“È buona e gratis” così la frutta che cresce in città conquista la tavola
Arance, prugne e fichi: da Roma a Milano si riscoprono gli alberi piantati tra i palazzi Sono a km zero e non trattati chimicamente da La Repubblica del 23.11.2014
24 November, 2014
di Ettore Livini
MELE della Val di Non, ciliegie di Vignola e arance di Ribera devono mettersi il cuore in pace. La pacchia è finita. Roma e Milano sono partite al contrattacco. E dopo secoli in cui i prodotti della campagna l’hanno fatta da padroni sulle tavole, l’Italia si prepara a dare il benvenuto a una nuova leccornia da buongustai: la frutta di città. Cachi, albicocche, corbezzoli, prugne e persino avocado cresciuti a fianco del Colosseo, all’ombra del Cupolone o nella cerchia dei Navigli. Highlander vegetali, sopravvissuti a traffico e cemento e riscoperti oggi — dopo anni di oblio collettivo — per essere mappati, raccolti e (finalmente) sfruttati. Finendo la loro dignitosissima esistenza metropolitana non sotto le ruote di un autobus o per terra in un parco ma sul menu delle mense sociali e nelle reti di vendita dei gruppi di acquisto solidale.
«Le piante da frutta a Roma sono molte di più e molto più naturali di quanto ci immaginiamo» racconta Michela Pasquali, anima di Linaria, organizzazione noprofit della biodiversità che ha avviato il progetto di censimento nella capitale. Ci sono i fichi sull’isola Tiberina, l’uva sull’Ostiense, i melograni a Centocelle e (una scoperta freschissima) gli esotici avocado a Monteverde. Un tesoro nascosto fotografato nelle prime “Pagine verdi” della capitale, la mappa interattiva, visibile su “fruttaurbana.org”, dove «in pochissimi mesi — calcola Pasquali — abbiamo localizzato oltre 500 alberi produttivi». Un numero che cresce grazie alle segnalazioni che arrivano al sito ogni giorno.
Il bello è che questa produzione a km 0 ha caratteristiche organolettiche — alla faccia del Pm10 — molto più ecologiche della concorrenza sui banconi dei mercati e sugli scaffali degli iper. «Questi frutti non sono trattati chimicamente né subiscono i processi industriali della filiera tradizionale — assicura Pasquali — . Ovvio, c’è il problema del traffico e delle polveri sottili. Ma sono residui che si depositano solo sulla buccia e si lavano via facilmente con l’acqua». La scienza conferma: Linaria ha fatto analizzare ai laboratori chimici della Camera di Commercio capitolina le arance amare raccolte al Porto Fluviale e alcune prugne nate e cresciute in via del Vaticano (lato Sala Nervi). E in entrambi i casi le percentuali rilevate di cadmio (0,001 grammi contro il massimo consentito di 0,059) e di piombo (0,027 grammi su 0,1) sono risultate bassissime.
La frutta di città, insomma, è più che commestibile. E l’organizzazione no-profit, anche se il lavoro è iniziato da pochi mesi, ha già iniziato a sfruttare commercialmente questo tesoretto vegetale capitolino. Gruppi di volontari hanno raccolto 160 chili di cachi nel centro sportivo della Banca d’Italia in via del Mandrione, mele, corbezzoli e rose canine al parco di via Proba Petronia, mandorle amare a Villa Doria Pamphili. Distribuite poi alla Caritas di villa Glori, alla mensa dei poveri di Piazza Venezia a ai banchi alimentari. Oppure trasformate in marmellate e tisane, prodotte con progetti sociali ad hoc presso alcuni ricoveri per anziani o all’associazione La Sosta per bimbi afghani. «E allo studio ci sono diversi bandi per sfruttare terreni incolti nell’area metropolitana e convertirli a frutteto», conclude Pasquali.
Roma, va detto, in questo campo non è caput mundi e diverse altre città sono arrivate alla frutta prima dell’Urbe. Il sito “fallingfruit. org” ha mappato 1.099 specie diverse di piante in 785mila località mondiali. Scoprendo i ribes a due passi da Buckingam Palace, noci e ciliegi in piena Manhattan dove vivono, fioriscono e fruttificano oltre 15mila alberi. A Siviglia il Comune ha lanciato un programma per sfruttare le tantissime arance che crescono in centro, dando lavoro ai disoccupati e ritrovandosi a inizio 2014 con un 520 tonnellate di agrumi da utilizzare nelle scuole e nelle mense. “Cityfruit.org” e “Lettuce Link” raccolgono e distribuiscono oltre 200 quintali di frutta ogni anno a Seattle mentre pure a Vancouver funziona ormai da anni un network che in 14 anni ha “salvato” e servito a tavola 24 tonnellate di mele e altri frutti.
L’esempio di Linaria però ha fatto scuola. E il progetto sta per andare ora in replica in fotocopia a Milano. “Il Bosco in città” ha organizzato la prima raccolta collettiva di more a Trenno. Presto dovrebbe iniziare la mappatura sotto la Madonnina, ma un censimento iniziale ha svelato l’esistenza di mele antiche in zona Chiaravalle, cachi e capperi al Castello Sforzesco, corbezzoli a due passi da Santa Maria delle Grazie, nespole sotto San Vittore e cinque bei noci a un centinaio di metri dal Duomo. Palazzo Marino ha inserito nel suo piano verde un apposito capitolo dedicato a queste piante. «C’è una forte richiesta da parte dei cittadini — ha spiegato l’assessore al verde Chiara Bisconti —. Stiamo pensando di accogliere nuovi progetti di impianto di alberi e sensibilizzeremo le associazioni a farsi carico degli esemplari esistenti». E forse già sui menu di Expo 2015 spunterà per la prima volta — alla voce dessert — la frutta “made in Milan”.