Ondate di calore, Mercalli: "Effetto del riscaldamento globale, sarà così anche in futuro"
Il climatologo: "Fino al 2003 potevano essere eventi isolati, ma poi anche il 2009 e il 2012 sono stati roventi e adesso luglio 2015 più che mai. Ci aspettano estati analoghe, ma purtroppo era tutto previsto"
05 August, 2015
Dopo il luglio più caldo mai registrato da quando si eseguono osservazioni strumentali nel nostro Paese, con un’anomalia di circa +3,6 gradi centigradi sopra la media del periodo di riferimento (1971-2000) , l’inizio di agosto non è da meno: giovedì 6 il Ministero della Salute ha messo il bollino rosso su nove città, mentre altre cinque sono segnate con il bollino arancione, che indica un caldo leggermente inferiore. L'ondata di aria rovente proveniente dal Sahara ha fatto impennare la colonnina di mercurio fino a 37/38° al Nord, al centro e in Campania, con tassi di umidità altissimi che faranno percepire temperature ancora più alte. Un po’ meno caldo nel resto del Sud dove ci saranno rovesci sparsi su Calabria e Sicilia. Una situazione che numerosi studi sui cambiamenti climatici avevano previsto da tempo, anche se i dati raccolti sono stati per lo più inutilizzati a livello di politiche ambientali. Ne abbiamo parlato con il meteorologo e climatologo Luca Mercalli.
Luglio 2015 è stato per l'Italia il più caldo dal 1800 ad oggi. Siamo davanti ad un effetto diretto del riscaldamento globale?
Sì. Questo genere di eventi è tra i fenomeni più evidenti. Fino all’estate del 2003 potevamo essere davanti ad eventi isolati, ma poi anche il 2009 e il 2012 sono stati roventi e adesso luglio 2015 più che mai. Senza contare che c’è ancora agosto, che sembra seguire la stessa tendenza. Peraltro sono tutti eventi previsti da scenari sul cambiamento climatico prefigurati 20 anni fa.
In una recente intervista dicevi proprio
che numerose agenzie scientifiche producono da tempo una documentazione enorme
sul futuro del clima, usata però da pochi. Penso in primis ai governi…
Be’ generalizzare è sempre difficile, dipende da quali governi si parla. Ad esempio in Italia questa mole di studi si usa pochissimo. Renzi lo senti mai parlare di pianificazione climatica? Direi di no. Abbiamo depositato al Ministero dell’Ambiente un documento che si intitola “Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici” ma come altri lavori è rimasto in un cassetto. Il governo ne è consapevole ma alla fine il tema non entra mai nella programmazione politica. Renzi ama di più parlare di trivelle che di cambiamento climatico ma d’altra parte se fossi una persona davvero preoccupata per il clima non sosterresti mai il programma delle trivellazioni.
Ci sono altri paesi invece come la Svizzera, la Germania, i paesi Scandinavi in cui i dati sul cambiamento climatico entrano davvero nella politica. Tutta la loro politica energetica è basata su questo. La Francia si è messa su questa stessa lunghezza d’onda da poco, diversamente da quanto facesse qualche anno fa, e ha assunto seriamente il proprio ruolo di guida sul clima, tant’è che la Cop 21 di fine anno si terrà a Parigi. Sono anni luce avanti rispetto all’Italia.
Del piano di riduzione delle
emissioni presentato da Obama qualche giorno fa cosa pensi?
Per ora sono parole, belle parole d’accordo, ma si tratta di dichiarazioni che ho sentito più volte. In tanti ad esempio accusano Obama che mentre parlava di ridurre del 30% le emissioni di co2 entro il 2030 autorizzava il fracking in tutti gli Stati Uniti e l’oleodotto dell’Alaska. La Cop 21 di dicembre sarà un evento importante, lì vedremo cosa dirà ma vedremo anche cosa diranno tanti altri governi, che saranno chiamati a rivelare le proprie intenzioni. Poi eventualmente potremo pure felicitarci. Il numero stesso dice tutto: Cop 21, sono ventun’anni che ci si riunisce. Speriamo sia la volta buona.
Tornando al caldo, dobbiamo aspettarci
sempre più ondate di calore estive nel futuro?
Sì. Ne parlavamo già nel 2003, dicevamo esattamente le stesse cose che stiamo dicendo adesso e tutto sta accadendo come previsto. Si continuano a verificare record di caldo e non di certo record di freddo.
In alcune occasioni hai parlato di
zone del pianeta che diventeranno invivibili per gli effetti del riscaldamento
globale, creando numerosi profughi climatici. I luoghi più a rischio?
Ci sono due tipologie fondamentali di fenomeni di “fuga” da un territorio per condizioni di vita insostenibili. La prima si verifica già in alcuni paesi ed è legata soprattutto alla produzione alimentare, come ad esempio nel Corno d’Africa, dove la prolungata siccità ha creato una carestia di enormi proporzioni che costringe le persone abbandonare le proprie terre in cerca di condizioni di vita migliori. La causa di quest’emergenza umanitaria non è solo l’evento climatico estremo, ma contribuiscono ovviamente anche altre cause, conflitti, politiche agricole, effetti dell’economia globale, eppure una parte di problema climatico c’è sempre.
L’altra tipologia riguarda invece fenomeni più a lungo termine, come ad esempio in Bangladesh, dove l’aumento del livello del mare comprometterà la vita di milioni di persone entro pochi decenni o le isole Carteret in Papa Nuova Guinea quasi completamente sommerse.
Una recentissima ricerca delle università di Yale,
Massachusetts, Columbia e Utah dice che il 40% delle persone nel mondo non ha
mai sentito parlare di cambiamento climatico. Ti sorprende?
No assolutamente, ci sono paesi in cui il primo problema è sopravvivere. Mi sorprendono molto di più quelli che in Italia ti guardano inebetiti quando gliene parli, anche se ultimamente la maggior parte delle persone mi sembrano informate. Più che altro c’è ancora chi si chiede: “Ma è vero che ci sono problemi dovuti al cambiamento climatico in atto?”, come se non si capacitassero che sia qualcosa di reale ma fino ad ora avessero assistito solo ad un film.
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