All'interno dei nostri telefoni: l'inferno
Uno dei minerali indispensabile per l’hi-tech è il coltan, che per il 50% si trova nella Repubblica Democratica del Congo. Un paese con alle spalle vent’anni di conflitto, nato per garantire il monopolio del prezioso materiale nelle mani di pochi affaristi, che ha causato oltre sei milioni di vittime e altrettanti profughi
21 December, 2018
di Egidio Zeuli
La tecnologia fa passi da gigante, il
nostro modo di comunicare ha subito un profondo cambiamento. Siamo nell’epoca dell’iper-connessione.
Ma che costo ha questo “progresso”? Attraverso l’obsolescenza programmata, con cui viene stabilito il ciclo di vita dei nostri cellulari, computer, tablet, le aziende che producono software hanno creato dei prodotti usa e getta, con un conseguente danno diretto all’ambiente e alle tasche dei consumatori. Una vera e propria strategia industriale, a dir poco insostenibile, che lo scorso ottobre ha portato l'antitrust italiano a condannare i colossi Samsung ed Apple ad una multa di 15 milioni di euro per aver accelerato il processo di sostituzione dei propri smartphone. È stata la prima sentenza al mondo contro l'obsolescenza programmata.
Eppure all’interno dei nostri telefoni si cela una violazione ancora più profonda. Uno dei minerali indispensabile per l’hi-tech è il famigerato coltan, una miscela di columbite e tantalite, due minerali che fanno parte della classe degli ossidi. Il 50% di questo minerale si trova nella Repubblica Democratica del Congo, ex colonia belga, probabilmente il paese più ricco del pianeta in termini di giacimenti. Sono centinaia i gruppi armati che si contendono il controllo delle miniere. Le bande di guerriglieri mettono un pizzo sui minatori: per ogni chilo di minerale estratto, questi sono obbligati a pagare una quota agli uomini armati. Solo dopo aver versato la tangente possono andare fino a Rubaya o fino a Goma, una decina di chilometri più a sud, al confine con il Ruanda. Lo fanno quasi sempre camminando per giorni e giorni, portando sacchi di 30 o 40 chili. Una volta giunti in città, possono vendere la loro merce. E da lì inizierà il percorso che porterà questi minerali nei device tecnologici che tutti possediamo. Con i proventi che ne traggono, le bande acquistano altre armi che garantiscono loro ulteriore potere.
Oltre vent’anni di conflitto, nato per garantire il monopolio del prezioso materiale nelle mani di pochi affaristi, sostenuto dalle potenze occidentali e nella quasi impassibilità della comunità internazionale, ha causato oltre sei milioni di vittime e altrettanti profughi, costringendo la popolazione in uno stato di assoluta povertà. Le miniere sono concentrate a Est, nella provincia di Kivu. Le condizioni dei minatori (molti sono ragazzi giovanissimi) sono al limite della sopravvivenza: lavorano dall’alba al tramonto in cunicoli soffocanti, spesso trasformati in trappole mortali dagli improvvisi allagamenti; vivono accampati in tendopoli costruite con lamiere e materiali di fortuna; sono decimati da tumori e malattie terribili e totalmente privi di assistenza medica. Restando alla mercé delle bande armate che li derubano, li uccidono e violentano le donne per assicurarsi il controllo delle miniere.
La violenza carnale è usata come arma di guerra. Tra il 2013 e il 2016 sono state violentate moltissime bambine, sottratte nel cuore della notte alle loro famiglie, sono state portate in un luogo isolato per essere stuprate e mutilate; la più piccola aveva due anni. Dopo gli abusi sono state seviziate con oggetti taglienti introdotti negli organi genitali. Le donne dopo essere state violentate se sopravvivono sono emarginate e umiliate dalle loro comunità di appartenenza, poiché ritenute colpevoli.
Essere “social” ci ha resi disumani, le foto patinate per raffigurare realtà di pura finzione hanno un prezzo: l'immondo olocausto di un intero paese, da secoli sotto dominazione straniera. Questa immane barbarie viene raccontata dal 2010 da John Mpaliza, conosciuto anche come “Peace walking man”, un ingegnere informatico di origine congolese, in Italia dal 1993, che ha deciso di utilizzare la marcia come strumento di sensibilizzazione che possa contribuire alla pace nel suo paese. Nel 2014 si è licenziato dal suo lavoro al comune di Reggio Emilia e ha iniziato a camminare per portare in giro il suo messaggio. In questi giorni si trova in Puglia, per diverse tappe in comuni e scuole. I suoi spostamenti si possono seguire su https://www.facebook.com/peacewalkingman/.
La repubblica Democratica del Congo si avvia il prossimo 23 dicembre alle elezioni politiche e amministrative in un clima di grande incertezze e tensione.