Filosofia (e moda) degli orti urbani. "Salvo il paesaggio e mangio sano"
In Italia la superficie coltivata dentro o accanto alle città è triplicata tra il 2011 e il 2013. Zappare all’ombra dei palazzi non è più un’occupazione da pensionati: a Milano aumentano i capifamiglia tra 45 e 55 anni di età. «Ormai è diventata un’esigenza» - da CORRIERE.IT del 14.04.2015
16 April, 2015
di Roberto Rizzo
Questa del campicello di periferia era all’origine un’attività di singoli volonterosi, di gente animata da una fervida passione di agricoltori, ciascuno chiuso nel proprio scacco di terreno». Così iniziava un articolo intitolato «Gli orti cittadini dei coltivatori dilettanti» pubblicato dal Corriere della Sera in cronaca di Milano il 26 luglio del 1943. Allora erano orti di guerra, oggi sono orti urbani. Secondo la rivista scientifica online Environmental Research Letters i dati satellitari hanno permesso di calcolare che, nel mondo, gli orti urbani (cioè situati entro un raggio di 20 chilometri dalle città), occupano una superficie pari ai 28 Stati dell’Unione europea.
In Italia, in base a un censimento di Coldiretti, dal 2011 al 2013 la superficie degli orti urbani è triplicata passando da 1,1 milioni a oltre 3 milioni di metri quadri. E un’indagine condotta da Coldiretti e Censis afferma che, causa crisi economica, ben il 46,2 per cento di italiani si dedica alla coltivazione di orti, giardini e terrazzi. Se prima si curavano con amore piante e fiori ora ci si adopera anche per far crescere lattughe, pomodori, peperoncini, zucchine, melanzane. La Confederazione italiana agricoltori dichiara che nel nostro Paese i contadini urbani sono circa 5 milioni (dato 2013, più 10 per cento rispetto all’anno precedente), persone che curano un orto in giardino, in terrazza o in uno spazio comunale. Un esercito con la zappa in mano.
Claudio Cristofani, ortista urbano, è un architetto che a Milano, in via Chiodi, quartiere Barona, periferia sud-ovest della città, ha convertito i suoi 2,5 ettari di terreno agricolo in 180 orti urbani per altrettante famiglie (nel capoluogo lombardo gli orti urbani di proprietà comunale sono 800). Circondato da palazzoni anonimi, il luogo ha un nome new age, «Angoli di terra», e un sito internet (angoliditerra.org), dal quale Cristofani semina consigli e riflette sull’agricoltura in città: «Questa esperienza è nata dodici anni fa, si tratta di appezzamenti di 75 metri quadri, ciascuno in grado di produrre due quintali di verdure l’anno. Fave, cornetti, piselli, pomodori, melanzane, insalate a seconda della stagione. Ma il vero successo è la funzione sociale di questo luogo che negli anni è diventato un punto di incontro per chi lo frequenta, al di là della passione per la terra».
«Non ci sono solo pensionati come si potrebbe pensare, anzi: la categoria più rappresentata è quella del capofamiglia tra i 45 e i 55 anni». Per l’Osservatorio Nomisma-Vita in Campagna sull’agricoltura amatoriale quelli che si dedicano all’orto di città sono: pensionati (47%), casalinghe (14%), impiegati (12%), operai (10%), lavoratori autonomi, commercianti e imprenditori (8%), insegnanti (4%), altro (5%). Il canone richiesto dal signor Cristofani, che ai suoi «contadini» garantisce l’acqua e tutti gli allacciamenti possibili per un buon raccolto urbano, è di 385 euro l’anno per ogni orto (gli affitti comunali non superano i 200 euro annui). Ma trovarne uno libero non è facile e la lista d’attesa è lunga.
Domanda: ma il pomodoro o la melanzana milanese, coltivati in una delle aree più inquinate d’Europa, che grado di commestibilità hanno? «La scienza dimostra che un buon lavaggio elimina le impurità che si depositano sulla superficie degli ortaggi», risponde Cristofani. «E solo lavorando la terra si comprende che quel che più importa in agricoltura sono i primi 50 centimetri di terreno, lo strato coltivabile. Quello più fragile e da preservare». Da Michelle Obama che, appena insediatasi alla Casa Bianca allestì un orto nel giardino della dimora presidenziale lodando il lavoro dei community garden , gli orti comunitari di quartiere, alla regina d’Inghilterra Elisabetta II che ha creato un piccolo orto nei giardini di Buckingham Palace, l’orto urbano ha diverse declinazioni: comunale, sociale, a porter (piccoli vasi da portare a passeggio), verticale (quando lo spazio è scarso), riciclato (in vasi ricavati da bottiglie di plastica, ecc.), in terrazzo (il più diffuso in Italia), rialzato (nei vasconi) e didattico (nelle scuole). La facoltà di Agraria dell’università di Perugia ha pubblicato un manuale intitolato «Linee guida per la progettazione, l’allestimento e la gestione di orti urbani».
Coldiretti è andata oltre creando la figura del personal trainer dell’orto. «Uno specialista che aiuta nella coltivazione, dalla scelta dei prodotti al raccolto», spiega Daniele Taffon responsabile del progetto orti urbani della Fondazione Campagna Amica: «Al momento abbiamo 65 personal trainer divisi regione per regione. Si tratta di figure professionali come imprenditori agricoli e agronomi, in grado di insegnare l’arte dell’orticoltura. Il primo sopralluogo e i consigli utili per avviare l’attività sono un servizio gratuito. Per progetti più strutturati chiediamo un contributo di 20 euro l’ora, cinque lezioni sono sufficienti per imparare: dall’attrezzatura necessaria alla terra, dall’irrigazione ai concimi, dalla semina al raccolto». Il servizio di personal trainer è partito a marzo di quest’anno, informazioni al riguar- do si ottengono scrivendo alla mail ambiente@campagnamica.it o telefonando al numero 06.489931.
A Vallo di Nera, in provincia di Perugia, l’orto di Properzio è diventato un salotto culturale. Properzio Nervo, accademico all’università La Sapienza di Roma, facoltà di Lettere, racconta. «A metà anni Novanta comprai questa casa con relativo terreno. Pian piano è nata la passione per l’orto, l’idea di coltivare qualcosa di vivo da un luogo incolto. Ho iniziato con delle piccole festicciole, come il Fava Day che si tiene ogni seconda domenica di maggio, più altri piccoli incontri durante l’estate». Oggi gli appuntamenti all’orto di Properzio sono un’abitudine per gli studenti romani di Lettere ma anche per tanti perugini. «Invito il pecoraio a raccontare storie di transumanza, il cacciatore a parlare delle sue esperienze di caccia. È un modo per tenere viva la tradizione orale del posto e far conoscere a chi viene da fuori le bellezze e gli angoli più remoti del territorio. Ma tutte queste, il che è fondamentale, sono anche scuse per fare grandi mangiate».
Nel Nord Italia l’81% delle città ha sviluppato progetti di orti urbani. Tra i comuni più virtuosi Torino, Bologna, Parma e Padova. Nella città veneta il Comune ha delegato agli orti una vera e propria funzione sociale con il «Piano degli orti urbani»: 500 orti dove «le persone imparano a stare insieme per spezzare la solitudine che spesso caratterizza la vita di molti individui». «Un fenomeno in crescita», commenta Evaristo Petrocchi, responsabile del Progetto nazionale orti urbani di Italia Nostra. «Vero che darsi all’agricoltura urbana è in parte diventata una moda, ma l’esigenza di praticare attività orticola in città è oggettiva». L’obiettivo di Italia Nostra è creare una rete nazionale di orti urbani. «Dedicarsi a un orto non è solo capire cosa c’è dietro i singoli prodotti della terra o coltivare verdura che ci costerà meno che comprarla in negozio. Significa anche prendersi a cuore il paesaggio che va scomparendo. Coltivare pomodori o zucchine consente di capire e aver voglia di tutelare il paesaggio agrario italiano».