Il ruolo dell'economia circolare nella riduzione dei rifiuti marini
Leggi, azioni di sensibilizzazione, buone pratiche e ricerca per contrastare la presenza di plastiche e microplastiche nei mari. Istituzioni ed esperti si confrontano all'Ecoforum di Roma sulle molteplici declinazioni dell'economia circolare
22 June, 2017
Istituzioni ed esperti si sono confrontati all'Ecoforum di Roma sulle molteplici declinazioni dell'economia circolare, condividendo studi, ricerche e buone pratiche che hanno come obiettivo la riduzione dell'inquinamento, il riciclo dei materiali e soprattutto l'abbandono definitivo dell'economia lineare. I tempi sembrano maturi per l'avvio delle nuove filiere del paradigma circolare da alimentare con le risorse sottratte al regime dei rifiuti, altrimenti si rischia di rimanere intrappolati nei dibattiti.
Il passaggio concreto e diffuso all'economia circolare non può che avere un ruolo fondamentale anche per la riduzione dei rifiuti marini, in particolare plastica, microplastica e microfibre. L'84% dei rifiuti monitorati da Legambiente - attraverso le iniziative di citizen science - è costituito da materiale plastico e nella top five stilata dalla stessa associazione si trova di tutto, dai tappi di plastica alle vecchie schede telefoniche, mozziconi di sigarette, bastoncini per le orecchie e deodoranti per il wc. Rifiuti marini? Rifiuti che produciamo nelle nostre case e che attraverso gli scarichi e una gestione dei rifiuti non a norma finiscono nei corsi d'acqua e dunque anche nei mari. Precisa Serena Carpentieri di Legambiente.
Ma il problema più più grande è rappresentato dai frammenti di plastica, dalla microplastica contenuta nei cosmetici e nei prodotti per l'igiene personale e dalle microfibre.
Loris Petrelli, ricercatore Enea (Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie e lo sviluppo economico sostenibile), spiega come quello che un tempo era considerato un punto di forza per la diffusione della plastica ora è invece un problema per l'ambiente. "I materiali polimerici sono indistruttibili e per questo li troviamo in giro per i mari. La macroplastica con il tempo si degrada e si frammenta e insieme alla microplastica e alle microfibre non trattenute dagli impianti di depurazione può entrare nella catena alimentare." L'anno scorso, partecipando alla campagna di Legambiente "Goletta verde", Enea ha monitorato la plastica nei mari italiani e attraverso la caratterizzazione dei materiali polimerici raccolti è stato possibile constatare che per lo più si tratta di materiali di tipo termoplastico che si possono modellare con il calore e dunque si possono riciclare. "Ma non si può non tenere conto dei costi ambientali di queste operazioni. Sarebbe meglio non produrre rifiuti".
Maria Cristina Fossi dell'Università di Siena sostiene che “non sappiamo ancora se nel Mediterraneo esistono aree di accumulo di plastiche ma è certo che la plastica inquina i mari con effetti tossicologici, generando stress multipli sugli organismi degli oceani e possibili conseguenze sulla pesca e sulla salute umana." E propone di affrontare il problema del marine litter con lo stesso approccio che caratterizza il loro progetto “Plastic Busters”, ovvero con azioni che coinvolgano l'area di bacino, partendo dalla diagnosi e identificando le soluzioni. E tra queste prospettano la possibilità, in collaborazione con Novamont, di sostituire la plastica con materiali biodegradabili da usare nell'acquicoltura.
Silvia Velo, Sottosegretario di Stato, Ministero dell'Ambiente, nel suo intervento oltre a elencare le azioni messe in campo dal Governo per contrastare il marine litter, ci tiene a precisare che il passaggio verso l'economia circolare ha bisogno della partecipazione di tutti "bisogna uscire dalle buone intenzioni, occorre fare massa critica e cogliere l'occasione offerta da questa nuova rivoluzione industriale". Bisogna fare in modo che l'economia circolare si applichi non solo al riciclo dei materiali ma anche alla progettazione perché sia responsabile e sostenibile favorendo l’immissione sul mercato di manufatti non inquinanti. Attribuisce alla diffusione dei messaggi sui rifiuti marini una forte valenza evocativa in grado di attirare l'attenzione del cittadino medio sulla quantità dei rifiuti galleggianti nei mari. Ma ovviamente non basta. Se i paesi della comunità europea stanno attuando la direttiva europea sulla strategia marina, bisogna continuare a coinvolgere i paesi del nord Africa e collaborare costantemente con l'UNEP (il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente). E ricorda il disegno di legge in discussione al Senato che oltre a disciplinare un marchio italiano di qualità ecologica con la certificazione biologica per i cosmetici, dal 2020 dovrebbe vietare la commercializzazione di cosmetici e prodotti per l'igiene personale contenenti microplastiche.
Sulla necessità di ripensare alla produzione e alla progettazione dei prodotti offerti ai consumatori è d’accordo anche Raffaele Tiscar, Capo di Gabinetto del Ministero dell’Ambiente. “L’economia circolare valorizza la materia prima seconda e il rifiuto è residuale rispetto alle risorse che possono alimentare le nuove filiere industriali. Questo passaggio sarà possibile anche grazie al ruolo del legislatore chiamato a definire la fase “end of waste” che può dare un contributo importante per superare la strettoia che ci porta a pensare all’economia circolare come l’economia dei rifiuti”. Immagina un lungo periodo di transizione prima di arrivare "all'economia del futuro passando attraverso un sistema che garantisca condizioni di salubrità e rispetto dell'ambiente nelle fasi di trattamento del prodotto a fine vita e la possibilità di tracciare e certificare i materiali trattati. A vantaggio anche del consumatore che ha la possibilità di apprezzare la bontà di un manufatto che nasce dall'utilizzo delle materie prime seconde, come se fossero le risorse di un giacimento."