Individuare le emissioni nocive con le immagini del satellite
Alcuni scienziati e ricercatori universitari che lavorano alla NASA, e alll’Environment and Climate Change Canada hanno individuato le fonti di emissioni di biossido di azoto tossiche
08 June, 2016
Nocivo per la salute e responsabile delle piogge acide, il biossido di zolfo è uno degli inquinanti tenuti sotto controllo dalla Environmental Protection Agency americana. Al momento, le fonti di questa sostanza sono soltanto presunte, attraverso l'elaborazione di invnetari e di fattori potenzialmente pericolosi collegati, come l’utilizzo di carburante. Gli inventari, inoltre, sono utilizzati per valutare l’efficacia delle politiche per migliorare la qualità dell’aria e anticipare i possibili scenari futuri che potrebbero delinearsi in seguito alla crescita economica e demografica. Tuttavia, per sviluppare inventari accurati ed esaustivi, le industrie, le agenzie governative e gli scienziati prima di tutto devono sapere dove sono situate le fonti di inquinamento. “Adesso abbiamo un sistema di misurazione indipendente delle fonti delle emissioni nocive che non si basa soltanto su quanto sapevamo o credevamo di sapere”, ha dichiarato Chris McLinden, studioso dell’atmosfera che lavora con Environment and Climate Change Canada a Toronto, autore di una ricerca pubblicata su Nature Geosciences. “Guardando l’immagine delle emissioni di biossido di zolfo trasmessa da un satellite si nota che appare concentrato in alcune aree e questo rende più semplice effettuare una stima delle emissioni”.
Le 39 fonti di emissioni nocive scoperte attraverso l’analisi dei dati forniti dal satellite dal 2005 al 2014 sono grappoli di centrali elettriche alimentate a carbone, fonderie, zone petrolifere nel Medio Oriente, in Messico e in alcune zone della Russia. In più, le presunte emissioni che provenivano da fonti conosciute erano in alcuni casi due o tre volte più basse rispetto alle stime basate sulle immagini satellitari. Nell’insieme, le fonti presunte e non presunte ammontano a circa il 12 per cento di tutte le emissioni di biossido di zolfo create dall’uomo, una discrepanza che può avere un impatto forte sulla qualità dell’aria locale, ha dichiarato McLinden.
La squadra di ricerca ha individuato anche 75 fonti naturali di biossido di zolfo, vulcani inattivi che rilasciano lentamente gas tossico. Anche se non sono necessariamente sconosciuti, molti vulcani si trovano in località remote che non vengono abitualmente monitorate e l’utilizzo delle immagini satellitari permette per la prima volta di avere informazioni regolari su queste emissioni vulcaniche passive. “Quantificare i fulcri del biossido di azoto è un processo in due fasi che non sarebbe stato possibile senza l’introduzione di due nuovi elementi nell’utilizzo dei dati forniti dal satellite”, ha affermato il co-autore dello studio Nickolay Krotkov, uno studioso dell’atmosfera della NASA. Il primo consiste in un miglioramento del processo computerizzato che trasforma le osservazioni grezze effettuate con le strumentazioni danesi-finniche su un satellite NASA in stime precise sulla concentrazione di biossido di azoto. Krotkov and la sua squadra adesso possono individuare piccole concentrazioni di biossido di zolfo, incluse quelle causate da fonti umane. McLinden e i suoi colleghi hanno utilizzato un nuovo software per cogliere con maggiore precisione il biossido di zolfo che è andato disperso e diluti dai venti. Hanno poi utilizzato un modello già sfruttato per i satelliti per tracciare l’inquinante fino alla sua fonte e valutare quanto biossido di zolfo venisse emesso. Lo straordinario vantaggio dei dati satellitari è data dalla copertura spaziale”, ha detto Bryan Duncan, studioso dell’atmosfera a Goddard. “I dati migliorati che arrivano dal satellite insieme alle nuove tecniche di analisi ci consentono di identificare anche le fonti più piccole di inquinamento e di quantificare le emissioni in tutto il pianeta”.
L’Università del Maryland, College Park, e la Dalhousie University a Halifax, Nova Scotia, hanno collaborato a questo studio.
Fonte: sciencedaily.com
Traduzione: Laura Tajoli