Il tritambiente
Il dissipatore di rifiuti alimentari si attacca sotto il lavandino. Trita i rifiuti di cucina, che finiscono poi nelle fogne. E' osteggiato a livello europeo e anche in Italia per i problemi legati alla depurazione e alla raccolta differenziata. Ma non dal ministero dell'Ambiente. I produttori ringraziano e suonano la carica per venderne di più - da Ecosportello News del 09.05.2005
10 May, 2005
<b>Alina Lombardo</b>
<b>Cosa, chi, come, quanto</b>
Dissipatore di rifiuti alimentari. A sentirlo così viene da pensare a una macchina di grandi dimensioni che tratta gli scarti alimentari. Invece, il dissipatore di rifiuti alimentari, noto anche <b>con l'acronimo di DRA</b>, altro non è che un tritarifiuti, un piccolo elettrodomestico che, collegato al tubo di scarico del lavello della cucina, tritura e trasforma in poltiglia tutti i rifiuti e gli avanzi di colazioni, pranzi e cene in modo che possano scivolare via, insieme all'acqua del rubinetto, ed essere eliminati direttamente nel sistema fognario. Si compra nei negozi di elettrodomestici e se ne affida l'installazione all'idraulico, come si fa con la lavatrice o con la lavastoviglie. Sono circa una decina le aziende produttrici di dissipatori che offrono al mercato italiano diversi modelli di differente potenza, da scegliere a seconda del numero dei componenti della famiglia, della tipologia e dalla quantità di rifiuti che si producono quotidianamente. I modelli più diffusi hanno una potenza che varia dai <b>350 ai 750 W</b> e un costo compreso tra i <b>180 i 600 euro circa</b>. Hanno dimensioni contenute (si installano sotto il lavello), sono generalmente silenziosi e molto semplici da usare: basta fra scorrere l'acqua dal rubinetto e gettare nello scarico solo rifiuti organici; poi si accende l'interruttore e il tritarifiuti entra in azione trasformando in poltiglia i resti del cibo.
<b>La storia</b>
L'ultimo ritrovato della tecnologia? Non esattamente. In realtà, <b>il piccolo elettrodomestico</b> si avvia a compiere gli ottant'anni: la sua nascita risale al <b>1927</b>. Il suo inventore, un architetto del Wisconsin, John Hammes, lavorò intorno all'idea di sminuzzare i rifiuti in modo da farli scivolare via con l'acqua di scarico del lavandino di cucina per ben dieci anni prima di dare vita alla <b>In-Sink-Erator Mfg. Co.</b>, quella che ancora oggi è la principale azienda produttrice mondiale di DRA. Da allora, la ISE ha venduto 75 milioni di apparecchi in tutto il globo, ma con una distribuzione a macchia di leopardo: la densità di installazioni maggiori spetta al Nord America dove è presente in circa la metà delle abitazioni. Una percentuale molto elevata, di gran lunga superiore a quella di ogni altro paese d'Europa dove il rifiuto alimentare è smaltito come rifiuto urbano.
<b>Il quadro normativo</b>
Nell'Unione europea la <b>Direttiva discariche</b> raccomanda la <b>riduzione della quantità di rifiuto biodegradabile</b> smaltito in discarica, con l'obiettivo di ridurre le emissioni di metano dalle discariche, gas tra i maggiori responsabili dell'aumento dell'effetto serra. Raccomandazione che alcuni Stati e municipalità hanno seguito adottando schemi di raccolta differenziata basata sulla separazione tra rifiuto solido e rifiuto organico che, generalmente, è smaltito attaverso processi di compostaggio o (meno frequentemente) "anaerobicamente digerito", con produzione di metano usato come fonte di energia rinnovabile. Più recentemente, <b>la Strategia europea per i suoli ed il Programma europeo sul cambiamento climatico</b> hanno introdotto ulteriori indirizzi e strategie che puntano al recupero delle sostanze organiche di scarto per contribuire a fronteggiare, o prevenire, anche altre emergenze ambientali quali, per esempio, fertilità dei suoli, "sequestro" di carbonio negli stessi, riduzione di erosione e desertificazione. Come si collocano, in questo quadro, i dissipatori di rifiuti alimentari? A livello europeo la questione fu affrontata esplicitamente nel 2001 con la stesura di un documento preparatorio ad una direttiva sul Trattamento dei rifiuti biodegradabili in cui la Commissione affermava che «al fine di eliminare un non giustificato incremento nella quantità di fanghi della depurazione, <b>dovrebbe essere proibito di triturare il rifiuto solido biodegradabile</b> al fine di evacuarlo via fognatura».
Parere che, per quanto riguarda l'Italia, riaffermava quanto già previsto dalla normativa vigente. Il decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, ai commi 2 e 3 dell'art. 33 (Scarichi in reti fognarie) recitava infatti: «2. gli scarichi di acque reflue domestiche che recapitano in reti fognarie sono sempre ammessi purché osservino i regolamenti emanati dal gestore del servizio idrico integrato. 3. <b>non è ammesso</b> lo smaltimento dei rifiuti, anche se triturati, in fognatura».
L'orientamento non poteva lasciare soddisfatti i produttori e distributori di tritarifiuti che, nel frattempo, si erano associati nel <b>Gruppo DRA</b>, organismo nato nell'ambito <b>dell'UIDA</b>, l'Unione delle imprese per la difesa dell'ambiente aderente a Confindustria. Obiettivo della nascita di Gruppo DRA: "tutelare gli interessi degli associati svolgendo un ruolo di interlocutore delle istituzioni politiche e degli organismi sociali, tecnici ed economici".
Attività quest'ultima che, a quanto pare, non ha tardato a dare i suoi frutti. Con la legge 179 del 31 luglio 2002, art. 25 (Modifiche al decreto legislativo <b>11 maggio 1999, n. 152)</b> la situazione, infatti, cambia sensibilmente: il comma «3. non è ammesso lo smaltimento dei rifiuti, anche se triturati, in fognatura» viene modificato e diventa: «non è ammesso lo smaltimento dei rifiuti anche se triturati, in fognatura, <b>ad eccezione di quelli organici provenienti dagli scarti dell'alimentazione umana</b>, misti ad acque domestiche, trattati mediante apparecchi dissipatori di rifiuti alimentari che ne riducano la massa in particelle sottili, previa verifica tecnica degli impianti e delle reti da parte dell'ente gestore», cioè gli ATO (Ambiti territoriali ottimali), le organizzazioni territoriali competenti per le acque reflue.
Completa il quadro normativo la <b>Circolare del ministero dell'Ambiente</b>, approvata l'<b>11 giugno 2004</b>, sull'utilizzo dei DRA che riafferma il principio di subordinarne l'impiego alla conduzione, da parte degli ATO, di uno studio di bacino sulle potenzialità del sistema di fognatura e depurazione per verificarne la capacità a sostenere il carico aggiuntivo proveniente dai dissipatori come sistema alternativo allo smaltimento dei rifiuti e valutare quindi la possibilità di un'applicazione di tali dispositivi e in quale misura.
<b>Le reazioni</b>
Un bel cambiamento di rotta, dunque, che il Gruppo DRA ha prontamente salutato come "Un altro segnale positivo dal ministero dell'Ambiente per la diffusione dei dissipatori dei rifiuti alimentari sul territorio nazionale". <b>Molto più ampio il fronte dei contrari</b>. Anche perché, mentre gli ATO lavorano per elaborare le loro valutazioni preliminari, si allunga l'elenco delle segnalazioni di <b>promotori di tritarifiuti</b> che si rivolgono direttamente <b>alle famiglie o, nelle migliori delle ipotesi, ai sindaci, disattendendo clamorosamente le stesse disposizioni di legge</b> sullo studio di bacino individuato dal ministero come "condizione imprescindibile" per la loro applicazione. <b>Persino Fareverde</b>, associazione ambientalista vicina allo stesso ministro dell'Ambiente Altero Matteoli, che quella modifica ha voluto, sul suo sito commenta la scelta governativa con un titolo-appello piuttosto eloquente: <b>"Fermiamo il Tritambiente!"</b>. Un fronte di opposizione molto ampio, dicevamo, che abbraccia associazioni ambientaliste, comitati tecnici, società di servizi ambientali, amministrazioni comunali.
<b>Comuni contro</b>.
A <b>Bassano del Grappa</b>, per esempio, il regolamento comunale per l'applicazione della tassa per lo smaltimento dei RSU non riconosce il dissipatore fra le soluzioni di compostaggio domestico dei rifiuti da adottare per aver diritto allo sconto sulla Tarsu. La ragione? Semplicissima, spiega <b>Giorgio Bettiati</b> della Brenta Servizi: "La nostra fognatura non è in grado di ricevere il carico che i dissipatori apporterebbero: lo sappiamo e non c'è bisogno di fare altri studi o rilevamenti". Chiuso il discorso.
Più complicato, e curioso, invece, il caso di un altro comune-contro, <b>Buccinasco</b>, circa 30mila abitanti dell'hinterland milanese. "Quando siamo arrivati al governo della città, dopo le elezioni del 2002 - ricorda <b>Rino Pruiti</b>, assessore alla politiche ambientali - abbiamo ereditato dalla precedente amministrazione di centro-destra un incentivo all'uso dei dissipatori che consisteva in uno sconto del 20% sulla tassa sui rifiuti. A beneficiarne erano gli abitanti di un supercondominio, circa 400 famiglie, che non avevano scelto di adottare un tritarifiuti, ma gli era stato imposto al momento dell'acquisto dell'abitazione". Cos'ha fatto l'amministrazione? "Con provvedimenti impopolari, che la gente col tempo ha capito, abbiamo tolto ogni sconto o incentivo al dissipatore e inserito premi per aumentare la raccolta differenziata".
<b>Anche in Europa le città propendono per il no</b>. L'Associazione delle Città e Comuni del <b>Nordreno Westfalia</b>, già nel dicembre 1997 aveva stabilito, in un suo documento ufficiale, che l'uso dei DRA non era in linea con requisiti tecnici e prescrizioni di legge dei sistemi di depurazione. Dunque chiedeva di vietare la loro applicazione. Dopo una protesta dei produttori alla Commissione Europea sulla base del concetto di "libero mercato", il ministero dell'Ambiente riaffermava che "<b>I DRA non possono essere usati in Germania</b> sulla base dei requisiti legali per la gestione di acque e rifiuti, oltre che sulla base di motivazioni tecniche" aggiungendo una serie di implicazioni problematiche per il sistema fognario e depurativo. Il ministero riaffermava anche il problema del peggioramento della qualità della sostanza organica, se inviata al sistema fognario anziché separata alla fonte mediante raccolta differenziata. Tornando in Italia, <b>Andrea Poggio</b>, vicedirettore di Legambiente, fa notare anche come i rifiuti triturati potrebbero creare problemi nelle condotte delle vecchie abitazioni.
<b>Le ragioni del NO</b>
Ma perché, tanta opposizione? In fondo, assicurano produttori e distributori, il DRA presenta diverse caratteristiche. Tutte amiche dell'ambiente, dicono: aiuta a selezionare il rifiuto, dunque fa raccolta differenziata; poi, quando la poltiglia se ne va, percorre una strada sotterranea, la fogna, che non richiede mezzi di trasporto e quindi genera risparmi sui costi di raccolta e una sensibile diminuzione dell'inquinamento atmosferico; produce fango di depurazione, che può essere recuperato agronomicamente; fornisce nutrimento ai microrganismi deputati alla depurazione delle acque.
"Il dissipatore aiuta a fare raccolta differenziata? <b>No, impossibile</b>. Semmai ottiene proprio l'effetto contrario" commenta <b>Lucia Venturi, biologa</b>, responsabile scientifica di Legambiente. "Abbiamo impiegato anni a spiegare e a far capire alla gente che la discarica non è un buco nero in cui tutto scompare nel nulla. Abbiamo faticato per creare un approccio alla gestione dei rifiuti basato su una responsabilità condivisa che ci porta a separare e ad <b>accompagnare i rifiuti verso il recupero e il riciclaggio</b>. Il dissipatore è esattamente l'opposto: ci riporta indietro in quel buco nero in cui tutto scompare senza lasciare traccia".
Anche il discorso sulla riduzione dei costi e delle emissioni inquinanti non convince. "La diffusione dei DRA - spiega <b>Massimo Centemero</b>, coordinatore del Comitato tecnico del CIC (Consorzio italiano compostatori) - non può essere del 100%: si intaserebbero le linee fognarie. La stessa circolare del ministero parla di una 'soglia di compatibilità indicativamente stimabile in un <b>10-15% degli utenti equivalenti'</b>. Il singolo Comune si <b>troverebbe quindi a dovere comunque mantenere la raccolta dell'umido</b>, o del rifiuto indifferenziato, per servire la stragrande maggioranza di quelli che non hanno il dissipatore, e il risparmio di tempo relativo al mancato prelievo di una quota marginale di utenti risulta del tutto trascurabile rispetto a quella parte di costi del servizio che comunque non potrebbero essere ridotti, come l'acquisto dei mezzi, i percorsi di raccolta e così via. Non solo. Alla mancata riduzione delle spese si andrebbero ad aggiungere i costi dei maggiori consumi energetici ed idrici di depurazione e quelli di smaltimento dei fanghi".
Insomma il no del CIC ai DRA è deciso e senza appello. "Le nostre argomentazioni - spiega Centemero - <b>sono tutte raccolte in un parere scritto</b> che abbiamo inviato alle ATO di tutta Italia invitandole a non promuovere il conferimento dei rifiuti alimentari tritati nel sistema fognario e a preferire la raccolta differenziata". Parere nel quale non può mancare una valutazione sulla qualità dei fanghi degli scarichi fognari.
In Italia come in Europa, e a differenza che negli Stati Uniti, sottolineano i tecnici del CIC ed i Centri di Ricerca (italiani ed europei) che hanno sinora sconsigliato l'adozione dei DRA, <b>esiste un sistema fognario misto</b>, in cui convogliano acque provenienti sia dalle abitazioni, sia dalle industrie. In queste acque la presenza di inquinanti può essere relativamente elevata e <b>ciò rende la qualità dei fanghi di depurazione decisamente inferiore</b> a quella dell'organico domestico, così da impedirne l'utilizzo per la produzione di compost di qualità. In molti casi i fanghi non potrebbero essere impiegati in agricoltura in quanto eccedenti i limiti di legge (fissati dal D.lgs.22/97), e dovrebbero dunque essere inviati all'incenerimento o alla discarica.
"Questo significherebbe - aggiunge Centemero - un peggioramento, o addirittura una perdita, di preziose risorse organiche a fronte di indubbi benefici del riutilizzo della sostanza organica raccolta separatamente dalla quale si produce compost di qualità elevata, utilizzabile sui suoli, come dimostrato dai 3 milioni di tonnellate ad oggi separate e compostate in Italia, o dai 12 milioni di tonnellate in Germania". E non è certo un caso se, mentre la strategia di raccolta differenziata secco-umido è sviluppata e consolidata ormai da un ventennio in molti paesi europei, <b>la diffusione dei dissipatori in Europa è del tutto marginale</b>.
Anche sull'ultimo punto bisogna precisare un paio di cose. Perché se è vero che i dissipatori, riducendo in poltiglia l'organico, forniscono nutrimento ai microrganismi deputati alla depurazione delle acque, è altrettanto vero che ciò non è di per sé sempre positivo. "Ogni depuratore - <b>spiega Lucia Venturi</b> - è tarato sulla base delle caratteristiche delle acque che in esso vengono convogliate. Se cambia la concentrazione di uno degli elementi che normalmente affluiscono all'impianto, in questo caso l'organico, si possono creare <b>pericolosi squilibri</b>. E poi c'è un altro rischio: <b>tutti gli impianti di depurazione necessitano di un by-pass</b>, una condotta che si attiva quando per una qualunque ragione, in genere eventi meteorologici intensi, l'afflusso che arriva al depuratore non può essere accolto, perché provocherebbe esondazioni dalle vasche, e va a scaricarsi direttamente in mare, fiume, lago. Con conseguenze facilmente immaginabili: un disturbo immediato alla fruizione di quelle acque e l'innescarsi di un <b>pericoloso processo di eutrofizzazione</b>".