Greenpeace: troppa plastica nel piatto, dai pesci ai frutti di mare
Il nuovo rapporto dell'associazione "offre indicazioni allarmanti sugli impatti delle microplastiche su vari organismi marini, tra cui diverse specie di pesci e molluschi comunemente presenti nei nostri piatti, anche se gli effetti sulla salute umana sono ancora troppo poco studiati"
29 August, 2016
Sempre più plastica viene ingerita dagli organismi marini e può risalire la catena alimentare fino ad arrivare nei nostri piatti. Lo denuncia un nuovo rapporto "La plastica nel piatto, dal pesce ai frutti di mare" realizzato dai laboratori di ricerca di Greenpeace, che raccoglie i più recenti studi scientifici sugli impatti delle microplastiche, incluse le microsfere, sul mare e quindi su pesci, molluschi e crostacei. L'associazione ambientalista afferma che "si stima che ogni anno arrivino in mare otto milioni di tonnellate di plastica: che siano microsfere o frammenti dovuti alla degradazione di altri rifiuti (imballaggi, fibre o altro)".
"La presenza di frammenti di plastica negli oceani è un problema noto da tempo ma in crescita esponenziale - rileva Greenpeace - Una volta in mare, gli oggetti di plastica possono frammentarsi in pezzi molto più piccoli, e diventare microplastica. Un caso a parte sono le microsfere: minuscole sfere di plastica prodotte apposta per essere usate in numerosi prodotti domestici (cosmetici e altri prodotti per l'igiene personale)". Greenpeace Italia chiede al Parlamento "di adottare al più presto il bando alla produzione e uso di microsfere di plastica nel nostro Paese: su iniziativa dell'associazione Marevivo è stata già presentata una proposta di legge. Si tratta di una misura precauzionale, al vaglio in numerosi Paesi, necessaria per fermare al più presto il consumo umano di questi materiali".
L’ingestione di microplastiche da parte di organismi marini è ampiamente documentata: sono
almeno 170 gli organismi marini (vertebrati e invertebrati) che certamente ingeriscono tali frammenti.
Un recente studio condotto su 121 esemplari di pesci del Mediterraneo centrale, tra cui specie commerciali come il pesce spada, il tonno rosso e tonno alalunga, ha identificato la presenza di
frammenti di plastica nel 18,2 per cento dei campioni analizzati. Analogamente, studi condotti su 26
specie di pesci delle coste atlantiche portoghesi hanno evidenziato la presenza di microplastiche nel
19,8 per cento dei campioni di pesci analizzati: i quantitativi più elevati sono stati ritrovati nel lanzardo
(Scomber japonicus) una specie simile allo sgombro e presente sul mercato italiano. Un altro studio
sugli scampi (Nephropos norvegicus) ha dimostrato la presenza di frammenti di plastica nello
stomaco dell’83 per cento degli esemplari raccolti lungo le coste britanniche.
Come evidenziato da numerosi studi in laboratorio, l’ingestione di microplastiche può generare sugli organismi marini due tipi di impatti differenti: di natura fisica (ad esempio lesioni agli organi dove avviene l’accumulo) e chimica (trasferimento e accumulo di sostanze inquinanti). In esperimenti condotti su spigole (Dicentrarchus labrax) nutrite con frammenti di PVC per 90 giorni, sono stati evidenziati danni di natura fisica, come lesioni al tratto intestinale, sia in individui nutriti con frammenti di plastica contaminata sia in animali nutriti con plastica non contaminata. I risultati di questo studio suggeriscono che la sola ingestione di microplastica, indipendentemente dal contenuto di sostanze tossiche, può generare gravi impatti negativi sulla specie presa in esame.
Considerando che le microplastiche sono presenti in diverse specie ittiche consumate normalmente dall'uomo, è verosimile che con l’alimentazione se ne possano ingerire, anche se gli studi sul possibile effetto tossicologico negli esseri umani sono ancora agli albori. Tuttavia ad oggi sono stati identificati una serie di problemi (ancora oggetto d’indagine) che potrebbero derivare dall’ingestione di microplastiche tramite prodotti ittici contaminati: dalla diretta interazione tra le microplastiche e i nostri tessuti e cellule, fino a un ruolo come fonte aggiuntiva di esposizione a sostanze tossiche. Considerando che molti degli additivi e contaminanti associati alle microplastiche sono pericolosi per la salute umana e per l’ambiente , questo aspetto rimane una delle principali aree su cui concentrare le ricerche in futuro.