La figura del mobility manager in Italia. Il caso di Arpa Piemonte
L'intervista di Arpa Piemonte a Domenico De Leonardis, mobility manager dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente piemontese in vista della European mobility week
13 September, 2016
A pochi giorni della European mobility week, ribattezzata in Italia Settimana della mobilità sostenibile, l'Arpa Piemonte pubblica sul suo sito una intervista al suo mobility manager Domenico De Leonardis. Una figura, quella del mobility manager, sconosciuta al grande pubblico ma il cui ruolo è fondamentale per rendere efficiente e sostenibile il tragitto casa – lavoro.
Quando è stata istituita la figura del mobility manager in
Italia?
Il mobility manager nacque sulla spinta
dell'emergenza smog che si ebbe nelle principali città italiane sul
finire degli anni ‘90. Il ministro dell'epoca, Ronchi, stabilì nel
1998 che ogni organizzazione con più di 800 dipendenti, o con unità
operative superiori ai 300 dipendenti,dovesse individuare un
responsabile della mobilità aziendale. Il decreto introduceva anche
la figura del mobility manager d’area che avrebbe avuto un ruolo −
presso i comuni, le provincie e le regioni − di promozione, di
formazione e di coordinamento tra le aziende e amministrazioni
pubbliche.
Qual era l’obiettivo?
L'idea di fondo di chi
introdusse questa figura, sulla base di esperienze estere, era di
agire sul fronte del governo della domanda di mobilità senza
intervenire sul lato dell'offerta (come per esempio la costruzione di
nuove strade o la realizzazione di nuove linee di trasporto
pubblico). Gli spostamenti casa-lavoro (così come quelli
casa-studio) sono cosiddetti sistematici perché sono programmabili e
costanti per gran parte dell'anno quindi hanno buona possibilità di
trovare soluzioni diverse dall'auto privata. L'obiettivo del mobility
manager è quindi favorire il cosiddetto "split modale":
ridurre la percentuale d'uso dell'auto in favore di altre soluzioni.
In cosa consiste esattamente il compito del mobility manager
d’azienda?
Il mobility manager è l'interfaccia tra i
vertici dell'azienda e i lavoratori, deve analizzare la mobilità di
questi ultimi redigendo un piano degli spostamenti casa-lavoro,
programmando di conseguenza gli interventi, cercando di
disincentivare l'uso del mezzo privato del singolo dipendente in
favore di soluzioni di trasporto collettivo o dell'uso della
bicicletta o di forme di condivisione dei mezzi di trasporto
(carsharing e carpooling).
Ha avuto successo questa iniziativa del legislatore?
Questa
figura ha avuto, negli anni successivi alla sua introduzione, una
vita travagliata tra l'obbligo di legge e nessun incentivo dato alle
aziende private e agli enti pubblici. Il traffico e l'inquinamento
infatti sono classiche esternalità negative che è difficile
imputare a chi le produce anche se i suoi effetti ambientali, sociali
ed economici sono ormai noti anche all'opinione pubblica. È il
settore dove è necessario un ruolo del soggetto pubblico di
coordinamento, di stimolo, di prevenzione. Il decreto Ronchi ha
fallito soprattutto nel tentativo di coordinare queste figure a
livello urbano con i cosiddetti mobility manager d’area, figure
praticamente inesistenti o di breve durata. Questo anello debole si
ripercuote sulla capacità delle singole organizzazioni di mettere in
campo iniziative con gli altri operatori economici.
E all’estero qual è la situazione?
Per fare un
paragone, nella vicina Francia le aziende pagano una eco-tassa sui
trasporti pubblici. È una cosiddetta tassa di scopo che si paga alle
regioni in virtù dell’impatto che le varie aziende determinano sul
territorio spostando merci e persone. La regione ha l’obbligo di
utilizzare questi fondi per potenziare il sistema di trasporto
pubblico, mentre le aziende hanno un ulteriore obbligo di incentivare
economicamente il trasporto collettivo presso i dipendenti. Domanda
di trasporto e relativa offerta, in questo caso, si autoalimentano e
i dati lo confermano: la Francia ha 496 auto ogni 1000 abitanti
mentre l’Italia ne registra 621.
Qual è la diffusione sul territorio italiano di questa
figura?
Tranne qualche eccezione sporadica e di breve
durata, molte aziende e organizzazioni hanno inserito le loro
politiche di mobility managment quando hanno scoperto il valore della
cosiddetta responsabilità sociale e hanno introdotto alcuni servizi
per i propri dipendenti all'interno delle politiche più ampie di
welfare aziendale. È questo per esempio il caso degli incentivi
all'acquisto degli abbonamenti del servizio pubblico di trasporto, la
promozione del telelavoro (che evita mobilità aggiuntiva), la
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Non si riscontra oggi un’inversione di tendenza?
In
effetti sono in atto cambiamenti da segnalare. Come ho accennato
l’offerta di soluzioni di trasporto pubblico si sta ampliando
soprattutto nelle grandi città. Nuovi operatori privati e soluzioni
“smart” stanno facendo crollare il mito dello spostamento in auto
(e del suo possesso). Questa tendenza è stata colta dal legislatore
di recente e sono da segnalare due novità. La prima è il
riconoscimento dell’infortunio in itinere in bicicletta, un
ostacolo sostanziale nella promozione da parte del datore di lavoro
(e di conseguenza del mobility manager che ne deve eseguire il
mandato) di politiche “bike friendly” fino ad oggi in contrasto
con gli aspetti di tutela e sicurezza del lavoratore. La seconda
novità è la riscoperta della figura del mobility manager tant'è
che il nuovo collegato ambientale prevede l'introduzione di essa
all'interno degli istituti scolastici.
Dopo questa panoramica parliamo ora del suo caso. Quando è
stato nominato?
La mia nomina risale al 2011. Le prime
azioni di mobility managment sono state però realizzate già nel
2008 da parte del collega Massimo Boasso. L’introduzione di questa
figura, almeno qui in Piemonte, è stata favorita da una misura
regionale di cofinanziamento dei titoli di trasporto pubblico. L’ente
o azienda che voleva godere di questo contributo doveva nominare un
responsabile della mobilità aziendale e redigere un primo piano
spostamenti casa-lavoro.
In cosa consiste il suo incarico?
Mi occupo di
favorire la mobilità dei colleghi tra casa e lavoro cercando di
disincentivare l’uso del mezzo privato. L’azione più concreta,
resa possibile dalla sensibilità dell’amministrazione, è il
cofinanziamento degli abbonamenti annuali per i mezzi pubblici. Altre
misure consistono nel favorire la mobilità ciclabile rimuovendo
quegli ostacoli interni all’uso della bicicletta, ostacoli
ovviamente più culturali che fisici. Ci sono poi delle competenze
come quelle relative al telelavoro che investono il lavoro di altri
colleghi. Dal 2015 gestisco anche il parco auto aziendale.
Quali sono le attività che è riuscito a intraprendere?
Il
cofinanziamento coinvolge annualmente una platea di beneficiari che è
attorno alle 110 persone. Gran parte di questi colleghi lavorano a
Torino presso la sede centrale dell’Agenzia dove si raggiunge la
quota del 22% di dipendenti che utilizzano i mezzi pubblici. Per chi
non ha mai usufruito del mezzo pubblico il finanziamento copre il 60%
del costo dell’abbonamento per il primo anno, per poi ridurre
gradualmente il contributo. Inoltre, chi si reca a riunioni di lavoro
può richiedere un biglietto del servizio pubblico.
Sono state organizzate iniziative dedicate ad incentivare l’uso
della bicicletta?
È stato realizzato un parcheggio
custodito con telecamere e chiave con 40 posti per biciclette nella
sede di Torino (che peraltro da circa un anno è servita anche dal
bikesharing della Città). Ciclicamente sono stati organizzati
incontri con alcune ciclofficine locali per mantenere in ordine le
proprie biciclette. Abbiamo messo a disposizione un kit per le
riparazioni di emergenza con il contributo di un collega in grado di
intervenire per piccoli problemi meccanici.
In alcuni casi, come per la sede di Grugliasco abbiamo avuto incontri con esperti incaricati dalla Città Metropolitana di Torino per superare alcune situazioni critiche di attraversamento e raggiungimento della sede.
Ultimamente Arpa sta partecipando alle varie iniziative nazionali di promozione del “bike to work”. Quest’anno per esempio aderiremo al Love to Ride organizzato da FIAB. E l’orgoglio dei ciclisti in questi casi si accende perché per dei tecnici dell’ambiente la missione professionale incontra il comportamento responsabile individuale di cittadino.
Ha un sogno nel cassetto?
Mi piacerebbe non sentire
più quella frase dei colleghi “tra un po’ iniziano le scuole e
dovrò dire addio alla bici” ma in questo caso più che a lavorare
sulla flessibilità degli orari di ingresso serve un salto di qualità
e ripensare alcuni servizi cittadini.
Fonte: Arpa Piemonte