Moda e ambiente, Dunia Algeri e il suo atelier sostenibile
Intervista a Dunia Algeri creativa e designer che, dopo le importanti esperienze con Diane Von Furstenberg e Gucci, ha creato un brand di lusso e sostenibile che si contrappone alla filosofia del fast fashion
06 April, 2017
Non è una novità che il mondo della moda e dell'abbigliamento stia acquisendo sempre più consapevolezza su quanto i loro processi produttivi incidano significamene sull'ambiente. In un mondo dove il fast fashion è diventato la norma, e dove la stragrande maggioranza delle aziende ha delocalizzato la produzione in paesi dove l'attenzione nei confronti dell'ambiente e dei diritti dei lavoratori e decisamente inferiore agli standard europei. Intanto le nuove leve della moda italiana stanno abbandonando i tradizionali schemi di produzione, preferendo un approccio diverso quasi agli antipodi, che premia la sostenibilità ambientale e il 'Made in Italy' non solo durante la fase creativa ma anche quella produttiva.
Per capire meglio cosa davvero pensano i nuovi stilisti italiani e quanto sia sostenibile il futuro della moda, abbiamo intervistato Dunia Algeri creativa e designer che, dopo le importanti esperienze con Diane Von Furstenberg e Gucci, nel 2015 ha creato un brand di lusso che si contrappone alla filosofia del fast fashion nella convinzione che “le cose migliori nella vita hanno bisogno di tempo”.
Nelle tue collezioni come è maturata la scelta di non inseguire le dinamiche del 'fast fashion' e concentrarti in quelle “su ordinazione” e quindi su misura, preferendo la qualità e la razionalizzazione delle materie prime, e gioco forza anche del processo produttivo e delle risorse, anche nel rispetto dell'ambiente?
L'idea di distaccarmi completamente dal fast fashion è stata chiara fin da subito nel mio progetto; volevo infatti creare un brand che fosse a cavallo tra passato e futuro, dove il presente del fast fashion non è mai stato oggetto di interesse. Un passato raccontato dal fatto a mano in Italia da artiste artigiane e un futuro racchiuso in una materia prima ancora poco conosciuta quale il baby alpaca; il collegamento tra i due mondi risiede nella personalizzazione dei capi come si faceva una volta e come si tornerà a fare. Ho voluto così offrire capi senza tempo, cuciti su misura del cliente e dalla qualità eccelsa.
Trovo il concetto di fast fashion ormai agli sgoccioli, sia per gli sprechi che si creano, sia perché il consumatore richiede sempre di più esclusività quando acquista. L'acquisto compulsivo sta lasciando il posto ad un acquisto ragionato e pensato, calibrato sui gusti personali e sulle esigenze.
Quando mi chiedono perché comprare un capo DAA, io non rispondo perché 'domani non lo troverai più in vendita' ma perché 'domani lo indosserai ancora'.
Secondo te quanto le nuove generazioni di stilisti guardano alla sostenibilità ambientale durante la progettazione e realizzazione delle proprie creazioni? Da dove proviene questa attenzione: si apprende durante il personale percorso di formazione? O concorrono altre dinamiche?
Sicuramente al giorno d'oggi la sostenibilità è un tema molto sentito e penso che sia un punto cardine per molti giovani, Maglioni da uomostilisti e non. L'attenzione e la sensibilità nei confronti dell'ambiente deriva in parte dal percorso personale di formazione ma nasce anche come sfida che motiva i giovani designer: creare del bello facendo del "bene". Inoltre essere sostenibili significa anche essere avanguardisti e quindi andare alla ricerca di materie prime e risorse innovative che rendono il processo creativo ancor più stimolante. Sono fermamente convinta però che per abbracciare a 360 gradi questa causa sia necessario credere davvero in quello che si fa e leggere la sostenibilità in ogni sua sfumatura, anche quelle più marginali e indirette. Ad esempio nel mio caso quanta acqua beve un alpaca a confronto di una capra da cashmere?
Nella tua seconda collezione quali sono stati i criteri e/o le scelte di sostenibilità ambientale che hanno guidato il processo creativo e quello di realizzazione?
La scelta sostenibile che ha maggiormente guidato il mio percorso creativo e produttivo è senza dubbio la scelta della materia prima ovvero del Baby Alpaca. Sapevo fin da subito di non volermi "accontentare" di un materiale già conosciuto e sfruttato in ogni sua forma e colore. Dopo un'intensa ricerca sono approdata a questo filato dalle qualità incredibili utilizzato fin dal tempo degli Inca; il processo di lavorazione rispetta in ogni sua fase l'ambiente e l'animale stesso ha un impatto nettamente inferiore sul terreno e sulle risorse d'acqua rispetto ad altri animali da lana. A completare questo quadro è il mio fornitore peruviano che tratta Baby Alpaca dal 1890, facendo di questo lavoro una vera e propria missione al fine di allevare questi animali in modo etico. Sicuramente anche l'aver scelto irremovibilmente il fatto a mano in Italia e la produzione "made to order" senza magazzino (e quindi senza sprechi) hanno influito sull'intero processo di realizzazione del brand.
La moda ha un futuro sostenibile?
Si, ne sono convinta soprattutto perché è stato dimostrato che sostenibile non significa di "povera qualità" oppure di "brutta estetica", anzi! Sono molto contenta che grandi brand come HM, Adidas, Stella McCartney utilizzino materiali di riciclo e/o sostenibili perché loro possono veramente iniziare a fare la differenza e le loro azioni hanno impatto sui comportamenti sia del consumatore finale sia di piccoli brand emergenti che guardano ai grandi colossi come a degli esempi da seguire. Spero però che questo futuro sostenibile abbia basi solide e reali e che non sia solamente dettato dalle mode del momento. La moda ha un futuro sostenibile se il sostenibile non è solo una moda.