“Cari sindaci non svendete le città per far quadrare i conti dei Comuni”
Riccardo Bedrone: non lasceremo più suolo a chi verrà dopo di noi. Rinuncia a ricandidarsi dopo 13 anni il presidente dell'Ordine degli Architetti di Torino: “Il congresso mondiale e il festival i due eventi che porterò nel cuore” - da La Repubblica del 10.07.2013
10 July, 2013
Marina Paglieri
«E' stata una mia scelta: avrei potuto candidarmi ancora, ma non ho voluto. Dopo 13 anni mi sembra giusto passare il testimone: non si può mettere fuori gioco un’intera generazione, quella di chi oggi ha 40/50 anni. Chiudo lanciando un appello al sindaco Fassino, affinché aiuti il Festival dell’Architettura a restare alle Ogr e a crescere, divenendo importante come il Torino Film Festival o il Salone del Libro». Dopo 3 mandati Riccardo Bedrone, docente di Urbanistica al Politecnico, lascia la presidenza dell’Ordine torinese degli Architetti.
Professor Bedrone, come lascia l’Ordine?
«Lo lascio in buone condizioni, sia dal punto di vista finanziario, che dei contenuti. Abbiamo lavorato e costruito con gli enti pubblici e le associazioni, promuovendo la buona architettura e dando vita a tante iniziative rivolte in primo luogo alla città».
Quale ricorda in particolare?
«Senz’altro il Congresso mondiale del 2008, il primo realizzato in Italia, per cui avevamo battuto sei anni prima candidati eccellenti come Tokyo e Siviglia e che ha visto più di 10mila partecipanti, da oltre 50 paesi. Poi il Festival del-l’Architettura, partito in sordina e senza soldi, che ora alla terza edizione ha avuto grande successo, grazie anche alla vetrina delle Ogr».
C’è interesse per l’architettura, ma si parla anche di crisi e di calo degli iscritti a questa facoltà. Come stanno le cose?
«Guardi, sono contento di insegnare al Politecnico, ma non se ne abbia a male il rettore Marco Gilli se dico di non stupirmi della probabile diminuzione di aspiranti architetti. Non è possibile che su circa 60 milioni di abitanti l’Italia abbia 150mila architetti, quando la Francia su un’analoga popolazione ne conta 30mila e la Gran Bretagan 35mila. Il messaggio dei ragazzi è chiaro: abbiamo capito che non ce n’è più».
Che cosa intende dire?
«Dico che non si costruirà più come prima, in Italia ne abbiamo fatte di tutti i colori. Oggi c’è bisogno se mai di creare specialisti della sostenibilità, perché continuare a edificare è contrario a ogni principio di equità intergenerazionale: non lasceremo più suolo a chi verrà dopo di noi. Bisogna fare invece tanta pianificazione urbanistica e recuperare quello che già c’è. Il mestiere è cambiato».
Come spiega allora il successo delle archistar?
«Sono l’altra faccia della medaglia, lavorano solo più loro, creando edifici simbolo che rispondono all’esigenza di chi aspira a un’immagine di potenza e ricchezza. Per carità, si contano anche dei grandi, però in genere a loro non interessa rendere un servizio alla società: sono come il grande attore o calciatore, pagato a peso d’oro, che a volte si rivela un bidone. A questo proposito c’è ancora un appello che rivolgo a Fassino».
Ovvero?
«Gli chiedo di usare la sua autorevolezza e il ruolo di numero uno dell’Anci per invitare le amministrazioni a non svendere le città ai privati perchè sono alla canna del gas. Un discorso che vale per tutti i Comuni, non solo per Torino: si è arrivati al tatcherismo urbanistico, si vendono i diritti edificatori per pagare gli stipendi o il riscaldamento delle scuole. Meglio oggi recuperare quello che c’è e costruire infrastrutture».
A proposito di nuove costruzioni, le piace il grattacielo di Intesa San Paolo?
«Sarebbe stato meglio attenersi al Piano regolatore di Gregotti e Cagnardi, che prevedeva due torri più basse sulla Spina e una terza sul Quadrivio Zappata. Il grattacielo di Piano da vicino sembra meno incombente, ma da lontano è impressionante, lo si vede persino da Giaveno: ed è una stonatura nello skyline torinese. Mi chiedo che cosa succederà con quello di Fuksas, ancora più alto. E’ una questione di dosaggio di volumi: a questo serve un piano regolatore. Ma se si deve cedere ai privati per fare quadrare i conti, si finisce con non tenerne conto».
Un rimpianto?
«Che non sia stata fatta un’adeguata riforma degli Ordini. Il mio ultimo atto è una richiesta al ministro di Giustizia, affinché faccia la luce sul fatto che il Consiglio nazionale degli architetti, che incamera ogni anno più di 5 milioni di contributi dai 150mila iscritti nazionali, si rifiuti di rendere pubblico il suo bilancio».