2100, New York sott´acqua e il termometro sale di 9 gradi
Edward Goldsmith, presidente del "Climate Iniziative Fund", delinea un quadro allarmante
15 July, 2004
le nuove ricerche I dati sono più allarmanti del previsto Per invertire la rotta smettiamo di distruggere la natura e cambiamo il modello energetico La vera risposta alle minacce climatiche sono le energie dolci basate sull´utilizzo del vento e del sole ANTONIO CIANCIULLO Chi aveva accusato l´Ipcc, la task force degli scienziati Onu, di eccessivo pessimismo per il rapporto sui cambiamenti climatici pubblicato nel 2001, dovrà ricredersi: gli studi che di anno in anno si succedono mostrano un quadro sempre più allarmante. A descriverlo al meeting di San Rossore sarà un testimonial d´eccezione, Edward Goldsmith, padre fondatore dell´ambientalismo, editore di "The ecologist" e presidente del "Climate Iniziative Fund", che ha anticipato a Repubblica le novità contenute nel suo intervento. Quali sono i nuovi scenari climatici che si delineano? «Le voglio citare l´ultima ricerca dell´Hadley Center, l´ufficio studi del British Meteorological Office. Gli analisti inglesi sostengono che, se l´attuale trend di emissione di gas serra resterà inalterato, entro la fine del secolo ci saranno 8,8 gradi in più. L´Ipcc aveva ipotizzato una forchetta di possibili aumenti di temperatura in cui si arrivava a un massimo di 5,8 gradi. Le nuove ricerche e i dati che si sono andati accumulando negli ultimi anni hanno portato a rivedere i calcoli inserendo scenari più allarmanti: un aumento di 8,8 gradi vorrebbe dire catapultare il pianeta in un clima che non è stato sperimentato negli ultimi 45 milioni di anni, riportare l´orologio della Terra a un´epoca in cui non esistevano le calotte polari e i mari erano 150 metri più alti del livello attuale». Questa però è l´ipotesi estrema. Proprio l´oscillazione delle previsioni suggerisce l´esistenza di margini d´incertezza sulla misura del cambiamento climatico. «È vero che esistono ancora margini di incertezza, ma questa non è una buona notizia: man mano che l´analisi si approfondisce, gli scenari peggiorano. Dagli studi paleoclimatici risulta che, durante i passaggi da una fase glaciale a una fase interglaciale, ci sono stati momenti di salto brusco in cui la temperatura è cambiata di parecchi gradi in dieci anni. Non è da escludere che qualcosa del genere possa avvenire in un futuro più vicino di quanto pensiamo». C´è un salto climatico già avvenuto a cui lei guarda con particolare preoccupazione? «Ad esempio un afflusso molto robusto di acque dolci e fredde ha già modificato la corrente del Golfo, quella che scalda l´Europa occidentale. Se l´evento si ripetesse, in quelle aree si avrebbe un calo delle temperature improvviso e consistente, anche se alla lunga questo episodio non altererebbe la tendenza verso il caldo. Una tendenza che secondo l´Ipcc farà crescere il livello dei mari fino a 88 centimetri entro il 2100». Significa l´inondazione di grandi città costiere come New York e Venezia. «E la fine di interi arcipelaghi come le Maldive, dove l´altezza media del territorio è un metro sul pelo dell´acqua: nell´arcipelago di Kiribati due piccole isole sono già scomparse. Inoltre circa il 30 per cento delle terre coltivabili verrebbe devastato dall´inondazione diretta, dalla crescita degli uragani e dalla salinizzazione delle falde idriche». Una minaccia drammatica. Esiste una risposta adeguata per affrontare e vincere la sfida climatica? «Ci sono due grandi direzioni di marcia da percorrere. Ma attenzione, non si tratta di evitare ogni danno, perché questo ormai è impossibile: anche se tagliassimo di colpo le emissioni serra la superficie della Terra continuerebbe a scaldarsi visto che parliamo di gas che restano in atmosfera per almeno 150 anni. L´obiettivo possibile è rallentare il processo di riscaldamento in modo da ricondurlo a una velocità che consenta agli ecosistemi di adattarsi». Possibile a che condizioni? «La prima condizione è smettere di distruggere la natura. Gli oceani, le foreste, i suoli assorbono circa metà dell´anidride carbonica prodotta, quindi danno un contributo fondamentale alla stabilizzazione del clima. Ma noi stiamo aggredendo la natura con un ritmo che non ha precedenti: divoriamo foreste tropicali e campagne a una velocità spaventosa. E dove non arriva il cemento arrivano i pesticidi e gli altri veleni. In queste condizioni per quanto tempo ancora gli ambienti naturali saranno un magazzino che contiene più anidride carbonica di quella che sta nell´atmosfera? Quando cominceranno ad emettere carbonio invece di assorbirlo? Per questo la prima contro mossa da fare è mostrare un maggior rispetto per la natura e i suoi equilibri: senza una rivoluzione dei nostri atteggiamenti di fondo non andremo molto lontano». Ipotizziamo pure una conversione di massa all´ecologismo nei rapporti con la natura. Supponiamo di arrestare con una bacchetta magica l´emorragia che ci ruba milioni di ettari di foreste pluviali ogni anno. Le emissioni di gas serra derivanti dal consumo di combustibili fossili resterebbero in ogni caso così alte da lasciare il rischio climatico sostanzialmente inalterato. «E infatti il cuore del problema sta nel tipo di energia che usiamo. Dobbiamo uscire dalla dipendenza da petrolio che è il principale responsabile della crescita dell´effetto serra. Fortunatamente, nonostante gli sforzi disperati dell´amministrazione Bush che è andata a cercare petrolio in tutti i paesi in cui era possibile sperare di trovarlo, negli ultimi anni non sono stati identificati nuovi importanti giacimenti. Negli Stati Uniti il picco del petrolio, cioè il momento in cui è stata consumata la metà delle riserve disponibili e il prezzo comincia a impennarsi, è stato raggiunto negli anni Settanta. C´è chi prevede che nell´arco di una decina di anni questo picco venga raggiunto anche a livello globale. Se non prepariamo un´alternativa seria quello che è successo nella Corea del Nord quando è rimasta senza petrolio perché non poteva pagarlo, con tre milioni di contadini che morivano di fame perché non potevano sostenere la loro agricoltura meccanizzata, rischia di ripetersi su scala molto più ampia». In questo nuovo modello energetico a basso impatto ambientale vengono citati spesso come protagonisti il risparmio energetico e le fonti rinnovabili. Qual è secondo lei il mix ottimale? «Il risparmio energetico si può fare subito e può dare molto. Nel 2002 il Senato americano aveva discusso una legge per raddoppiare l´efficienza energetica in 13 anni: se fosse passata avrebbe dato un beneficio equivalente al petrolio importato dal Medio Oriente. Ma la contro mossa principale consiste nel rilancio delle fonti rinnovabili, a cominciare dall´eolico che oggi è la più economica. La vera risposta alla minaccia climatica sono le energie dolci basate sul sole e sul vento».