Bonifiche Fibronit. Bari si oppose al modello «Bagnoli». L’assessore Maugeri: «Scelta lungimirante»
L’assessore all’Ambiente del Comune di Bari ricorda la scelta nel 2004 di aver rifiutato il «modello Bagnoli». « L’esempio della bonifica per rimozione di Napoli – ha dichiarato Maria Maugeri - undici anni dopo, si è vista come è andata a finire in Campania. Nel 2004, Bari ha invece fatto una scelta diversa, io credo, lungimirante». La nota dell’assessore
15 April, 2013
Dal sequestro di Bagnoli a quello della Fibronit di Bari, due Siti di Interesse Nazionale, due diverse modalità di bonifica. Il sito di «Napoli Bagnoli – Coroglio» è stato dichiarato dal Ministero dell’Ambiente, Sito di Interesse Nazionale, nel 2000, un anno prima del sito della «Fibronit di Bari». Riceviamo e pubblichiamo una nota dell’assessore all’Ambiente del Comune di Bari Maria Maugeri.
«Il sequestro della vasta area di Bagnoli a Napoli – ha dichiarato Maugeri – è indicativo di quanto sia più facile per il malaffare insinuarsi dove manca una seria strategia di indirizzo e controllo. La storia, evidentemente, non insegna nulla. Nel 1997 per la prima volta e nel 2002 per la seconda, anche Bari è stata teatro del sequestro di una vasta area inquinata da amianto, come quella di Bagnoli: la Fibronit».
«Si discuteva, allora, della possibilità di rimuovere e trasportare in una discarica migliaia di tonnellate di materiali contenenti amianto interrati al centro di tre popolosi quartieri di Bari. Ricordo che, a supporto di questa ipotesi, veniva fatto proprio l’esempio della bonifica per rimozione di Bagnoli. Undici anni dopo, si è visto come è andata in Campania. Nel 2004 Bari ha invece fatto una scelta diversa, io credo lungimirante, opponendosi alla rimozione e scegliendo di seppellire i rifiuti dentro un sarcofago sul quale realizzare un grande parco urbano».
«Al di là delle similitudini e della soddisfazione - ha poi continuato - di aver compiuto una scelta nel preminente interesse della salute, resta l’amarezza. La legge nazionale di messa al bando dell’amianto è del 1992. Da quando è entrata in vigore, 21 anni fa, si sono purtroppo registrati sul tema alcuni passi avanti, ma molti passi indietro. I lavoratori, la cui esposizione all’amianto è stata accertata dopo una certa data, sono finiti in un limbo che li accomuna agli esodati: spesso costretti a defatiganti e decennali contenziosi per vedersi riconoscere le indennità e con pensioni non rivalutate. Intanto resta un miraggio il fondo nazionale a sostegno di quanti, anche tra la popolazione, manifestano oggi malattie legate a esposizioni all’amianto risalenti anche a 30 anni fa. Questi «esposti» sono considerati malati di serie B, costretti a viaggi della speranza in cui le sperimentazioni terapeutiche diventano un lusso non coperto dal sistema sanitario».
«Quanto alle bonifiche - ha infine concluso - spesso si è evocato l’intervento dei privati affinché, attratti dalla prospettiva di poter acquisire i suoli e metterli a reddito una volta risanati, sollevassero le casse pubbliche da qualsiasi onere. Tuttavia, la logica del lasciar fare senza una corretta regia della mano pubblica può produrre mostri. Così, mentre il numero di casi di malati d’amianto continua a crescere in vista del picco previsto dall’Organizzazione mondiale della sanità per il 2020, mentre molti ex lavoratori vengono chiamati a visita di controllo per vedersi ridurre l’indennità di invalidità in ossequio unicamente a logiche di revisione della spesa sociale, c’è chi specula sulle bonifiche approfittando della latitanza di una chiara e in equivoca strategia per il risanamento, la riqualificazione e la tutela della salute pubblica».