Smog, dopo infarto e tumore ora il diabete: continuano gli studi sull'aumento di rischio
Tumore, malattie respiratorie e cardiovascolari, e ora anche il diabete: un nuovo studio danese ha fatto emergere la connessione tra esposizione agli inquinanti atmosferici e insorgenza del diabete. Un elemento nuovo nella ricerca, di cui si cerca ora di indagare le cause biologiche
28 January, 2014
La connessione tra smog e malattie respiratorie era intuibile. Quella tra l’esposizione all’inquinamento atmosferico e l’insorgenza di tumori e malattie cardiovascolari è stata ormai provata da decine di studi. Ora però al processo allo smog si è aggiunto un nuovo capo di imputazione, difficile da immaginare: il diabete.
Ad accorgersene sono stati alcuni ricercatori delle università di Aarhus e Copenhagen, impegnati in un’analisi sullo stato di salute della popolazione danese al variare della qualità dell’aria da una zona all’altra. Confrontando i dati messi a disposizione dalle autorità sanitarie e i livelli di inquinanti registrati nelle diverse città è emersa una connessione finora mai indagata: all’aumentare dell’esposizione alle polveri aumenterebbero anche i casi di diabete tra i cittadini. Solo una coincidenza?
Molto difficile, per quanto le possibili relazioni tra smog e diabete siano ancora tutt’altro che chiare agli stessi ricercatori. “Che ci potesse essere una connessione tra inquinamento dell’aria e diabete è stata una sorpresa per noi – ha ammesso Ole Hertel, esperto di chimica atmosferica che ha guidato lo studio – Si tratta di un elemento nuovo nella ricerca sullo smog, a cui dovremo cercare di dare una spiegazione biologica. E’ un risultato inaspettato che dimostra quanto sia importante analizzare i dati in modo accurato in questo campo, senza tralasciare nessun dettaglio”.
Un altro aspetto interessante della questione è che l’insorgenza di patologie derivate – o aggravate – dall’esposizione alle polveri sia visibile perfino in un Paese come la Danimarca, paradiso di ogni ambientalista urbano e metro di confronto per le politiche ecologiche di tutta Europa. Per avere un’idea del confronto, Aarhus, la città da cui è partito lo studio, ha una media annuale di Pm2.5 pari a 13,9 mcg/m3: praticamente la metà della soglia massima consentita dalla legge, che è 25 mcg/m3. Torino e Milano ne hanno più del doppio, 34,4 e 31,7 mcg/m3.
Una considerazione che porta nella stessa direzione degli allarmi lanciati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dai ricercatori del progetto europeo Escape: le soglie previste dalle direttive europee sono obsolete e non garantiscono più un’adeguata protezione sanitaria, nemmeno nei Paesi che occupano i primi posti della classifica tra i più virtuosi del mondo. Si potrà facilmente immaginare la situazione in Paesi come l’Italia, dove ancora si arranca per non esaurire il bonus annuale di sforamenti già a febbraio. (Torino è, come ogni anno, sulla buona strada: siamo a quota 16, e gennaio non è nemmeno finito).
Lo studio: Utilizing Monitoring Data and Spatial Analysis Tools for Exposure Assessment of Atmospheric Pollutants in Denmark
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