Inceneritori: rischi finanziari e frizioni con programmi di riduzione, riuso e riciclo rifiuti. 'A Copenaghen non sanno cosa bruciare'
Intervista ad Enzo Favoino, coordinatore scentifico di Zero Waste Europe: "Investire oggi sull'incenerimento significa determinare tensioni con i programmi di riduzione, riuso e riciclo del Pacchetto Economia Circolare, per la necessità di assicurare i tonnellaggi previsti nei business plan degli inceneritori. Una cosa di cui in Danimarca si accorsero già nel 2014"
18 November, 2018
di Paolo Hutter
Abbiamo raggiunto Enzo Favoino della Scuola Agraria del Parco di Monza, coordinatore scientifico di Zero Waste Europe, una delle voci più autorevoli circa la gestione rifiuti a livello internazionale, per chiedergli un parere tecnico-scientifico sulla vicenda degli inceneritori in Italia. Ecco che cosa ci ha detto:
Enzo negli ultimi giorni si è
riacceso il dibattito attorno alla necessità di realizzare nuovi
inceneritori.
Sì, e lo abbiamo registrato con
stupore, come ambientalisti e come tecnici che lavorano, a livello
locale, nazionale ed Europeo, sulle prospettive della Economia
Circolare. Un dibattito che pare riavviarsi fuori tempo massimo,
vista l'evoluzione strategica già consolidata in ambito nazionale ed
Europeo ed impressa con ancora maggior forza dalla recente
approvazione del Pacchetto Economia Circolare.
Ravvisate delle
contraddizioni con l'evoluzione della politica ambientale e della
gestione dei rifiuti?
Assolutamente sì: basterebbe
ricordare la Comunicazione della Commissione del 26 Gennaio 2017 sul
ruolo del recupero energetico nell'economia circolare. Un documento
che mette in guardia rispetto ad ulteriori investimenti
sull'incenerimento, segnalando la potenziale frizione tra aumento
progressivo dei tassi di riuso e riciclo, previsti dal Pacchetto
Economia Circolare, e le necessità di assicurare il ritorno degli
investimenti in una tecnologia, come l'incenerimento, che ha sue
rigidità tipiche ed inevitabili. Tanto che già oggi si ha
sovracapacita in molti Paesi UE, ed in diverse aree italiane. Su
questo il documento della Commissione è adamantino: bisogna
sospendere la realizzazione di nuovi inceneritori ed iniziare a
spegnere gli esistenti. Come peraltro ha programmato di fare la
Regione Lombardia con una sua delibera di consiglio regionale
approvata all'unanimità nel 2014, e che definisce una strategia di
'Decommissioning', di spegnimento progressivo degli inceneritori
sovrannumerari. Guarda caso, proprio quelli individuati come
riferimento numerico esemplare dal Ministro degli Interni nelle sue
recenti dichiarazioni.
Nella scorsa consigliatura,
peraltro, la Lombardia era addirittura ricorsa in Corte
Costituzionale contro lo Sblocca Italia proprio per difendere le
proprie prerogative in merito alle strategie di spegnimento, e
liberare il potenziale che in Veneto ha consentito di diventare la
Regione con il più alto tasso di RD: se posso dirlo, proprio per un
ruolo del tutto marginale dell'incenerimento in tale regione. Se la
Provincia di Treviso è l'area del Mondo con il più altro tasso di
RD, e viene visto come modello in tutta Europa, è proprio perché
negli anni '90 decisero di non realizzare gli inceneritori che allora
erano sul tavolo.
Da cosa prende le mosse
dunque la nuova e improvvisa richiesta di inceneritori?
Forse da altre istanze, magari
da necessità di posizionamento politico o dinamiche di discussione
interne alla attuale compagine di governo. Ad ogni modo, valutazioni
che non mi competono, io mi attengo alle valutazioni tecniche,
operative e strategiche, quelle che mi stanno a cuore da cittadino
prima ancora che da tecnico. Investire oggi sull'incenerimento
significa incorrere in rischi finanziari e o determinare tensioni con
i programmi di sviluppo di riduzione, riuso e riciclo, causa la
necessità di assicurare i tonnellaggi previsti nei business
plan degli inceneritori. Una cosa di cui anche in Danimarca si
accorsero già nel 2014 con la nuova strategia "Denmark without
waste: recycle more, incinerate less" che prevedeva la necessità
di una exit strategy dall'incenerimento. Lo stesso nuovo inceneritore
di Copenhagen, Amager Bakke, realizzato in contraddizione con tale
strategia ed in conflitto con le valutazioni dell'allora Ministro dell'ambiente Auken, sta incorrendo in condizioni
estremamente critiche sotto il profilo finanziario, poiché non si sa
letteralmente cosa bruciarci. Situazione esacerbata dalla recente
introduzione della raccolta dell'umido, finalmente se posso
aggiungere, a Copenhagen, sulla base del Modello Milano, come
peraltro a Parigi. Il che la dice lunga sulla possibilità di 'fare
sistema' ed esportare i nostri modelli, di contro ad una esterofilia
che vedo spesso pervadere il dibattito nazionale e senza motivo.
Anche e soprattutto, in tema di inceneritori.
Da coordinatore di una rete
europea, che mi mette al riparo da avvise di sciovinismo, segnalo che
l'Italia è ormai terza in Europa e quarta al mondo per tassi
aggregati di riciclo. Ecco, partire da questa consapevolezza,
diffondere anche nelle aree arretrate del Paese i modelli di
eccellenza presenti in Italia, aiuterebbe ad imprimere con ancora più
forza una accelerazione in tale senso, che fa identità e che in fin
dei conti rispetta quanto previsto nelle politiche internazionali di
settore.
Più nello specifico, le
affermazioni del Ministro dell'interno erano riferite al caso della
Campania.
Vero. Ma questo anzitutto trasla
nel dibattito un fenomeno, la Terra dei Fuochi, che nulla ha a che
fare con i rifiuti urbani, essendo determinato da rifiuti industriali
pericolosi spesso provenienti da altre regioni, e che comunque non
troverebbero in un inceneritore, tantomeno uno realizzato per i
rifiuti urbani di un'altra regione, un terminale desiderato di
conferimento, visto che ci sono altri sistemi di gestione di tali
rifiuti, e destinazioni più prossime. Piuttosto, è auspicabile
quello che chiediamo da sempre, ossia un migliore controllo del
territorio e dei flussi di rifiuti industriali, cosa che rientra
peraltro pienamnente nelle competenze del Ministro. E su questo, che
speriamo sia l'esito degli incontri di questi giorni in Campania, il
Ministro potrebbe esprimersi con maggiore contezza e competenza,
segnalo sommessamente, rispetto alle affermazioni poco ponderate
sugli inceneritori.
Quanto alla dimensione del
ragionamento per il rifiuto urbano, la visione raffigurata dal
Ministro dell'interno disconosce il fatto che il sistema di gestione
dei rifiuti urbani in Campania è ormai sostanzialmente in
equilibrio, come del resto ha ben precisato la Regione stessa nei
suoi comunicati in immediata risposta alle dichiarazioni di Salvini.
Un equilibrio raggiunto grazie
all'aumento della RD, che ha reso la Campania la regione più
avanzata del Centro Sud assieme alla Sardegna, all'impiantistica
esistente di pretrattamento, che consente di rispondere al mandato
della Direttiva 99/31 sulle discariche, ed all'obbligo di
pretrattamento ivi incluso. Un obbligo che lo sblocca Italia ha
erroneamente, e lo diciamo da sempre, trasformato in obbligo di
incenerimento, mentre non è così. Piuttosto, anche qui, rientra
anche e soprattutto nelle competenze del Ministero dell'interno
preservare tali impianti dai ricorrenti incendi, che fanno pensare,
questo sì, ad una strategia preordinato per cercare di rimettere il
sistema in crisi...
Ci sono ancora criticità in
Campania?
Certamente, come in qualunque
Regione d'Italia e d'Europa. In Campania, rispetto al rifiuto urbano,
individuo due criticità ancora da risolvere pienamente: una è
rappresentata dalle ecoballe accumulate in passato, dunque non un
problema che incide sulla gestione dei flussi correnti, che mi pare
la Regione stia affrontando passo passo, spesso inviandole altrove
per trattamenti ed incenerimento. Vale la pena di sottolineare che è
principalmente a questo, e non alla produzione attuale, che si
riferisce in massima parte l' 'esportazione' spesso citata nella
polemica sulla necessità di inceneritori.
Inoltre, vi è ancora una
relativa arretratezza delle Province di Napoli e Caserta, rispetto ai
dati di assoluta eccellenza raggiunti a Benevento, Avellino e
Salerno, che dimostrano l'insussistenza dell'argomento relativo ad
una presunta refrattarietà del Sud verso la raccolta differenziata.
Ecco, considerando che per fare
un inceneritore mediamente ci vogliono 8 anni dalla sua ideazione
alla piena operatività, in quel lasso di tempo, ma anche molto meno,
si può e si deve portare Napoli e Caserta 'a livello' con le altre
Province, che non ci hanno messo secoli a generalizzare il porta a
porta e la raccolta dell'umido. Il che testimonia la fallacia di
qualunque progettualità incentrata sull'incenerimento.
Salvini ha anche parlato di
un inceneritore per Provincia
È la parte più debole del
ragionamento, basta vedere i dati. Benevento produce già oggi meno
di 30.000 t/anno di RUR (rifiuto urbano residuo, ndr) : già senza
considerare gli altri trattamenti esistenti, nessuno si sognerebbe di
investire sull'incenerimento viste le forti diseconomie di scala a
quel livello. 'Un inceneritore per Provincia' era la vecchia idea
dell'allora Ministro Matteoli, stupisce ritornare a logiche
ampiamente superate dalla evoluzione del sistema e dalle evidenze
tecniche, strategiche ed economiche. Come dice la Giunta Regionale di
De Luca, che non è certo un ambientalista d'assalto, il sistema non
richiede nuovi inceneritori.
Ma economicamente se non sono
sovvenzionati da denaro pubblico gli inceneritori che problemi danno?
Il business plan di un
inceneritore, a causa della forte componente del costo di
investimento che determina ingenti costi fissi di ammortamento, si
basa sulla previsione di flussi certi, una previsione che invece
l'economia circolare, e la relativa forte spinta a riduzione riuso e
riciclo, non garantiscono più. Si veda l'esempio clamoroso della
Versilia dove i Comuni sono soggetti ad ingenti penali per il solo
motivo di avere introdotto la raccolta differenziata intensiva allo
scopo di conseguire gli obiettivi di legge, ma poi tali livelli
i raccolta differenziata, ripeto quelli di legge, non generavano più
abbastanza RUR per rispettare gli obblighi contrattuali. Insomma: il
paradosso di dovere pagare penali per avere rispettato gli obblighi
di legge.
Ma è quanto abbiamo già più
volte sottolineato: la contraddizione tra la necessità di
tonnellaggi fissi e le prospettive evolutive stimolate dalla visione
e strategia dell'economia circolare. Una strategia di cui in Italia
abbondano già tantissime declinazioni pratiche e non ci hanno messo
secoli ad andare a regime.