Fiera del Levante. I laboratori di Regione Puglia. Intervista al designer Domenico Gissi
«Quello che siamo abituati a considerare “scarto” - ha spiegato Gissi - è in realtà materiale nudo e crudo che si può riutilizzare per realizzare un’infinità di cose … Il rapporto con il materiale stesso è diventato avulso dalla nostra realtà, poiché ormai è talmente indotta in noi questa cultura del compra-usa –getta che risulta perduta in noi la capacità di “fare”… »
18 September, 2014
Domenico Gissi, designer, hai tenuto qui in fiera dei laboratori ed esponi alcune tue installazioni. Riutilizzare gli oggetti, questo è il messaggio che vuoi lanciare. Ma come arrivare a questo, qual è quella molla che dovrebbe spingere tutti a farlo?
«Io sono animato da una forte passione per tutto quello che riguarda il riuso, che a mio parere costituisce un aspetto essenziale della nostra vita quotidiana e sono convinto che in realtà se ne ignorino le reali potenzialità. Innanzitutto dal punto di vista economico, che, specie in questo momento di crisi, tocca da vicino un po’ tutti: quello che siamo abituati a considerare “scarto” è in realtà materiale nudo e crudo che si può riutilizzare per realizzare un’infinità di cose. In secondo luogo dal punto di vista umano: il rapporto con il materiale stesso è diventato avulso dalla nostra realtà, poiché ormai è talmente indotta in noi questa cultura del compra-usa –getta che risulta perduta in noi la capacità di “fare”. Mi spiego: una volta, nel momento in cui un oggetto, anche un elettrodomestico, non funzionava più, lo si smontava e ci si accorgeva che probabilmente bastava smontare un fusibile, o qualcos’altro per rimetterlo in moto».
Adesso invece è molto più semplice buttar via il vecchio oggetto …
«…. per andare a comprarne un altro che probabilmente non ha nulla di più o di meno, se non il fatto che non dobbiamo saper intervenire per farlo funzionare. E stiamo perdendo, a mio parere, proprio quell’iniziativa, quella capacità creativa, quelle conoscenze che sono state veramente alla base del successo del popolo italiano negli anni passati. Oltre al fatto che non cogliamo la possibilità di risparmiare denaro e di inquinare di meno. La cultura dell’usa-e-getta, poi, oltre a determinare un forte impatto ambientale, sembra trasferirsi persino nei rapporti sociali. Un esempio per tutti: gli esodati. Siamo abituati, cioè, anche nei rapporti umani, ad un atteggiamento che è il compro-sfrutto/uso- getto quando non mi serve più. E ciò è negativo in senso stretto per gli oggetti e per l’inquinamento che procurano, ma in generale nei rapporti umani per la superficialità che ne consegue».
Parlaci di questa tua installazione: cosa rappresenta e che materiali hai scelto di utilizzare?
«L’intera installazione, la poltrona il tavolino e tutti gli oggetti inseriti li ho immaginati come un salotto, perché il salotto richiama diversi concetti: quello di “salotto buono”, che identificava in passato il luogo nel quale il meglio della società prendeva le decisioni o comunque l’iniziativa per cambiare la società, concetto che in realtà si traduce, ai giorni nostri, in quel salotto privato dove pochi e fortemente interessarti personaggi decidono del destino del nostro paese; in secondo luogo il salotto inteso come pigrizia, la poltrona sulla quale ci rilassiamo non preoccupandoci di quali siano le nostre sorti, punta il dito contro quel senso di inerzia che ormai ci contraddistingue; e infine l’idea di poltrona che in Italia sta diventando sinonimo del beneficio, della posizione raggiunta, che invece di essere punto di partenza per cambiare le cose diventa il punto di arrivo per poi non fare niente, quell’adagiarsi che non produce più nulla. Per quanto riguarda i materiali ho utilizzato fondamentalmente cartone e polipropilene, entrambi materiali di riuso, scarti che sono stati riutilizzati e assemblati per la creazione di questo salotto che io ho deciso di chiamare “Cacania”».
Cosa significa?
«È un riferimento ad un romanzo incompiuto di R.Musil (altro riferimento sottostante: l’incompiutezza, che dà proprio l’idea di quanto non si realizzi nel nostro paese) che criticava l’impero austroungarico e ne attribuiva il crollo non tanto alla prima guerra mondiale, quanto ad una decadenza molto precedente, propiziata da quella burocrazia, distante dal popolo e dalla realtà, che invece di favorire il processo di sviluppo aveva finito per inchiodare un paese e per farlo diventare l’ultima potenza europea. Cacania proviene dall’acronimo che veniva utilizzato, KK, e che stava per le parole tedesche corrispondenti a ”Imperiale, reale”, un nome talmente pomposo che poi in realtà non voleva dir nulla, perché era totalmente distaccato dalla realtà. In questo ho visto una forte analogia con i tempi che viviamo, e con il rapporto che oggi il cittadino comune vive con le istituzioni: un completo distacco dalla realtà, che gli fa perder e di vista completamente quelli che sono gli effetti dei problemi che incombono a livello ecologico e ambientale».