“The Cost of Inaction”, l'innovativo rapporto dell'Economist sui costi del cambiamento climatico
Le stime del rapporto indicano perdite che variano dai 379.000 miliardi di euro ai 130 trilioni di euro entro la fine del secolo a causa del cambiamento climatico, equivalenti all'intero PIL del Giappone
27 July, 2015
La Investigation Unit dell'Economist ha pubblicato una ricerca che illustra il rischio economico e finanziario dovuto ai cambiamenti climatici fino al 2100. Questo rapporto innovativo sull'analisi delle previsioni a lungo termine della EIU con un modello di valutazione integrata sfumata fornito da Vivid Economics.
“The Cost of Inaction”, questo il nome del rapporto, illustra le possibili conseguenze economiche del cambiamento climatico sugli investitori e sui governi, misurando le risposte volte a mitigare i danni legati al cambiamento climatico.
Il potenziale impatto del cambiamento climatico legato ai beni di proprietà e gestiti da investitori istituzionali e privati è significativo. Le stime del rapporto indicano che i gestori possono aspettarsi perdite dai US $ 4.2trn (pari a 379.000 miliardi di euro) ai US $ 143trn (130 trilioni di euro) entro la fine del secolo a causa del cambiamento climatico equivalenti all'intero PIL del Giappone. È importante riconoscere che questo non è un rischio di volatilità o temporaneo ma permanente, fatto di svalutazioni e minusvalenze.
I governi non hanno alcuna scusa per non agire. Il danno potenziale nel settore pubblicoè significativamente al di sopra dell'aspettativa di quello privato. Gli Stati dovrebbero adottare le azioni coraggiose della Francia, che nel maggio di quest'anno ha modificato in questo senso la propria legislazione in materia, infatti l'Assemblea Nazionale francese ha votato una serie di emendamenti alla Energy Transition Law che forniscono un primo assaggio di uno statuto che considera in modo esplicito i rischi legati al clima. La nuova legge obbliga le compagnie d'assicurazione, i gestori dei fondi pensione e altri investitori istituzionali a divulgare "informazioni sulla valutazione di fattori ambientali, sociali e di governance nei loro bilanci e nelle loro politiche d'investimento". Inoltre gli investitori sono tenuti a spiegare il modo in cui le attività associate ai loro portafogli "sono esposte ai rischi climatici, compresa la misurazione delle emissioni di gas serra”.
Nonostante gli sforzi del settore privato, vi è ampio spazio per i
legislatori nel dare un contributo decisivo. Non da ultimo, molti
operatori sono alla ricerca di un accordo su un prezzo significativo
del carbone nel corso della riunione
COP21, che si terrà a Parigi alla fine dell'anno.
Tuttavia, anche se un accordo sostanziale dovesse emergere, vi è una chiara necessità di una coordinata azione dei governi e investitori istituzionali, al fine di affrontare i rischi sistemici in gioco nel lungo periodo. I Rischi climatici devono essere valutati, divulgati e, ove possibile, mitigati.
Il valore di rischio calcolato per le attività interconnesse con il
cambiamento climatico è di US $ 4.2trn, in termini di valore
attuale. Un aumento di 6 °C potrebbe portare a una perdita di
valore pari a US $ 13.8trn nel settore privato. Invece nel
settore pubblico, un aumento di 6 °C rappresenterebbe
perdite pari a US $ 43trn, ossia il 30% dell'intero stock di
attività gestite a livello mondiale.
Gli effetti negativi
non saranno limitati ai soli danni fisici diretti, ma anche da una
crescita più debole dei rendimenti delle attività su tutta la
linea. La natura interconnessa del problema ridurrà i rendimenti
anche sugli investimenti apparentemente indenni da danni
fisici.
Anche se il danno diretto sarà localizzato,
l'impatto indiretto interesserà l'intera economia globale, di
conseguenza i gestori dovranno affrontare sfide importanti di
diversificazione delle attività interessate dai cambiamenti
climatici.
Gli investitori istituzionali devono valutare i rischi legati al clima e adottare misure per mitigarli ma ad oggi pochissimi hanno cominciato a farlo. Per consentire l'analisi dei rischi significativi, le aziende pubbliche dovrebbero rivelare le proprie emissioni in forma standardizzata e confrontabili.
Gli “asset
management industry” ovvero il settore del risparmio gestito,
quindi la più ampia comunità di investitori, si trova ad affrontare
la prospettiva di perdite significative dovute agli effetti del
cambiamento climatico. Le attività nelle quali si è investo per
decenni possono essere danneggiate direttamente da inondazioni,
siccità e violente tempeste, ma i portafogli possono anche essere
danneggiati indirettamente attraverso una crescita più debole e
rendimenti più bassi. Il cambiamento climatico è una prospettiva
a lungo termine, probabilmente irreversibile, contraddistinta
da una sostanziale incertezza. Fondamentalmente, però, il
cambiamento climatico è un problema dal rischio estremo: questo
significa che le perdite medie che si possono attendere non sono
l'unica fonte di preoccupazione; al contrario, i valori anomali e gli
scenari particolarmente estremi, rappresentano i fattori ben più
importanti.
Brian Gardner, il curatore del rapporto, ha dichiarato: "Gli investitori attualmente sono di fronte a una scelta difficile. In entrambi i casi sperimenteranno menomazioni alle loro partecipazioni nelle società di combustibili fossili in vista della decarbonizzazione delle politiche industriali degli stati, oppure dovranno affrontare notevoli perdite dovute alla lieve mitigazione del rischio degli imminenti cambiamenti climatici. Tracciare un percorso lontano da queste due opzioni diventa quindi una forte motivazione per investitori a lungo termine, spostando così gli investimenti verso un più redditizio, futuro a basse emissioni".
Il rapporto analizza solo lo stato attuale della regolamentazione e propone iniziative per affrontare in modo più efficace i rischi legati al clima non affrontando i rischi associati ai cambiamenti climatici a carico degli investitori istituzionali a lungo termine.
Leggi il rapporto completo su: “The cost of inaction”. Recognising the value at risk from climate change