Kyoto, ultimo esame. Italia maglia nera
Da lunedì a Milano la conferenza mondiale sul clima. Il nostro paese aumenta le emissioni che gli altri riducono
27 November, 2003
LUCA FAZIO MILANO Dall\'1 al 12 dicembre Milano ospiterà la nona conferenza mondiale sul clima (Cop9). Dopo 25 anni di discussioni internazionali sull\'effetto serra, l\'appuntamento potrebbe segnare l\'effettiva entrata in vigore del protocollo di Kyoto, cioè l\'impegno dei 119 stati firmatari a raggiungere un obiettivo globale di riduzione delle emissioni di gas serra del 5,2% entro il quinquennio 2008-2012 rispetto ai livelli del 1990; ad ogni paese ad industrializzazione avanzata è stata assegnata una soglia di riduzione dell\'anidride carbonica: e l\'Italia si allontana sempre di più dal suo obiettivo fissato a quota -6,5%. L\'applicazione del protocollo si trova in uno stato di impasse, segnato dal voltafaccia americano (Bush nel 2001 ha tolto la firma degli Usa sotto il protocollo, su pressione della lobby petrolifera) e dall\'ambiguità della Russia; soltanto l\'adesione dei russi infatti potrà far partire il protocollo di Kyoto, che entrerà in vigore solo quando verrà ratificato dai paesi industrializzati responsabili di almeno il 55% della produzione di Co2: adesso siamo a quota 45%, e la Russia da sola produce il 17% delle emissioni mondiali. Questo è il contesto geopolitico in cui si muoveranno i 6000 delegati che parteciperanno a centinaia di convegni nei padiglioni della Fiera di Milano. E se per anni le trattative su Kyoto sono proseguite nel disinteresse generale, questa volta per il «movimento dei movimenti» sarà l\'occasione per portare in piazza i temi ambientali, globali e locali (sono decine gli eventi collaterali previsti, e il 6 dicembre anche una grande ciclo-manifestazione). Il problema dei cambiamenti climatici non è all\'ordine del giorno solo nell\'agenda degli scienziati. A partire dal 1861, il 1998 è stato l\'anno più caldo in assoluto, così come l\'estate del 2003; secondo uno studio Onu, nei prossimi 100 anni la temperatura aumenterà tra gli 1,8 e i 5,4 gradi (un aumento senza precedenti). Con altre 5 estati come quella passata, secondo il metereologo Luca Mercalli, l\'ecosistema della pianura padana rischia di diventare sempre più simile al Tavoliere delle Puglie. E ancora: secondo l\'Onu, entro il 2090 il mare potrebbe crescere di 20-30 centimetri, una catastrofe per diverse aree costiere del Mediterraneo. Sul banco degli imputati la combustione di idrocarburi fossili, la deforestazione, la gestione dei rifiuti, l\'idustria petrolifera e il sistema di trasporti su gomma: le emissioni di carbonio sono quadruplicate negli ultimi 50 anni, mentre la concentrazione di anidride carbonica è aumentata del 31%. Detto questo, sono ancora molti e complessi i nodi irrisolti tra le potenze mondiali, nascosti dietro cavilli tecnico-burocratici che ogni volta scompigliano le carte in tavola. Innanzitutto, il protocollo di Kyoto non assegna alcun obiettivo di riduzione delle emissioni ai paesi in via di sviluppo: e fra questi la Cina, secondo paese emettitore mondiale di Co2. Significa che la Cina, e la gran parte del pianeta, non partecipa al progetto di riduzione dei gas serra? Tutt\'altro. Perché il protocollo prevede meccanismi flessibili che permettono ai paesi a industrializzazione avanzata di raggiungere il proprio obiettivo anche «catturando» Co2 in un altro paese. In sostanza: l\'Italia potrebbe assolvere i propri doveri (obiettivo -6,5%) investendo in Cina. Dove sta il problema? Il rischio è che i paesi ricchi non investano sul proprio territorio. Non solo, ancora più controverso è il sistema dell\'emission trading, la creazione di una sorta di borsa delle unità di riduzione di Co2 che trasforma gli interventi concreti in titoli (pezzi di carta) il cui valore fluttua sul mercato come le azioni. Esempio: l\'uscita degli Usa da Kyoto ha abbattuto la quotazione dell\'unità di riduzione che attualmente è sotto i 10 euro per tonnellata di Co2, mentre in Europa si devono spendere 32 euro per neutralizzare la stessa quantità di Co2. Il rischio è che sia più conveniente «giocare in borsa» piuttosto che intervenire davvero sull\'ambiente. Per questo gli ambientalisti chiedono una forte limitazione dell\'emission trading. Per non dire del fatto che il Protocollo di Kyoto sfiora appena il problema della Co2 prodotta dalle auto, che in Italia è responsabile del 27% delle emissioni. Un argomento che dovrebbe far abbassare la cresta al «governatore» dipinto di verde Roberto Formigoni, che ieri si è pavoneggiato perché la Cop9 farà di Milano il centro mondiale dell\'ambiente. Mentre lui propone nuove autostrade e investe in nuove centrali per 6100 Mw, polemizzano i Verdi, «la regione leader dell\'economia italiana è passata dai 62,7 milioni di tonnellate di CO2 del 1999 ai 71,5 del 2003». Lombardia a parte, l\'Italia, nonostante abbia ratificato il protocollo nel maggio 2002, è la nazione europea più lontana dall\'obiettivo prefissato. Mentre l\'Ue registra complessivamente un buon risultato grazie agli sforzi di Germania (-16,9%) e Inghilterra (-13,1%), l\'Italia dal 1990 ha aumentato le emissioni del 7,3%. Eppure, al termine dei lavori, vedremo Berlusconi fare gli onori di casa per appuntarsi al petto la medaglia di miglior presidente ambientalista dell\'anno.