Quando in via Roma si parcheggiava gratis
I ricordi di un tassista al volante dal 1961 a pochi giorni fa: “Così ho visto cambiare Torino, dai carretti al bike sharing”. Ricordo quando l’ora di punta non esisteva c’erano poche auto e le strade di periferia non erano asfaltate - da La Stampa del 12.07.2013
12 July, 2013
Emanuela Minucci
Mezzo secolo a tempo di tassametro. Pier Giovanni Bestente, 74 anni a Ferragosto, di cui 52 passati al volante del suo taxi, ha lasciato da qualche giorno la professione. Davanti alla lente del suo parabrezza è sfilato un film che comincia dall’ex città fabbrica che lievita grazie ai «Treni del Sole» e si chiude con la Torino in crisi che sforna isole pedonali per piacere ai turisti e al taxi preferisce di gran lunga le bici gratuite del Comune.
Ha scelto di fare il tassista per passione, Bestente, seguendo le orme di papà Giulio «che invece mi avrebbe preferito operaio Fiat». Durante la sua vita al volante ha percorso su e giù per la città due milioni e 600 mila chilometri (e festeggiato il primo secolo di Unità d’Italia e pure il suo Centocinquantenario). Ha fatto quattro volte il giro della terra a colpi di tragitti da Porta Nuova-Mirafiori e da via Roma a corso Sebastopoli «quando ancora era attraversato dalle bialere».
L’Aurelia B12
Mezzo secolo cominciato quando a Torino si inventava la moda, e c’era il Samia, «allora sì che si lavorava che era un piacere» e alla stazione sbarcavano interi paesini del Sud: famiglie in cerca di lavoro e casa. «A quei tempi le nostre auto avevano le balestre, ma Torino doveva dotarsi di buoni ammortizzatori per essere pronta a raddoppiare i suoi abitanti» dice rigirando la foto in bianco e nero del suo primo giorno di lavoro: gennaio 1961, Aurelia B12 pagata 400 mila lire, divisa obbligatoria con cappello a visiera, carrozzeria nera e verde con strisciolina gialloblù, i colori del Comune. Sulla capote nessuna insegna: «Per spiegare alla gente che eravamo liberi c’era una maniglietta di ferro con la scritta rossa che sporgeva dal finestrino». Bestente, che per anni è stato il presidente della cooperativa 5730 («la seconda in Italia nata subito dopo quella di Milano nel ’63) ha cambiato otto auto nella sua vita («l’Aurelia, più tre Flavia e quattro Volvo»). In compenso in cinquant’anni i taxi hanno cambiato colore tre volte - passando attraverso il giallo newyorchese voluto dall’allora assessore socialista Carli della giunta Novelli - e la città più volte pelle. Ingorgo in via Garibaldi «Negli anni Sessanta ricordo che non esistevano divieti e al posto di 5T c’era un omino che in via XX Settembre che quando vedeva arrivare il bus spingeva un bottone e faceva scattare il verde, i semafori erano rarissimi, il concetto di isola pedonale nemmeno in mezzo al Valentino - racconta - l’ora di punta era al mattino alle 8, ma era un traffico all’acqua di rose, per capirci ci mettevi dieci minuti da piazza Statuto alle Molinette». Una corsa costava 500, 1000 lire e l’auto era ancora un lusso «per cui spesso il taxi si chiamava per fare le gite della domenica, fino a Superga. Oppure arrivavano i fidanzati, magari per sbaciucchiarsi: mi dicevano di prendermela comoda». Gli anni successivi saranno quelli di un centro zeppo di ingorghi e smog «con le auto in doppia fila in via Lagrange, tutte le piazze storiche zeppe di macchine e via Garibaldi che esplodeva dal rumore, con due tram a passarci dentro e dietro le macchine a strombazzare».
Dallo sterrato al porfido
Bestente ricorda bene di quando le vie di periferia non erano asfaltate («e a noi dispiaceva arrivare fin laggiù, perchè si impolveravano le gomme cerchiate di bianco) e di quando piazza San Carlo era il cuore della movida rombante: «La sera si posteggiavano le Ferrari o le Porsche davanti al Caffè Torino e d’estate le spider facevano cerchio attorno al Caval’d Brons». Oggi in piazza Carlo Alberto o Valdo Fusi - che fino agli Anni Novanta erano distese di lamiere è tornato il porfido e ci sfrecciano sopra le biciclette. «Mi sembra sia tornata la congiuntura del 1963 o l’austerity degli Anni Settanta - dice - oggi abbiamo dimezzato le corse e a fare il taxista ci sono pure gli ingegneri e gli avvocati. Comunque là dove oggi ci sono le piste ciclabili quando ho cominciato passavano le carrozze e i carrettini».
Il baule
Dire che i ricordi dell’ex presidente della « 5730» non starebbero nel baule di una superfamiliare è banale, ma lui precisa: «Una volta non ce l’avevamo neppure il baule: ricordo quando a Porta Nuova, ai tempi della Grande Immigrazione un taxi si poteva aspettare anche tre, quattro ore. Le famiglie in coda cercavano di piazzarci sul portabagagli di tutto: paralumi, mobiletti, la gabbia del canarino». Quello era il primo momento in cui noi torinesi ci confrontavano con la gente del Sud e devo dire non ce la siamo cavata male.