggiore - che potremmo definire di “comunicazione partecipata”, perché prevede (deve prevedere) la fase dell’informazione, in ogni e ciascuna delle sue forme (istituzionale, indipendente e persino di controinformazione), quella della discussione aperta e, soprattutto, la fase - reale perché negoziale - della compartecipazione alle scelte. In cui in cambio di un rischio, per quanto bassissimo, si offrono delle vere e solide contropartite. È in questo modo, per esempio, che le autorità pubbliche in molti paesi europei riescono a far accettare un termovalorizzatore o, persino, un sito di stoccaggio di rifiuti nucleari a una comunità locale affetta, non meno delle comunità del Mezzogiorno d’Italia, dalla sindrome “Nimby” (not in my backyard, non nel mio giardino!). Commissario Catenacci, ministro Matteoli, solo con una paziente strategia di “comunicazione partecipata”, è possibile prevenire i prevedibili, scontati e, ormai, cadenzati blocchi ferroviari a uso dei media delle tante comunità che, in Campania e nell’intero Mezzogiorno, sono esposte alla normalità del “rischio rifiuti”. A patto, naturalmente, che lo si voglia.