LETTI PER VOI - «Parcheggi per disabili con troppi abusi» (da La Stampa del 27.07.2004)
C'è chi per anni ha posteggiato al posto del nonno defunto
27 July, 2004
Giacomo Bramardo Angelo Conti C'è chi non l'ha e lo dovrebbe avere. C'è chi l'ha e non ne ha più diritto. C'è chi lo usa in modo improprio, «imprestandolo» a parenti e amici. C'è persino chi ostenta sul parabrezza quello del nonno ricoverato all'ospizio o chi utilizza quello della nonna, morta da anni. E' la giungla dei contrassegni-parcheggio per disabili che sono un argomento ricorrente nell'ufficio del «Cronista per voi». Perché se quelle 2015 gabbie gialle tracciate sull'asfalto della città sono un evidente segno di civiltà, di rispetto verso chi soffre, di attenzione verso i più sfortunati, sono anche spesso motivo di polemiche. Le lamentazioni si possono dividere, sostanzialmente, in tre tranche. La prima è quella dei disabili che si vedono negato il permesso o che trovano troppo spesso il loro posto occupato da altri. La trafila comincia da una domanda negli uffici di via Garibaldi, a cui segue una visita medico-legale presso gli ambulatori dell'Asl 3 di via Pacchiotti. Qui i sanitari accertano se il disabile abbia la «deambulazione gravemente compromessa», come prevede la legge. L'esito viene trasmesso all'assessorato alla Viabilità, che informa successivamente il richiedente e gli consegna, se è il caso, il contrassegno che può essere definitivo (in caso di patologia irreversibile) oppure a termine (se si ritiene che la malattia possa migliorare). Ogni diniego provoca comunque proteste. E quando si hanno contrassegno e parcheggio, capita spesso di trovare il posto occupato. Con disagi che, per i disabili più gravi, sono il più delle volte insormontabili. La seconda tranche di lamentele arriva dai cittadini, che non ci stanno a dover rinunciare anche a 3-4 posti auto per isolato. Il signor Paolo Migoli sottolinea la situazione di via Cibrario e delle strade adiacenti: «Ormai l'asfalto è più giallo che nero». In realtà si chiede al Comune di coinvolgere anche i privati: «Perché non si obbliga chi costruisce un condominio a prevedere sempre un'area per disabili all'interno dei cortili, o appositi posti parcheggio nei garage coperti? E perché non si stabilisce un orario: se un disabile lavora lontano da casa otto ore al giorno, perché non rendere fruibile quello spazio nelle ore di sua assenza?». La terza tranche, la più suggestiva, viene da chi denuncia gli abusi. Che sarebbero tanti. Il signor Giovanni Piccioli segnala, in corso Unione Sovietica, il continuo utilizzo di un parcheggio da parte del figlio del disabile, fra l'altro con un'auto sportiva di grossa cilindrata. E il signor Franco affida al telefono la sua lamentela, raccontando che a Santa Rita c'è un parcheggio riservato a un pensionato novantenne, da almeno tre anni ricoverato all'ospizio, e sistematicamente utilizzato dai suoi famigliari. Le sanzioni sono rare. Il primario della Medicina Legale dell'Asl 3, Roberto Testi, spiega che mancano adeguati controlli: «Noi accertiamo la sussistenza dei requisiti medici, ma andrebbero fatte anche altre verifiche. Fra l'altro il permesso, per via della normativa sulla privacy, è privo del nome del beneficiario, ma porta solo indicate le targhe dei tre mezzi che il disabile si riserva di usare. In caso di abuso da parte di un parente, il contrassegno non viene inoltre ritirato perché il disabile ne avrebbe un danno». Altro aspetto è la mancanza di modularità: «Ad esempio chi accompagna all'ospedale un bambino o un malato per una cura, e non ha il contrassegno, dovrebbe comunque essere posto in grado di accedere ai parcheggi per disabili». Questioni che non sono novità per l'assessorato alla Viabilità, chiamato a gestire la spinosa vicenda. «Qualche mese fa abbiamo scoperto che i parenti usavano il parcheggio di un invalido morto addirittura da tre anni. Abbiamo subito revocato il contrassegno e cancellate le strisce. E non è certo il solo abuso. Noi, comunque, ci impegniamo a verificare ogni segnalazione che i cittadini inviano all'assessorato e ai vigili urbani». Nella pratica, però, quei cinque anni che intercorrono fra ogni certificazione del medico curante, chiamato ad accertare la permanenza dei motivi che hanno indotto i medici legali a rilasciare il contrassegno, possono risultare troppi, considerata l'età media dei beneficiati. Qui qualche controllo in più ci potrebbe stare.