Cinghiali radioattivi nel nord del Piemonte. Lo denuncia l'Istituto Zooprofilattico di Torino
Sono 166 gli animali contaminati dal cesio 137. La denuncia è dell'Istituto Zooprofilattico di Torino che ha individuato la presenza di cinghiali contaminati come conseguenza dell'incidente di Chernobyl del 1986 e della nube che raggiunse anche il Nord Italia da - Repubblica (Torino) del 19/06/2014
20 June, 2014
È l'onda lunga del disastro di Cernobyl, quasi trent'anni dopo. A lanciare l'allarme è l'Istituto Zooprofilattico sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta, che da più di un anno analizza i cinghiali a caccia delle tracce di cesio 137: un'attività iniziata nel marzo del 2013, quando in alcuni di questi ungulati selvatici vennero riscontrati tassi di radioattività abnormi, diretta conseguenza dell'incidente nucleare avvenuto in Ucraina, allora Unione Sovietica, del 26 aprile 1986 che aveva provocato una nube radioattiva estesasi, con piogge, su tutta Europa. Un anno fa gli animali trovati contaminati erano stati 27. Da allora l'Istituto diretto da Maria Caramelli ha continuato a monitorare la situazione e analizzato 1.441 campioni: il numero di "cinghiali radioattivi" è salito a 166. Provengono tutti dalla provincia del Verbano-Cusio-Ossola, nel nord del Piemonte, e in particolare dalla Valsesia.
L'occasione per fare il punto della situazione è stata il convegno organizzato dall'Istituto Zooprofilattico al Sermig di Torino, presenti ricercatori, docenti universitari, rappresentanti delle organizzazioni agricole e venatorie e più di 200 veterinari di tutto il Piemonte e da altre regioni italiane. "L' Unione Europea - spiega Maria Caramelli - ha stabilito che i livelli massimi di radioattività nei selvatici non devono superare i 600 bequerel per chilogrammo di peso. Nei nostri laboratori è emersa una concentrazione di Cesio 137 significativamente superiore in oltre il 10% dei campioni esaminati". La nube tossica, spiega la Caramelli, "transitò sulle regioni del Nord del nostro Paese. In Valsesia le ricadute radioattive furono particolarmente intense per la pioggia che cadde in quel periodo. Carcasse di selvatici provenienti da altre aree del Piemonte non hanno rivelato alcuna contaminazione".
Nel corso del convegno è stato sottolineato come, nonostante il calo dei cacciatori, cresca la selvaggina cacciata, che può essere portatrice di rischi per la salute dei consumatori, sia per la presenza di batteri e virus dannosi per l' uomo (influenza aviaria, sars ed ebola sono state le emergenze più eclatanti degli ultimi anni) sia di metalli pesanti e pesticidi di cui potrebbe essere contaminato l'ambiente dove vivono questi animali. E', dunque, importante - spiega l'Istituto Zooprofilattico in una nota - sottoporre i capi uccisi a controlli. La Regione Piemonte si è dotata di un Piano di monitoraggio. Ma dal convegno è emerso che ancora oggi solo il 50 per cento del carniere di un cacciatore viene sottoposto ad analisi prima di essere consumato.