'Inadempimento climatico': dopo la storica sentenza olandese, anche in Italia la prima causa contro lo Stato che non tutela i cittadini
Nel nostro paese è in procinto di partire la prima causa climatica contro lo Stato: si chiama “giudiziouniversale.eu”. ed è intentata da associazioni e movimenti ambientalisti che chiedono di condannare lo Stato Italiano per "i suoi inadempimenti nella lotta contro i cambiamenti climatici”
31 December, 2019
Dopo un procedimento durato sette anni, il 20 dicembre la Corte Suprema olandese ha accolto le richieste dell’associazione ambientalista “Urgenda” e ha stabilito che lo Stato è responsabile di “inadempimento climatico”, obbligando il governo a ridurre le emissioni climalteranti del 25% entro il 2020 rispetto a quelle del 1990.
Secondo la Corte dell’Aja il governo olandese, non assumendosi le proprie responsabilità nel far fronte al cambiamento climatico, ha violato gli articoli 2 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti Umani: gli articoli che tutelano il diritto alla vita e al benessere delle persone, che sono diritti universali, inviolabili.
Si tratta di una sentenza storica che ha fatto chiaramente il giro del mondo e che potrebbe essere il preludio di ciò che succederà in Italia. Anche nel nostro paese infatti è in procinto di partire la prima causa climatica contro lo Stato: si chiama “giudiziouniversale.eu”. ed è intentata da associazioni, movimenti ambientalisti e semplici cittadini che chiedono di condannare lo Stato Italiano, in forza dell’art. 2043 del Codice civile, “nei suoi inadempimenti nella lotta contro i cambiamenti climatici”.
La presentazione della causa è prevista per marzo 2020 e l’adesione è aperta a tutti.
Assistiti da un team composto dagli avvocati Luca Saltalamacchia e Raffaele Cesari e affiancati dai professori Michele Carducci, esperto di Diritto climatico, ed Enzo Di Salvatore, esperto di Diritto dell’energia, grazie alla sentenza olandese i cittadini italiani ora potranno rivendicare un autorevole precedente, interno all'Unione Europea e dunque rilevante in termini di cosiddetta "equivalenza di tutela effettiva", che rafforzerà le argomentazioni a sostegno delle pretese sulle obbligazioni climatiche inadempiute. “Con la causa Giudizio universale - scrive il professor Michele Carducci su comune-info.net/ - si inaugura una inedita strategia di difesa cittadina per la giustizia climatica, destinata a segnare un rapporto diverso tra libertà e autorità, legittimazione democratica dei poteri e responsabilità intergenerazionale della politica”.
“Nel mondo si contano ormai diverse centinaia di cause legali climatiche, raggruppabili in tre categorie – spiega Carducci - : cause contro lo Stato; cause contro imprese di estrazione o produzione fossile; cause contro progetti autorizzati e formalmente valutati compatibili con l’ambiente, ma climalteranti rispetto alle acquisizioni scientifiche internazionali”.
“Le cause legali climatiche non sono riconducibili alle ordinarie cause per danno ambientale – prosegue il professore dell’Università del Salento - Questo deriva non solo dal fatto che clima e ambiente non identificano, dal punto di vista giuridico, il medesimo oggetto di normazione e tutela (il clima è definito un “iper-oggetto” giuridico, per la sua proiezione interspaziale e intertemporale). In estrema sintesi, l’esperienza ad oggi maturata dimostra che quelle climatiche sono cause differenziate da almeno quattro elementi:
1) non si fondano su questioni scientifiche controverse, ma sul loro esatto contrario, ovvero sulla condivisione, a livello internazionale, di acquisizioni scientifiche, in tema di origini e rimedi dei cambiamenti climatici, che gli Stati hanno accettato, impegnandosi ad adottare una serie di iniziative (si pensi all’Accordo di Parigi e ai Report dell’IPCC ma anche ai 17 SDGs di “Agenda 2030”), per le quali possono essere chiamati a dar conto davanti a un giudice (il dato è significativo, perché attesta che il c.d. “negazionismo climatico” è giuridicamente irrilevante);
2) se citati davanti a un giudice, gli Stati devono dimostrare di aver agito secondo “buona fede”, come richiede la Convenzione di Vienna sulla interpretazione dei Trattati internazionali, ma con la specificazione che tale “buona fede” è inevitabilmente “orientata dalla scienza”, ossia deve rispettare le acquisizioni scientifiche condivise (per es., in merito ai tempi di azione, ai limiti di riduzione dell’innalzamento della temperatura o delle emissioni, alle modalità di azione ecc….);
3) di conseguenza, la discrezionalità politica statale non è né illimitata né insindacabile, giacché anch’essa risulterà “orientata dalla scienza” e quindi vincolata all’onere della prova scientifica circa l’efficacia climatica delle decisioni statali;
4) di fronte a questo scenario, i cittadini possono rivendicare non solo il diritto alla tutela della propria vita e della propria salute, ma anche diritti più specifici, come quello a essere informati sulle basi scientifiche che orientano le decisioni dello Stato (secondo la Convenzione di Aarhus e la normativa europea) nonché il diritto umano al clima sicuro (desumibile da numerosi strumenti internazionali), ovvero il diritto a pretendere che le azioni attuali dello Stato garantiscano uno spazio operativo sicuro, di medio e lungo periodo, di controllo e stabilità dei cambiamenti climatici.
“Pertanto, questo tipo di azioni non ha affatto un valore meramente simbolico – conclude Carducci - Servirà a imporre un modo nuovo di agire dello Stato, più attento ai diritti umani dei cittadini verso l’ambiente, il clima, le generazioni future”.