Pratiche informali di riuso: perché rimangono in una “zona grigia”?
Antonio Castagna, esperto di economia circolare: “Queste attività informali esistono perché non c’è un pensiero e non esistono pratiche formalizzate per il riutilizzo”
02 October, 2017
La vicenda torinese della dipendente di un’azienda rifiuti “licenziata per un monopattino” riporta alla ribalta le pratiche informali di riutilizzo di beni prelevati dai cassonetti. Per legge non è permesso appropriarsi di un oggetto in un bidone ma il numero di persone che lo fa non è marginale e, nel caso dei rovistatori, questa pratica viene generalmente tollerata. Perché queste pratiche di riuso rimangono confinate in una "zona grigia"? Lo abbiamo chiesto ad Antonio Castagna, esperto di economia circolare: “Queste attività informali esistono perché non c’è un pensiero e non esistono pratiche formalizzate per il riutilizzo. Altrimenti queste azioni informali non ci sarebbero oppure sarebbero più semplici da sanzionare dal punto di vista dell’opinione pubblica. È un serpente che si morde la coda. Oggi il riutilizzo non viene favorito e di fatto, indirettamente, vengono favorite pratiche di appropriazione informali che hanno dei risvolti sia positivi, sia negativi”. E quali sono i diversi aspetti delle pratiche informali del riuso? “L’aspetto positivo - risponde Castagna - è che comunque si rimettono in circolo dei beni. Quello negativo è che viene fatto da operatori che non rispettano regole né di sicurezza né fiscali o sono addetti del soggetto di raccolta che approfittano di una posizione di vantaggio essendo direttamente a contatto con questi beni. Un altro aspetto fortemente negativo, sono i fenomeni di inquinamento che si possono riscontrare nelle pratiche informali di massa fatte dai rovistatori: è il caso delle componenti bruciate nei rifiuti elettronici o l’abbandono dei beni recuperati che non sono riusciti a vendere i rovistatori”. “Occorre però non dimenticare un altro aspetto positivo nell’informalità. Queste pratiche costituiscono un accesso ad un minimo di reddito per fasce svantaggiate. In questo caso viene da domandarsi - conclude Castagna - perché in questa società costringiamo le persone a posizioni in svantaggio tali per cui devono servirsi nei cassonetti?”.