«Così miglioreremo la qualità dell’urbanistica»
A CONFRONTO I PROTAGONISTI DELLA QUERELLE SUI NUOVI INSEDIAMENTI IMMOBILIARI. Architetti, costruttori e assessore: sulle Spine occasione da non perdere
29 November, 2004
FINALMENTE tutti attorno a un tavolo. A discutere del Bello e del Brutto di una Torino che sta cambiando pelle. Ma anche del futuro economico e sociale di un’ex capitale fordista: «Perchè se la gente nel 2010 non troverà lavoro sotto la Mole e a quel punto deciderà di trasferirsi altrove, allora sì che tutto sarà stato inutile». Eccoli qui, tutti assieme e pronti a dare battaglia, i protagonisti della querelle sull’architettura pubblicata da «La Stampa» in questi giorni. Ieri il giornale li ha invitati per un forum sull’argomento. Architetti e costruttori, amministratori della città e storici dell’architettura. Da un lato il Grande Accusatore, l’urbanista Augusto Cagnardi. Dall’altro architetti equamente divisi tra «stiamo facendo bene» e «qui urge cambiare rotta». Cominciando dal meno convinto delle scelte già compiute (Carlo Ratti) per arrivare all’ex supervisore della qualità architettonica sulla Spina Jean Pierre Buffi, passando dall’autore di alcune delle case «sotto accusa», l’architetto Ubaldo Bossolono. Poi i rappresentanti di categoria: il presidente dell’Ordine degli Architetti Riccardo Bedrone, quello del Collegio dei Costruttori Giorgio Gallesio e del Collegio Edile Api, Alessandro Frascarolo. E poi il professor Franco Mellano, lo storico dell’architettura Carlo Olmo. Un po’ seccato «dal polverone suscitato dai giornali», l’assessore all’Urbanistica Mario Viano che conferma la nascita di una commissione igienico-edilizia dove il Comune avrà l’ultima parola. Tre ore di «faccia a faccia» che all’inizio sembra finire in rissa: a sollevare l’indignazione dell’assessore Viano sono, ancora una volta, le dichiarazioni di Carlo Ratti. L’architetto con ufficio a Boston esordisce così: «Qui non c’è architettura, al massimo c’è edilizia e non è un problema di costi perchè a Parigi l’edilizia popolare la progetta Renzo Piano. Le cose fatte a Torino vanno raramente sulle riviste di architettura. Bisogna cercare di capire che cosa qui è andato storto. Faccio una proposta: un patto tra tutti per ragionare sui nuovi interventi». A quel punto insorgono in tre: l’assessore Viano, il presidente Gallesio e l’architetto Frascarolo. Alcuni tacciano Ratti di arroganza. Interviene Bedrone: «Non è normale che in una città ci siano nervi scoperti alla prima critica. Da un intervento come quello che si sta facendo a Torino non ci si può aspettare la realizzazione dell’intero Prg, ma almeno un traccia di una diversa, futura, immagine finale. Una città che si presenta al mondo non più come città industriale, ma sempre più terziaria». Si inserisce Buffi. Chiarisce che il suo ruolo, all’inizio, era proprio quello di sorvegliare sulla qualità delle opere della Spina. Poi si è messo a disegnare (l’Ipercoop di via Livorno è suo): «Il mio, all’inizio, è stato un lavoro di accompagnamento delle opere. E dove ho seguito le opere il risultato è stato all’altezza. Poi, sono passato da supervisore a progettista sul campo, con l’Ipercoop di via Livorno. E devo dire che il Prg su Spina 3 prevedeva proprio quello che è nato: totem moderni che si affacciano sul parco, poco è stato modificato a posteriori». E fa capire che è presto per dare un giudizio. Tesi in cui si riconosce il professor Olmo che cercherà di ricondurre la discussione all’essenza del problema, vale a dire che non ha senso parlare di urbanistica senza tener conto del contesto economico, sociale e storico. «Intanto non bisogna confondere edilizia pubblica con edilizia privata - dice - è ozioso discutere adesso di Spina 2 quando lì, oggi, c’è solo lo scavalco del Poli. Stesso discorso per la stazione di Porta Susa, la biblioteca di Bellini e le nuove Ogr. Sull’edilizia pubblica molto è ancora da decidere». Aggiunge: «Torino vive di memorie storiche di eredità barocche e di rimozione della sua identità nel Novecento. Non si è fatto abbastanza per capire che i tessuti industriali non necessariamente andavano distrutti. Forse siamo ancora in condizione di recuperare. Torino non diventerà terziaria altrimenti perderà la sua sfida con il futuro. Deve puntare, ed è quello che sta facendo, su una neoindustrializzazione che potrà portare qui persone che faranno nuovi mestieri, che vorranno vivere in case diverse». Fra chi preme di più per intervenire a questo punto ci sono loro, i costruttori, che da quando sui giornali sono usciti titoli come «La Spina è uno scempio edilizio» passano mezza giornata al telefono con clienti preoccupati. Parla Gallesio: «I costruttori hanno interesse nella qualità urbana e architettonica. Negli ultimi anni è cresciuta la sensibilità dell’impresa: per la prima volta l’Ance nazionale è andata alla Biennale. E’ importante concertare: qui non siamo negli Usa dove uno studio ha 1.500 persone che progettano e disegnano fino all’ultima vite. E io raccomando agli architetti: a volte fate progetti belli ma irrealizzabili sotto il profilo industriale; dovreste progettare con a fianco gli economisti o si va fuori dal mercato. E non cerchiamo di insegnare ai torinesi come abitare: se fai una casa senza balcone o ripostiglio non la comprano». Solo a questo punto prende la parola, perchè arrivato da Milano a un’ora dall’inizio del dibattito, l’uomo che ha originato tutta la polemica: Augusto Cagnardi. «Sono contento che sia nato questo dibattito, toni aspri compresi. E’ ora che si parli di architettura. Ma arrivo al dunque. L’ho detto nella mia prima intervista e lo confermo. Non colgo nella Spina quel senso dello spazio e del decoro urbano che l’architettura dovrebbe sapere offrire alla città. Da quanto finora costruito non traspare nessun senso civile. Il sindaco chiede che cosa avrei fatto io al posto di quegli architetti? Mi sarei comportato come a Shangai, avendo il coraggio di fare qualcosa di rivoluzionario. Alla fine è andata bene, ma è questo che voglio dire agli architetti come ai costruttori: bisogna avere più coraggio e dobbiamo tutti fare bene la propria parte». E a Torino che farà Cagnardi sulla «clessidra» a ridosso di largo Orbassano? «Inventerò il vuoto che arreda più del pieno. Farò un regalo ai torinesi: metterò a loro disposizione uno spazio non c’è assolutamente nulla». Si inserisce l’architetto Bossolono. Dopo aver raccomandato ai giornali di «andarci piano con le polemiche» aggiunge: «Non è che Rotterdam e Barcellona che sono sempre sulle riviste abbiano fatto solo cose belle, è che riescono a vendere meglio la loro immagine. Sulle case non si riesce sempre a inventare chissà cosa. Ci sono i duplex, c’è l’esempio delle ville sui tetti che sono state capite e apprezzate da un pubblico giovane». Prende la parola il presidente dei costruttori dell’Api Frascarolo: «Cagnardi ci accusa di fare case datate? Ma l’edilizia residenziale dagli Anni Settanta a oggi non è cambiata di molto. E questo proprio perchè sono le famiglie a volere le stesse cose. Ratti e Olmo ci propongono di vendere i loft per restare fedeli all’anima post-industriale della città? Mi spiace, il loft è grande, non si vende». Tocca a Mellano: «La qualità non è un gesto o il frutto di un artista è un processo lungo. Per la Spina il processo si è iniziato dal Prg che non è generico, poi le proposte sono state adeguate via via alla situazione della città e si sono fatte le varianti. Un Prg realistico è quello che prevede architetti buoni per la parte non pubblica perchè solo la parte pubblica può avere le eccellenze». Chiude l’assessore Viano, cui i cronisti chiedono come può il Comune vigilare sul serio sulla qualità architettonica delle Spine. Viano ripercorre la storia del piano regolatore e di quanti anni, scanditi dai dibattiti in sede amministrativa e pubblica, siano passati dal progetto su carta alle case fresche di intonaco: «I cittadini e i media devono capire che l’architettura non è soltanto un’attività espressiva, ma deve rispondere a un insieme di logiche, anche economiche. Detto ciò l’amministrazione sta cercando di conquistare una parte più attiva di indirizzo dell’urbanistica. Come? Attraverso due momenti: l’esternalizzazione dell’Urban Center che diventerà una costola di Torino Internazionale e la creazione di un nuovo assetto della commissione igienico-edilizia di cui il Comune avrà una presenza maggioritaria».