Novamont: la bioeconomia deve diventare un’economia di sistema
Per Catia Bastioli si può parlare di bioeconomia, solo se è davvero legata al territorio. "lI mercato bioshopper in Italia varrebbe 1 miliardo di euro, se non fosse per i sacchetti illegali", aggiunge l'AD Novamont, nelle giornate milanesi de "Il potere del limite"
12 September, 2015
di Stefano D'Adda
L’intenso fine settimana milanese di Novamont - conferenza stampa di giovedì 10 al Grand Visconti Palace di viale Isonzo, più il doppio appuntamento tra giovedì e venerdì alla Cascina Cuccagna - non è stata per il gruppo novarese solo l’occasione per il lancio dei nuovi loghi, Novamont e Mater-Bi, ma soprattutto l'occasione per proporre a più interlocutori un nuovo corso per l'economia verde italiana, ben sintetizzato dallo slogan principale dei convegni ed incontri di questi giorni. “Il potere del limite”, la sfida ambientale (ossia accettare l'ambiente come limite) come motore dell’innovazione sociale. Quindi, va bene Green Economy, tuttavia nel senso di un capitalismo che incorpori il “limite ambientale” nel suo processo e ne faccia motore di un nuovo ciclo, che ridisegni l’economia, dai prodotti ai sistemi.
Novamont, nata nel 1990 dal centro di ricerca Fertec, costola dell’allora colosso della chimica italiana Montedison, oggi è un gruppo societario leader internazionale nel suo settore, con un portafoglio di 1000 brevetti e impegnato in tre ambiti chiave della bioeconomia: la produzione di bioplastiche e biochemicals, con materie prime ottenute in Italia, grazie all’integrazione tra chimica, agricoltura (rigenerando terreni abbandonati) e ambiente; la gestione del rifiuto organico con il CIC, Consorzio Italiano Compostatori, e i sempre più numerosi Comuni che lo riciclano, capeggiati da Milano; la presenza nella rete elettrica nazionale, grazie alle produzione di energia dalle biomasse.
Perni di quest’innovazione sono soprattutto le bioraffinerie di terza generazione - o integrate – nate dalla riconversione di siti industriali non più competitivi, come lo stabilimento petrolchimico di Porto Torres (SS); poi le bioplastiche, come quelle della famiglia Mater-Bi, create utilizzando componenti vegetali, come l’amido di mais, e polimeri biodegradabili ottenuti sia da materie prime rinnovabili, che di origine fossile. Ed è proprio grazie al Mater-Bi che Novamont è diventata leader nella produzione di bioshopper, le buste in bioplastica compostabile, da tempo obbligatorie per legge in Italia, ma ancora pesantemente limitate dal mercato illegale dei sacchetti in plastica. “Quello dei bioshopper è un settore che oggi in Italia vale 450 milioni di euro, ma potrebbe valere 1 miliardo, se in tante Regioni la regola non fosse ancora il sacchetto fuorilegge. Un mercato che oltretutto toglie soldi al fisco perché tutto in nero”, ha dichiarato l'AD Novamont Catia Bastioli, durante la conferenza stampa di giovedì 10 settembre. “Per noi” – aveva premesso la Bastioli – “la bioeconomia dev’essere per forza legata al territorio e deve diventare un’economia di sistema, non più solo di prodotto. Il nostro collegamento col territorio è essenziale: Regioni, aziende agricoli, istituti di ricerca …”.
Novamont ha tra l'altro ricordato come, con il recupero del rifiuto organico, l’azienda sia stata la prima a valorizzare qualcosa che sino a qualche anno fa finiva totalmente in discarica. “Oggi diviene energia grazie ai biogas e soprattutto fertilizzante di ottima qualità, in un Europa del sud che ha sempre più problemi di desertificazione del territorio”, ha dichiarato ancora Catia Bastioli, ricordando come dal 2006 al 2014 in Italia la raccolta di rifiuto organico sia più che raddoppiata e come Milano sia la città che raccoglie la maggiore quantità di umido pro/capite al mondo.
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